Dopo l’incidente che ha visto come protagonista la piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, numerosi scienziati hanno potuto “craccare” il DNA di numerosi batteri mangia-pertrolio e pertanto questi risultati, pubblicati sulla rivista Nature Microbiology, avranno un impatto molto forte nelle future battaglie contro i disastri petroliferi.
Questa forma di biorisanamento ha sicuramente il vantaggio di non applicare nessuna tipologia di sostanze chimiche, talvolta più pericolose dell0 sversamento stesso in alcune condizioni ambientali. Di contro, il grande svantaggio di questo approccio è che, ad oggi, funziona solo in condizoni controllate, dove temperatura, vento, irraggiamento e diversi altri fattori non sono variabili. Purtroppo in mare aperto queste condizioni mutano velocemente, per cui spesso questa tipologia di risanamento ambientale non funziona. Inoltre ancora sono poco chiare le normative relative all’applicabilità di questi microorganismi nell’ambiente, dove la loro dinamica di crescita è poco chiara, perchè ancora non totalmente conosciuta. Quindi c’è chiaramente un problema normativo non indifferente ma anche un problema intrinseco, ossia quello che in alcune condizioni ambientali questi batteri non riescono a degradare il petrolio in maniera efficiente. Bisognerà sicuramente studiare ancora di più queste forme particolari di batteri, chiamati propriamente idrocarburoclastici, perchè hanno nel loro materiale genetico tutte le informazioni geniche fondamentali per degradare le forme del petrolio ed i suoi derivati.