L’influenza aviaria, o peste aviaria, è una patologia infettiva altamente diffusa dovuta ad un virus influenzale (Orthomyxovirus), che colpisce gli uccelli selvatici e domestici. I virus dell’influenza aviaria possono essere suddivisi in due gruppi, a seconda dei sintomi riscontrati negli uccelli: si distinguono virus a bassa patogenicità, che non causano malattie gravi, e virus ad alta patogenicità che, al contrario, danneggiano i sistemi respiratorio, digerente e nervoso fino alla morte dell’animale. La trasmissione avviene tramite contatto diretto con feci e secrezioni oro-nasali, o indirettamente con acqua, oggetti e attrezzi contaminati. Il virus aviario, inoltre, è in grado di trasmettersi anche al genere umano, come dimostrato dalle epidemie che dal 1997 hanno interessato varie parti del Medio Oriente. I primi ceppi in grado di compiere il “salto di specie” sono stati H5, H7 e H9, cui si sono aggiunti i seguenti sottotipo: H7N7, H9N2, H7N2 e H7N3.
Nel 2013, la Cina è stata la protagonista di alcuni gravi casi di influenza aviaria nell’uomo, causata dal ceppo virale identificato come H7N9, trasportato dagli uccelli migratori. Lo stesso H7N9 ha rifatto la sua comparsa questo inverno sempre a Pechino, destando l’interesse degli studiosi che hanno scoperto un “salto di specie” piuttosto insolito: il virus H7N9 è in grado di infettare l’uomo, senza però perdere l’adattamento al primo ospite (gli uccelli) come di norma accade. La causa di tale cambiamento sembra essere dovuta alla sostituzione di un nucleotide (unità di base di DNA ed RNA) con un altro all’interno del genoma virale. La scoperta proviene da una ricerca ad opera di un gruppo di studiosi dell’Università di Hong Kong, i cui risultati sono stati pubblicati il 21 Marzo 2017 sulla rivista Nature Communications.
Ma andiamo con ordine e vediamo innanzitutto che cosa si intende con il termine “salto di specie”. Gli uccelli sono ospiti naturali di molti virus influenzali e solo pochi di questi infettano l’uomo. Affinché un virus possa “saltare” da una specie ad un’altra è necessario che riconosca in modo specifico le cellule del nuovo ospite e che, in aggiunta, sappia utilizzare i meccanismi molecolari di quest’ultimo per la propria replicazione. La sintesi delle proteine virali, come quelle umane, necessita della maturazione dell’mRNA ad opera di un complesso macchinario chiamato spliceosoma, che elimina tratti di nucleotidi non codificanti (introni) e unisce quelli codificanti (esoni). Fino a poco tempo fa il virus H7N9 (Fig.2) non poteva utilizzare lo spliceosoma umano, diverso da quello degli uccelli, per via di un nucleotide che interferiva con il processo. Quello che Honglin Chen e colleghi hanno scoperto, però, è che alcuni ceppi di H7N9 presentano mutazioni proprio a carico di questo nucleotide che, essendo assente, permette la sintesi delle proteine del virus nelle cellule umane.
Quando si verifica il “salto di specie” dovuto, come in questo caso, ad una mutazione che determina il corretto funzionamento dello spliceosoma nel nuovo ospite, la stessa aberrazione causa il malfunzionamento dello spliceosoma nella specie di partenza. Di conseguenza il virus smette di replicarsi e di diffondersi nell’organismo originario. Questo purtroppo non succede nel caso dei ceppi mutanti di H7N9: gli studiosi hanno infatti dimostrato che lo stesso virus è capace di replicarsi con efficienza sia nell’uomo che negli uccelli! Sebbene la trasmissione da uomo a uomo non sia semplice e oggigiorno sia causa solo di piccoli focolai infettivi, il virus H7N9 come i suoi simili influenzali presenta un alto tasso di mutazione, e la possibilità di future epidemie virali non deve passare inosservata agli occhi degli studiosi del settore!
Fonte: Le Scienze
Silvia Vallefuoco