Con il caldo di questi giorni e la vicinanza dell’estate, il raffreddore per molti è solo un fastidioso ricordo. Anche se ormai ci siamo lasciati alle spalle il picco delle infezioni, sappiamo che questo si ripresenterà puntuale il prossimo anno. Per fortuna la ricerca non si ferma con la bella stagione: è del mese scorso la notizia della scoperta di una “cura” per il raffreddore, in particolare di una molecola in grado di bloccare il virus.
Rhinovirus (RV, Fig.1) appartiene alla famiglia dei Picornaviridae ed è il patogeno responsabile del comune raffreddore. Forse starnuti e naso colante non sono poi il peggiore dei mali, anche se ne faremmo volentieri a meno, ma la ricerca di una cura è particolarmente importante se si considera che RV causa anche l’inasprimento dei sintomi di patologie respiratorie come l’asma, la malattia polmonare ostruttiva cronica (BPCO) e la fibrosi cistica. Non è quindi un patogeno da trascurare, ma anzi rischia di essere veramente pericoloso e da tempo i ricercatori stanno cercando un modo per contrastarlo.
RV è però un nemico particolarmente insidioso, poiché la stessa specie comprende numerosi sottogruppi (più di 100) chiamati sierotipi, cosa che preclude, ad esempio, la possibilità di generare un vaccino che copra per intero la variabilità genetica esistente. Non è possibile neutralizzare il virus neanche usando farmaci che lo attaccano direttamente, poiché RV replica molto velocemente e ha un tasso di mutazione molto alto, il che porta alla comparsa sotto-ceppi resistenti al farmaco che ci riportano al punto di partenza.
Viste queste premesse, è chiaro come l’articolo pubblicato a maggio su Nature Chemistry abbia suscitato grande interesse, tanto grande da far comparire questa portentosa cura per il raffreddore anche sui media e molti avranno tirato un sospiro di sollievo, pregustando già il momento in cui potremo dire addio a fazzoletti, spray nasali dalla dubbia efficacia e notti insonni. Chiariamo subito che non sarà così immediato: la molecola per ora è stata testata solo in vitro su cellule bronchiali umane. Questa prima fase ha dato buoni risultati, i quali ovviamente andranno però confermati su modelli animali e poi sull’uomo, una procedura che richiederà ancora molti anni. Abbiamo quindi tempo in abbondanza per chiarire ogni dubbio su chi sia questa molecola, come funzioni e perché sia più efficace di altri trattamenti.
Per capire il funzionamento della molecola appena scoperta dobbiamo fare un passo indietro, ripercorrendo cosa accade quando il virus penetra nella cellula ospite e inizia a replicare il proprio genoma. RV possiede un genoma a RNA e, come ogni virus, utilizza i ribosomi dell’ospite (organelli dedicati alla sintesi proteica) per la sintesi delle proprie proteine. Dall’RNA di RV viene prodotta inizialmente una singola poliproteina, che viene poi “tagliata” in vari modi, generando una serie di proteine più piccole che costituiranno il capside, il guscio proteico del virus.
Una di queste proteine, VP0, subisce un processo cosiddetto di miristilazione, ossia le viene attaccata a una estremità una molecola di acido miristico (Fig.2), un tipo di acido grasso. Il responsabile di questo trasferimento non è un enzima virale, ma dell’ospite umano: si chiama N-miristiltrasferasi (NMT) ed è conservata in tutte le specie eucariotiche; in particolare l’uomo esprime due proteine, NMT1 e NMT2, presenti in buona parte dei tessuti.
La miristilazione di VP0 è essenziale nel processo di replicazione del virus e assemblaggio del capside. Gli scienziati hanno quindi pensato di selezionare come bersaglio terapeutico non una proteina del virus, che come menzionato prima potrebbe mutare rapidamente e non essere più riconosciuta dal farmaco, ma proprio l’enzima NMT dell’ospite. La variabilità sierotipica e l’alto tasso di mutazione sono problemi insormontabili per gli approcci tradizionali, ma non influenzano questo fattore, che è costante nel processo di replicazione non solo di RV, ma anche di molti altri virus della famiglia Picornaviridae.
La molecola si chiama IMP-1088 ed è un inibitore di entrambe NMT1 e NMT2. Ha prodotto buoni risultati su cellule bronchiali umane, proteggendole dagli effetti citotossici dell’infezione virale. Rimane da chiedersi se l’ospite possa fare a meno di questo enzima senza incappare in effetti collaterali più o meno gravi. Questo richiederà studi tossicologici più approfonditi, ma per il momento i dati suggeriscono che un’inibizione temporanea di NMT riesca, nel giro di poche ore, a impedire la replicazione del virus e gli effetti citotossici ad essa correlati senza nessuna particolare conseguenza per la cellula. Le proteine già miristilate dell’ospite umano, infatti, impiegherebbero giorni a degradarsi e in questa finestra temporale continuerebbero a espletare le loro funzioni.
Scopriremo solo nei prossimi anni se tutto questo verrà confermato in vivo e se potremo finalmente dire addio al raffreddore e ad altre malattie causate dai Picornavirus.
Erika Salvatori
Fonte:
Mousnier, A., et al. (2018). Fragment-derived inhibitors of human N-myristoyltransferase block capsid assembly
and replication of the common cold virus. Nature Chemistry.
Grazie Otinel, per la tua esperienza!hydro coin ico