All’inizio della storia della biologia, quando ancora non si sapeva con certezza quali fossero i mattoncini costituenti il codice genetico, quasi tutto il panorama scientifico era propenso ad appoggiare le proteine piuttosto che il DNA come materiale di base. Queste, con i loro 20 amminoacidi contro le 4 basi azotate del DNA, e quindi un potenziale descrittivo incredibilmente maggiore, erano di gran lunga l’ipotesi ritenuta più possibile.
Grandissimo fu lo stupore che accolse la notizia, poi confermata, che fosse invece il materiale genetico alla base di tutta la diversità che si palesa ogni giorno sotto ai nostri occhi fosse costituito proprio dal DNA.
Per miliardi di anni la storia della vita è stata quindi scritta esclusivamente con queste quattro lettere: l’adenina, la timina la guanina e la citosina, organizzate in una doppia elica formata da due filamenti. Ogni filamento è formato da uno scheletro carbonioso formato da molecole di zucchero, il ribosio, a cui sono attaccate le 4 molecole conosciute come basi azotate. Le basi sono legate tra di loro (a coppie fisse di A-T e G-C) grazie ad interazioni deboli, come i legami ad idrogeno, sostengono la struttura a doppia elica di DNA. L’informazione viene quindi “storage” sotto forma di queste 4 lettere in sequenza, che vengono tradotte nell’alfabeto proteico in sequenza di tre (tre basi formano una tripletta, che a sua volta codifica per uno specifico amminoacido).
Oggi ci sembra un assunto scontato, ma potrebbe non essere più così: infatti quel codice che dall’inizio della vita ha accomunato tutti gli esseri viventi mai comparsi su questa terra è stato rivoluzionato, anzi, per meglio dire, allungato.
È stata infatti creata la prima cellula vivente con due nuovi “mattoncini” nel suo genoma.

“Quello che abbiamo ora è una cellula vivente che letteralmente memorizza una maggiore informazione genetica” commenta Floyd Romesberg, chimico biologo presso la Scripps Research Institute a La Jolla, California, che ha condotto con il suo team questa incredibile ricerca, durata ben 15 anni ed uscita il 7 maggio del 2014 sulla prestigiosa rivista Nature.
Il lavoro è un passo in più verso la sintesi di cellule in grado di fabbricare farmaci e tutta una serie di altre molecole utili tanto alla ricerca quanto al progresso industriale, e solleva inoltre la possibilità che un giorno le cellule potrebbero essere progettate in laboratorio a partire da zero, senza contenere nel genoma nessuna delle quattro basi del DNA originarie.
La domanda che ha spinto i ricercatori, a inizio 1960, è stata se la vita avrebbe mai potuto memorizzare informazioni (a livello genomico) utilizzando altri gruppi chimici diversi dalle basi azotate.
È stato solo nel 1989, però, che Steven Benner (ricercatore presso il Swiss Federal Institute of Technology di Zurigo) ed il suo team hanno potuto dare una risposta, inserendo una forma modificata di citosina e di guanina in una molecola di DNA. Durante i test in-vitro i filamenti formati da queste “funny letters”, come le chiamava Benner, furono replicate, trascritte in mRNA ed infine tradotte nelle rispettive proteine.
Le basi progettate dal team di Romesberg, 2014, sono ancora più artificiali, mantenendo poca somiglianza chimica con le quattro basi naturali. In un paper del 2008 il gruppo ha descritto il processo che ha portato a questo strabiliante risultato, e gli sforzi per ottenere molecole che si somigliassero a livello chimico, ottenute screenando tutte le possibili combinazioni (3600) di un gruppo ristretto di 60 candidati. Alla fine di questi esperimenti il gruppo identificò un paio di basi, d5SICS e dNaM, che sembravano soddisfare tutti i requisiti necessari, soprattutto il fatto di essere compatibili con il macchinario enzimatico che traduce e trascrive il DNA.
“Non pensavamo, però, che avremmo potuto addirittura spostare questa coppia di basi in un organismo” dice Denis Malyshev, ex studente laureato nel laboratorio di Romesberg e primo autore dell’articolo.
Continuando con i test in-vitro invece gli scienziati sono riusciti a ottenere che la coppia di basi artificiali fosse replicata e trascritta in mRNA, cosa che ha confermato il riconoscimento di queste basi da parte del macchinario enzimatico.
La prima difficoltà nel creare una cellula vivente con questo codice genetico artificiale era quello di far accettare alle cellule le basi estranee, e mantenere la molecola di DNA attraverso cicli di divisione cellulare, durante la quale il DNA viene copiato.

Come protagonista di questo esperimento venne scelto il famosissimo batterio Escherichia coli, che fu ingegnerizzato per esprimere un gene proveniente dalla diatomea, un’alga monocellulare. Prima di tutto gli scienziati hanno creato un plasmide (corta sequenza genetica circolare), contenente il gene della diatomea con una singola coppia delle basi artificiali, quindi hanno inserito questo speciale plasmide in cellule di Escherichia coli (tecnica chiamata trasformazione batterica, in cui inserisco sequenze geniche estranee in un batterio).

Il plasmide contenente la proteina di diatomea venne quindi copiato ed amplificato nelle cellule di E. coli in divisione per circa una settimana, grazie ad un’addizione dei due nucleotidi estranei al terreno di coltura. Nel momento in cui le cellule esaurirono il supplemento di queste basi artificiali il batterio sostituì spontaneamente le basi estranee con le rispettive basi naturali.
Il gruppo di Romesberg oggi sta lavorando per ottenere un passo in più: che il DNA estraneo codifichi per proteine contenenti aminoacidi diversi dai 20 conosciuti. Il vantaggio nell’aumentare le lettere del nostro alfabeto starebbe nel fatto di aumentare notevolmente il potenziale esplicativo del genoma, poter dire più cose e in un modo migliore.

Sebbene il batterio ingegnerizzato di E. coli contenga solo un paio di basi artificiali su un milione di basi totali, Benner sostiene che non c’è ragione per cui un giorno potrebbe esistere una cellula il cui patrimonio genetico sia completamente formato da basi artificiali, ma la creazione di un organismo totalmente sintetico rappresenta un obiettivo ancora lontano ed una sfida, che ad oggi, rimane insormontabile.
FONTI: Malyshev, D. A. et al. Nature
Laura Tasca