La Malattia granulomatosa cronica (CGD) rappresenta un raro gruppo di alterazioni genetiche ereditarie che colpiscono il sistema immunitario caratterizzate dalla incapacità delle cellule fagocitiche (granulociti neutrofili, eosinofili, monociti e macrofagi) di uccidere i batteri fagocitati. La malattia colpisce in media 1:250000 nati vivi; i soggetti affetti vanno incontro a frequenti infezioni sia batteriche che fungine che possono diventare fatali e sviluppano lesioni infiammatorie dal caratteristico aspetto granulomatoso. Normalmente, i globuli bianchi che circolano nel sangue raggiungono il focolaio infiammatorio svolgendo la loro tipica azione antimicrobica attraverso l’ingestione (“fagocitosi”) e l’eliminazione intracellulare (“killing”) dei batteri responsabili dell’infezione. L’attività microbicida dei globuli bianchi è legata alla capacità di produrre molecole (come lo ione superossido, il perossido di idrogeno o l’ipoclorito) che danneggiano la membrana del batterio fagocitato provocandone la morte. Un ruolo essenziale nella produzione dello ione superossido è svolto da un particolare enzima noto come NADPH-ossidasi. Nella CGD una delle proteine formanti la NADPH-ossidasi è assente, ridotta o difettiva nelle sue funzioni. Questo fa sì che la fagocitosi avvenga normalmente ma il fagocita non è più in grado di produrre i metaboliti tossici dell’ossigeno: il risultato è che i batteri anche se fagocitati sopravvivono diventando peraltro difficilmente raggiungibili da anticorpi e antibiotici.
Nel 60% dei casi la CGD è dovuta a mutazione di un gene che si trova sul braccio corto del cromosoma X: la malattia, quindi, viene trasmessa dalla madre portatrice ai figli maschi. La madre portatrice non è malata perché, pur avendo un cromosoma X con il gene malato, presenta sull’altro cromosoma X il gene normale. La probabilità di una donna portatrice di trasmettere la malattia al figlio maschio è del 50% per ogni gravidanza; nel restante 40% dei casi la CGD è dovuta a mutazioni di geni che non si trovano sui cromosomi sessuali (quindi non sul cromosoma X). In questi casi, genitori entrambi portatori sani possono trasmettere la malattia nel 25% dei casi, oppure trasmettere lo stato di portatore sano al 50% della prole. Nel restante 25% dei casi i figli risulteranno sani. Da un punto di vista diagnostico, la diagnosi si effettua con l’ausilio di un test chiamato burst respiratorio che evidenzia, mediante una metodica detta citometria a flusso, l’incapacità dei granulociti neutrofili di rispondere a stimoli infettivi come E. coli ad esempio. Ogni episodio infettivo è potenzialmente pericolosa per cui è necessario fare ogni possibile sforza per il isolare il microrganismo responsabile per eseguire terapie mirate; nelle situazioni più gravi, si può ricorrere alla terapia con concentrati granulocitari cioè con trasfusioni di granulociti. Malgrado i molti approcci terapeutici, la prognosi a lungo termine dei pazienti con CGD resta incerta: attualmente, l’unica possibilità di guarigione è rappresentata dal trapianto del midollo osseo che consente di sostituire i fagociti difettosi.
Fabrizio Visino
Fonte: Quaderni sulle immunodeficienze primitive (aip)