Nel mondo due milioni di bambini hanno il virus Hiv e ogni anno 250mila bebè nascono già infettati. Per capire quando e come i farmaci possano essere interrotti ed evitare una terapia che dura tutta la vita nasce Epiical, un progetto di ricerca guidato dall’Italia. Presentato a Roma, è basato su un network di centri coordinato dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e vede le maggiori realtà mondiali unite in un consorzio che mette insieme 26 coorti di bambini trattati precocemente per cercare di rispondere alla domanda: quando può essere interrotta la terapia? Alla base del progetto, il network indipendente per la ricerca farmacologica nell’Hiv pediatrico Fondazione Penta, che coinvolge i 26 principali centri di ricerca in tutto il mondo. «Il 95% delle infezioni avvengono in Paesi dell’Africa subsahariana – spiega Martina Penazzato, responsabile HIV Pediatrico, Organizzazione Mondiale della Sanità -. Ma questo non significa che il problema non riguardi anche l’Europa e l’Italia. Metà dei bambini muore nei primi due anni di vita se l’infezione non viene curata per tempo». Con la terapia farmacologica i piccoli malati vivono più a lungo, ma questo comporta «alti costi ed effetti collaterali come l’invecchiamento precoce e tutti i problemi che ne derivano», sottolinea Paolo Rossi coordinatore del progetto Epiical e direttore del Dipartimento Pediatrico del Bambino Gesù. «Il nostro obiettivo è, quindi trovare un nuovo modo di fare terapia che consiste nell’ abbattere il virus con antiretrovirali e contemporaneamente potenziare il sistema immunitario, per mettere l’organismo in grado di reagire da solo al virus e interrompere i farmaci» aggiunge Rossi. Un approccio che potrebbe essere utilizzato anche per gli adulti o per altre malattie da virus persistenti, che agiscono in modo simile all’Hiv. L’idea è quella di curare al meglio i bambini che nascono sieropositivi per “negativizzare” immediatamente l’infezione e sviluppare più rapidamente farmaci che nel futuro potrebbero eliminare per lunghi periodi, e forse definitivamente, il virus dall’organismo dei malati (anche adulti), azzerando, o almeno riducendo significativamente, le nicchie di resistenza all’interno delle quali i farmaci attualmente disponibili non riescono ad agire. Dalle cellule dei bambini, che rappresentano un modello unico di sviluppo del virus e della malattia, sarà possibile accelerare la messa a punto di farmaci innovativi, capaci di agire su nuovi target e di aprire la strada all’ immunoterapia specifica, in grado di rendere il corpo capace di aiutare a eliminare, attraverso i propri sistemi difensivi, il virus stesso. Obiettivo della ricerca: creare modelli predittivi per comprendere meglio l’andamento dell’infezione e verificare l’efficacia di nuove strategie immuno-terapeutiche capaci non solo di bloccare la replicazione virale, come avviene oggi, ma anche di determinare fasi di remissione della malattia e consentire temporanee sospensioni dei trattamenti antivirali. «La più efficace evoluzione nella cura dell’Aids è stata l’introduzione della terapia combinata antiretrovirale nelle fasi più precoci dell’infezione – spiega Paolo Rossi -. Questo significativo cambiamento della strategia terapeutica ha trovato la sua prima e più piena applicazione nell’infezione pediatrica, quando il virus è trasmesso dalla madre infetta al neonato, solitamente al parto. In questo modello infatti, il momento dell’inoculo dell’agente infettivo è noto ed è quindi possibile instaurare immediatamente la terapia. Questo permette di abbattere e quasi annullare la presenza del virus Hiv nel sangue e nei tessuti con una modifica totale degli effetti negativi sul sistema immunitario e quindi sulla salute generale dei pazienti. I bambini che hanno ricevuto la terapia precoce presentano un quadro immunologico e virologico unico, tanto che alcuni, sospesa la terapia, sono stati per lungo tempo senza virus Hiv evidenziabile». Studiando in laboratorio quanto avviene nei bambini, quindi, si pongono le basi per trovare nuove cure destinate a tutti. L’infezione da Hiv è diventata una patologia cronica dato che i malati raggiungono una sopravvivenza ormai pari a quella dei soggetti sani, dunque si scoprono effetti legati alla persistenza del virus nell’organismo anche quando il virus non è individuabile nel sangue. Per esempio oggi si sa che l’infezione causa infiammazione cronica e attivazione del sistema immunitario, condizioni che possono comportare un accelerato processo di invecchiamento e facilitare il rischio di altre infezioni e malattie che possono essere affrontate con maggior difficoltà. «Per tutti questi motivi oggi c’è ancora bisogno di individuare nuovi farmaci, che possano giungere prima possibile al malato – afferma Carlo Giaquinto del Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Università di Padova e Presidente Fondazione Penta -. Il progetto Epiical si giova della piattaforma di ricerca e raccolta dati di Fondazione Penta (Paediatric European Network for Treatment of Aids), nata nel 1991 e poi diventata network europeo per gli studi clinici indipendenti sui bambini affetti da Hiv-Aids. A questo progetto aderiranno centri di tutto il mondo, nell’ambito di una rete che comprende oltre 90 strutture in 18 Paesi di Europa, Africa, Asia e America Latina» . Il progetto è sostenuto dal contributo non condizionante di ViiV Healthcare, azienda farmaceutica totalmente dedicata all’infezione da virus Hiv-Aids. In Italia ogni anno ci sono 4mila nuovi casi di Hiv e riguardano soprattutto i giovani tra i 25 e i 29 anni. Di questi il 60% viene scoperto in una fase tardiva di infezione. La Lombardia, con circa 20mila persone sieropositive, è tra le regioni italiane più colpite, insieme a Lazio, Emilia Romagna e Liguria. In Italia sono 120mila le persone che convivono con l’Hiv: a fronte di un importante calo della mortalità grazie alle terapie, c’è però una drastica riduzione dell’informazione in merito alla malattia. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, la maggioranza delle nuove diagnosi di infezione è attribuibile a rapporti sessuali non protetti, che costituiscono l’84,1% di tutte le segnalazioni (eterosessuali 43,2%; omosessuali maschi 40,9%). Il 27,1% delle persone diagnosticate come Hiv positive è di nazionalità straniera (uno su quattro). Il 37% degli italiani non si è mai sottoposto al test Hiv e il 5% delle persone che vivono con Hiv non lo ha detto al proprio partner. Il 40% delle persone sieropositive non rivela ai familiari di aver contratto il virus e il 74% non lo dichiara nel contesto lavorativo.
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