“La bellezza della biologia è che essa è il chimico migliore del mondo – la biologia può fare la chimica che noi non riusciamo ancora a realizzare”. Sono le parole di Pamela Silver, professore alla Harvard University e co-autore di una tecnologia che imita la fotosintesi clorofilliana per convertire l’anidride carbonica in carburanti.
La più importante fonte di energia del nostro pianeta è il Sole, ma tra gli esseri viventi c’è chi riesce a sfruttarla molto meglio di noi. Le piante sono veri e propri specialisti nella trasformazione dell’energia solare, il “motore” di un processo chiamato fotosintesi clorofilliana, che converte l’anidride carbonica (CO2) e l’acqua in zuccheri ed ossigeno.
Le piante necessitano dunque solo di CO2, acqua e luce solare per produrre energia: la natura, come spesso capita, è stata più ingegnosa di noi e gli scienziati hanno cercato per anni di realizzare un sistema simile alla fotosintesi per generare energia e stoccarla per usi successivi. Uno dei vantaggi di questa soluzione è che costituirebbe un sistema “chiuso”, in cui la CO2 rilasciata dalla combustione dei carburanti verrebbe riutilizzata per produrre combustibili, anziché aggiungersi ai gas serra nell’atmosfera.
Nel giugno 2016 Daniel G. Nocera e Pamela A. Silver, entrambi della Harvard University, hanno pubblicato su Science un loro sistema di “foglia bionica”, in grado di convertire energia solare in biomassa con un’efficienza del 10%. È un risultato più che soddisfacente, se si considera che le piante utilizzano solo l’1% dell’energia che ricevono dal Sole per produrre glucosio.
Il sistema è composto da un catalizzatore inorganico a energia solare, costituito da una lega di cobalto-fosforo, che scinde l’acqua in ossigeno e idrogeno, esattamente come nel primo passaggio della fotosintesi. Presenta però anche una componente organica, che impiega questo idrogeno in una reazione di sintesi che converte la CO2 combustibili fossili.
Il batterio impiegato nel sistema è Ralstonia eutropha, appartenente al phylum dei Proteobatteri. Viene cresciuto nello stesso contenitore, a contatto con il catalizzatore, ed è geneticamente modificato per “nutrirsi” dell’idrogeno prodotto e sintetizzare biomassa, carburanti o composti chimici, a partire da basse concentrazioni di CO2 e in presenza di ossigeno.
Benché ci siano ancora margini di miglioramento, il sistema sarebbe già abbastanza efficiente da considerare una sua applicazione commerciale, secondo i ricercatori. Le potenzialità sono estremamente vaste, poiché grazie ai progressi compiuti dall’ingegneria genetica disponiamo di una grande varietà di batteri dal metabolismo modificato, che possono sfruttare idrogeno o anidride carbonica per produrre molteplici composti.
È stato dimostrato, ad esempio, che inserendo in una versione alternativa della foglia bionica il batterio Xanthobacter autrophicus, anch’esso ingegnerizzato per metabolizzare idrogeno, è possibile produrre fertilizzanti azotati direttamente nel suolo. Il batterio utilizza l’idrogeno e l’anidride carbonica per sintetizzare una bioplastica, il poliidrossibutirrato (PHB), che conserva come fonte di energia. Viene dunque sepolto nel suolo e qui, in assenza di luce solare, sfrutta l’idrogeno precedentemente immagazzinato nel PHB: combinandolo con l’azoto assorbito dall’aria grazie ad un enzima di cui dispone naturalmente, produce ammonio, che è il costituente principale dei fertilizzanti azotati.
Siamo quindi di fronte ad una tecnologia versatile, che apre una vasta gamma di possibilità, tra cui quella di produrre carburanti, fertilizzanti, ma anche plastiche o farmaci a seconda dei batteri utilizzati e delle modifiche genetiche introdotte nel loro metabolismo.
Erika Salvatori
Fonti:
- Liu, C., Colòn, B.C., Ziesack, M., Silver, P.A., and Nocera, D.G. (2016). Water splitting-biosynthetic system with CO2 reduction efficiency exceeding photosynthesis. Science 352: 1210-3