La malaria è una parassitosi di cui si discute ancora molto tutt’oggi a causa dei suoi effetti devastanti sugli esseri umani. Il fatto, poi, che quasi il 50% della popolazione mondiale viva in aree endemiche con oltre 200 milioni di casi all’anno (di cui circa la metà portano alla morte dell’individuo) fa pensare come essa possa realmente costituire una fonte di preoccupazione per la salute pubblica.
Ma il problema non sono solo gli esseri umani: i parassiti che originano la malaria, infatti, possono infettare molte specie animali e lo studio di questo potrebbe essere importante per comprendere di più sull’evoluzione del parassita e portare a progressi a livello terapeutico.
Un esempio è dato, oltre che dal più conosciuto Plasmodium falciparum (Fig.1), da un ceppo parassitario che può infettare sia l’uomo che i primati, il Plasmodium knowlesi, prevalentemente diffuso nel Sud-Est asiatico. Ciò che è interessante evidenziare è che questo sia diffuso tra gli scimpanzé e i gorilla selvatici, ma non tra i bonobo.
Il bonobo (Pan paniscus) è un primate della famiglia degli ominidi. Viene considerato il cugino dello scimpanzé comune (Pan troglodytes) e pare che sia, tra i primati, il più vicino all’uomo dal punto di vista genomico (circa 95% di similarità) ed anche dal punto di vista sociale. Si è infatti osservato che i bonobo costituiscono società improntate sulla convivenza pacifica e sono spesso capaci di altruismo, compassione, generosità, empatia, oltre alla loro propensione a praticare sesso ricreativo, considerato come una forma evoluta di comunicazione sociale.
Un gruppo di ricercatori della Perelman School of Medicine dell’Università della Pennsylvania ha quindi indagato sul fatto che P. knowlesi risparmiasse i bonobo selvatici, mentre invece quelli cresciuti in cattività fossero comunque suscettibili all’infezione.
Quindi, hanno ampliato l’area di campionamento e le popolazioni di bonobo selvatici da analizzare e hanno riscontrato la presenza di una nuova specie di parassita della malaria nei bonobo (anche se limitata ad una piccola area). Si tratta di un parassita appartenente al genere Plasmodium, ma per le sue differenze viene chiamato con il nome del sottogenere: Laverania.
Nel corso di tale ricerca, la dottoressa Beatrice Hahn e il suo team di ricerca hanno scelto di utilizzare metodiche non invasive, che prevedevano l’analisi del materiale fecale di queste scimmie, raccolto dal suolo della foresta (loro habitat naturale).
In questo modo hanno scoperto come il bonobo sia, in realtà, soggetto all’infezione da parte dei parassiti della malaria: dei 1556 campioni fecali raccolti in 11 siti differenti, hanno identificato una maggiore prevalenza del Laverania, principalmente nei bonobo della parte più orientale della Repubblica Democratica del Congo. Oltre a ciò, è stato riscontrato anche P. gaboni (precedentemente riscontrato solo nello scimpanzé) e una potenziale nuova specie P. lomamiensis. Oltre questi, sono state riscontrate, sebbene in pochi individui, casi di co-infezione con parassiti non del tipo Laverania.
Questo potrebbe essere spiegato ipotizzando una co-evoluzione tra le scimmie africane e questi parassiti, secondo cui l’antenato del bonobo era soggetto all’infezione e, solo successivamente, le comunità selvatiche di bonobo abbiano “perso” parassiti che hanno continuato però ad infettare gli altri primati (un esempio è P. falciparum, il responsabile dell’infezione più grave di malaria nell’uomo, trasmesso all’uomo dal gorilla). Tuttavia, i ricercatori non hanno trovato evidenze sufficienti per validare questa ipotesi. Saranno quindi necessari studi ulteriori studi volti ad analizzare il microbioma dei bonobo o la loro alimentazione.
Tutte queste informazioni, raccolte dal gruppo di ricerca, potrebbero diventare fondamentali per sviluppi da un punto di vista terapeutico.
Emanuela Pasculli
Fonte:
Genetic Engineering and Biotechnology News