A causa della sua abbondanza e della sua vicinanza al carbonio nella tavola periodica degli elementi (base biochimica della vita sulla terra), spesso è stata ipotizzato nel filone fanta-scientifico l’esistenza di forme di vita basate sul SILICIO invece che sul carbonio, ma quanto c’è di vero, e quanto potrebbe essere reale un’ipotesi simile?

Il silicio è il secondo elemento più abbondante nella crosta terrestre, dopo l’ossigeno (27,7%), e sebbene sia meno reattivo del suo analogo chimico, il carbonio, si trova in natura sotto forma di diversi composti inorganici, come la silice. Il ruolo principale dei composti silico-derivati è rappresentato dalla formazione di strutture di protezione e sostegno in microorganismi, spugne e addirittura piante.
Le diatomee ad esempio estraggono la silice dall’acqua per costruire i muri protettivi delle loro cellule, l’ortica presenta la punta dei peli urticanti silicizzata, infine gli equiseti (arbusti) concentrano la silice nel fusto della pianta, rendendolo più resistente e meno appetibile agli erbivori.

L’organismo umano ne contiene in totale una quantità stimata sui 250 milligrammi, ma la presenza del silicio non si identifica con nessuna funzione biochimica nota e potrebbe essere di natura accidentale (accumulo nei tessuti con maggiore affinità per il composto).
Solo due anni fa è stato scoperto, da un gruppo di ricercatori, un enzima appartenente ad un batterio estremofilo che popola le sorgenti calde islandese, in grado di legare insieme carbonio (la base della nostra vita) e silicio. Il lavoro che ne è stato poi pubblicato sul prestigioso giornale Science nell’edizione di novembre del 2016.
Ma partiamo dall’inizio, questa reazione era già stata ottenuta tramite catalizzatori artificiali, in seguito Frances Arnold, un ingegnere chimico presso il California Institute of Technology di Pasadena, ha voluto verificare se sarebbe stato virtualmente possibile per un enzima catalizzare questo tipo di reazione.

Scorrendo i database di proteine, lei e i suoi colleghi hanno trovato poche decine di enzimi promettenti, e dopo una seconda serie di screening si è individuato il prescelto: si trattava di un enzima codificato da un batterio estremofilo abitante le sorgenti calde islandesi, Rhodothermus marinus. I ricercatori hanno quindi isolato e sintetizzato in vitro il gene per questo enzima, con cui hanno ingegnerizzato una popolazione di batteri E. coli.

La loro ipotesi si è rivelata corretta: l’enzima alimentato con i giusti precursori contenenti silicio era in grado di catalizzare il legame silicio-carbonio.
“È notevole il fatto che la natura sia in grado di fare cose per cui non era stata programmata, semplicemente in presenza di un nuovo alimento artificiale“, commenta Arnold.
Nonostante l’indiscutibile successo rimanevano alcune problematiche, prima fra tutte il fatto che gli E. coli ingegnerizzati non erano molto efficienti nella produzione di composti di silicio-organico. Così il team ha introdotto mutazioni casuali nella regione attiva dell’enzima, selezionando i batteri che mostravano un miglioramento. Poche generazioni sono state sufficienti per migliorare sensibilmente i rendimenti – battendo quelli dei catalizzatori artificiali.

“Questo lavoro apre nuove opportunità nella ricerca farmaceutica, che potrebbero portare alla scoperta di nuovi farmaci“, dice Yitzhak Apeloig, specializzato in chimica organica presso il Technion Israel Institute of Technology di Haifa.
La scoperta potrebbe aiutare i chimici a sviluppare nuovi farmaci e catalizzatori industriali, e, forse, spiegare perché l’evoluzione ha quasi completamente evitato l’uso del silicio nonostante l’abbondanza.
FONTI: Kan, S. B. J., Lewis, R. D., Chen, K. & Arnold, F. H. Science 354, 1048–1051 (2016).
Arnold, F. H. Trends Biotechnol. 8, 244–249 (1990).
Laura Tasca