“Thiomargarita magnifica”; questo il nome dato ad un “batterio gigante” che è stato scoperto da un team di scienziati statunitensi e francesi a ridosso di boschi di mangrovie nel mar dei Caraibi (Figura 1). Le sue dimensioni potrebbero superare i 2 cm, più dei moscerini della frutta e di alcuni vermi nematodi.

La scoperta
Questa scoperta, riportata in dettaglio su Science solo pochi giorni fa, è sensazionale; non solo per la sua portata, ma anche per le affascinanti ripercussioni che può scaturire a livello teorico e pratico.
La Thiomargarita magnifica, con le sue caratteristiche, ha entusiasmato gli scienziati, che si sono trovati davanti a qualcosa di unico.
Come è noto, infatti, i batteri hanno dimensioni che variano mediamente tra 1 e 10 μm e sono distinguibili solo attraverso un microscopio.
Eppure, la Thiomargarita magnifica, supera nettamente queste misure arrivando fino a due centimetri di diametro e prendendosi il primato del più grosso batterio mai scoperto. E questo può aprire degli scenari mai visti sotto tanti aspetti. Anche perché non è solo la sua grandezza ad essere sorprendente.
Thiomargarita magnifica: caratteristiche uniche
Il batterio in questione è un Proteobatterio, appartenente alla famiglia delle Thiotrichaceae e al genere Thiomargarita, termine che si può tradurre con “perla solforosa”. Il suo aspetto, visto al microscopio, è tondeggiante e ricorda appunto una perla.
Come suggerisce il prefisso “Thio-”, questi batteri vivono in genere in ambienti con forte presenza di acido solfidrico; lo zolfo risulta essere un elemento necessario per il loro metabolismo. Questo genere di batteri si può trovare nelle infiltrazioni naturali di metano, presso i sedimenti vulcanici o nei fondali marini ricchi di sostanze organiche.
La vera particolarità strutturale è la presenza di due involucri, di cui uno contenente il DNA e un altro ricco di acqua. Il secondo, occupando circa il 70% del volume cellulare, sarebbe il vero responsabile delle dimensioni così sostenute.
Naturalmente, ciò che ha catturato l’attenzione degli scienziati è questo “organello” contenente l’acido nucleico, perché è una struttura tipica di una cellula eucariote, ma inserita in un organismo procariote. Inoltre, questa sacca racchiude il DNA compattato al suo interno, altra caratteristica che lo distingue dai batteri in genere, dove l’acido nucleico è libero di muoversi all’interno del citoplasma.
Naturalmente il suo genoma è stato sequenziato e anche qui ha stupito i ricercatori: 11 milioni di paia di basi per almeno 11,000 geni distinti, laddove di solito ve ne sono poco meno di 4,000 in un genoma di 4 milioni di basi.
Esperimenti di fluorescenza hanno inoltre stabilito che questo DNA presenta ben 500 mila copie di sequenze ripetute, la cui funzione è ovviamente oggetto di indagine.
Infine, osservazione non meno importante, anche i ribosomi sono inseriti all’interno del vacuolo contenente il DNA, il che fa presupporre un controllo più rigido della traduzione ed una complessità maggiore di quella che si si aspetta.
La comprensione della sua struttura è ora al vaglio degli scienziati, che dovranno capire le esatte funzioni di questi organelli e soprattutto studiarne approfonditamente il genoma.
Il precedente record
Il genere Thiomargarita comprende dei microrganismi già noti. Il precedente record di dimensioni apparteneva ad uno di questi, il Thiomargarita Namibiensis, che è stato scoperto nei fondali al largo della Namibia, all’interno di sedimenti ricchi di sostanze organiche. Questo batterio chemiolitotrofico può raggiungere anche gli 0,7 mm di diametro. Essendo privo di flagelli o qualsiasi altro organo di mobilità, si sposta solo attraverso le correnti; quando queste sono assenti, si deposita nei fondali.
Al microscopio appare come una struttura lineare di perle di grandi dimensioni, una in fila all’altra (Figura 2). Fino a poco temo fa, era il batterio che aveva fatto registrare le dimensioni maggiori; tuttavia, questo primato passa ora ad un parente stretto e molto più grande.

Una possibile connessione
L’esistenza di un genere di batteri così grandi potrebbe aprire la strada verso la comprensione delle strutture viventi più complesse, in riferimento alla storia evolutiva degli organismi.
I primi commenti degli scienziati sono concordi nel ritenere che questa scoperta potrebbe far rivalutare molte cose che sappiamo sul regno Bacteria.
Se prima la distinzione era piuttosto netta, ora potrebbe non essere più così.
Vale la pena riportare, tra le altre, le considerazioni di Kazuhiro Takemoto, biologo computazionale del Kyushu Institute of Technology, secondo cui questo batterio potrebbe essere “l’anello di congiunzione nell’evoluzione di cellule complesse”.
Insomma una scoperta che apre tante domande e che mostra, di nuovo, le grandi possibilità che offre la ricerca nel mondo della microbiologia.