Plastica sostenibile

Un avvento rivoluzionario e paradossale

Lo sappiamo bene, l’inquinamento legato alle materie plastiche rappresenta uno dei problemi principali del nostro secolo e uno degli argomenti su cui si concentra gran parte dello sforzo dei ricercatori scientifici dei nostri giorni. Due sono le strade principalmente battute: da un lato sviluppare una materia plastica sostenibile, che possa essere riciclata più facilmente rispetto a quelle tradizionali, dall’altro trovare modi più efficienti per riciclare le materie plastiche esistenti. [1]

La plastica in numeri

Non esiste ancora una soluzione univoca, ma senza dubbio il problema sta diventando sempre più urgente, se si pensa a quali sono i dati riguardanti la quantità e l’utilizzo della plastica negli ultimi 70 anni.

La produzione annuale di plastica è aumentata vertiginosamente a partire dagli anni ’50, raggiungendo quasi 350 milioni tonnellate nel 2017. I dati risultano in aumento rispetto al 2016 (335 milioni di tonnellate) e al 2015 (269 milioni di tonnellate). Di queste, 64,4 milioni di tonnellate sono state prodotte in Europa. Solo il 9% di tutta la plastica prodotta a livello mondiale a partire dagli anni ‘50 è stata correttamente riciclata, il 12% è stata bruciata negli inceneritori e il 79% è finita nelle discariche o nell’ambiente.

Circa 8,3 miliardi di tonnellate di plastica sono state prodotte a partire dagli anni ‘50. Ciò equivale, approssimativamente al peso di un miliardo di elefanti o a quello di 47 milioni di balenottere azzurre. [2]

A proposito di elefanti: una nascita sostenibile

Quello che maggiormente stupisce i lettori di oggi che si interrogano sulle radici di questo dannoso problema, è scoprire che ai suoi albori la plastica nacque come alternativa sostenibile. A metà del 1800, infatti, uno dei passatempi più in voga nell’alta borghesia americana era il biliardo, reso ancora più esclusivo dal fatto che le palline venivano prodotte utilizzando l’avorio. La pratica vergognosa per procurarselo dalle zanne degli elefanti era molto pericolosa e l’importazione dall’Africa aveva costi altissimi. Per questi motivi la fabbrica newyorkese Phelan e Collender nel 1863 offrì diecimila dollari a chi fosse riuscito ad inventare un materiale alternativo.[3]

Phelan and Collender Factory
Figura 1- Phelan and Collender Factory. [Fonte: https://en.wikipedia.org/]

Alla ricerca di un materiale innovativo

Il primo tentativo di ottenere una plastica sostenibile lo fece John Hyat, nel 1869, inventando la celluloide. Inizialmente questo materiale era ottenuto facendo reagire la canfora, una cera plastificante naturale, con nitrato di cellulosa. La celluloide fu il primo polimero di sintesi della storia, ma si rivelò presto inadatto per costruire le palle da biliardo. La sua elevata infiammabilità quando compressa creava degli schiocchi simili a colpi di pistola quando le palline collidevano l’una con l’altra, spaventando i giocatori. La celluloide era, però, lavorabile sotto forma di film, e per questo divenne il supporto ideale per creare le pellicole per la fotografia e il cinema [4].

Pellicola cinematografica prodotta con celluloide
Figura 2- Pellicola cinematografica prodotta con celluloide. [Fonte: https://www.chimica-online.it/]

La svolta della bachelite: una plastica sostenibile

La soluzione al quesito della Phelan e Collender giunse nel 1907, quando il chimico belga-americano Leo Baekeland riuscì a creare la bachelite, una sostanza composta da fenolo e formaldeide che si modellava con il calore e che, una volta raffreddata, non poteva più cambiare forma, neanche se scaldata nuovamente. Si trattava di un materiale innovativo e rivoluzionario: il primo termoindurente. Poiché riuscì a sostituire l’avorio salvò migliaia di elefanti da morte certa e in questo senso possiamo considerarla una plastica sostenibile. [5]

Telefono in bachelite, una plastica sostenibile
Figura 3- Telefono in bachelite. [Fonte: https://hpeinternational.com/]

La veloce ascesa della plastica

Da quel momento in poi numerosi scienziati cercarono di inventare nuovi materiali plastici, sempre più funzionali. Negli anni ‘20 cominciarono i primi esperimenti sui derivati del petrolio: nacquero così il plexiglass, il PVC e il poliuretano. Nel 1933 in Inghilterra venne inventato il polietilene, mentre nel 1935 in America fece la sua prima comparsa il nylon, la fibra sintetica usata per i tessuti. Avete presente i collant delle ragazze?

Giulio Natta: l’unico Nobel italiano

In questa veloce ascesa un contributo fondamentale giunse dalla Toscana. Nel 1952 Giulio Natta sperimentò la polimerizzazione lineare sul polipropilene, ottenendo quello che in chimica viene conosciuto come polipropilene isotattico, un polimero dalle proprietà straordinarie date dalla stessa configurazione di tutti i carboni asimmetrici, che gli conferiva leggerezza, flessibilità e termoresistenza. Lo brevettò con il nome di Moplen e nel 1963 gli regalò il Premio Nobel per la chimica, rendendolo ancora oggi l’unico italiano ad aver conquistato l’ambito riconoscimento.[6] La sua genialità è confermata anche dal fatto che a più di cento anni dalla sua invenzione, il Moplen abita ancora nella maggior parte delle nostre case, sotto varie forme: da scodelle e contenitori alimentari a utensili e coperchi.

Esempi di utilizzo del Moplen, un altro tipo di plastica sostenibile
Figura 4- Esempi di utilizzo del Moplen. [Fonte: https://www.mudeto.it/]

Da plastica sostenibile al problema di smaltimento

La nascita e l’evoluzione della plastica rappresentano uno dei più straordinari esempi di come il progresso scientifico possa cambiare radicalmente le abitudini della società, il più delle volte semplificandole, ma ci insegna anche come nella messa a punto di un materiale innovativo, così come nella progettazione di un qualsiasi intervento su scala industriale, non si possano e non si debbano mai trascurare le problematiche riguardanti lo smaltimento.

Anche l’oggetto o l’invenzione più affascinante diventa, prima o poi, rifiuto e a quel punto dobbiamo poterlo trattare nella maniera più corretta e sostenibile per il nostro pianeta.

Fonti

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Chiara Mochi

Chimica, con specializzazione in Chimica Fisica, attualmente Responsabile Assicurazione Qualità per un laboratorio prove accreditato. Nel tempo libero leggo, scrivo e gestisco la biblioteca del mio paese. Mi trovi qui: https://www.linkedin.com/in/chiaramochi/

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