Carne coltivata: cos’è? Quali sono le sfide di questa innovazione dell’industria alimentare?

La carne coltivata o “cell-based” è ottenuta da un processo biochimico che prevede la formazione di carne a partire da cellule staminali animali. Il prodotto finale replica dal punto di vista organolettico e nutrizionale la carne classica grazie all’uso di matrici e supporti per la crescita dei tessuti (Figura 1). La transizione a questa alternativa porterebbe alla drastica riduzione degli allevamenti animali e della macellazione. Di conseguenza si avrebbe un migliore utilizzo dei terreni attualmente adibiti agli allevamenti e alla produzione di colture destinate al consumo animale. Inoltre sarebbe possibile soddisfare la domanda crescente di carne su scala mondiale, fornendo un prodotto esente da antibiotici e ormoni e con un profilo nutrizionale ottimale.

 Esempio di prodotto ottenuto tramite coltura di cellule staminali bovine
Figura 1 – Esempio di prodotto ottenuto tramite coltura di cellule staminali bovine [Fonte: aiche.org]

Com’è fatta la carne coltivata?

Il tutto inizia dal prelievo di cellule staminali dagli animali e dalla selezione di una popolazione cellulare. Questa linea cellulare prolifera in un mezzo di coltura che presenta nutrienti, ossigeno, stimoli elettrici e meccanici e una temperatura controllata. La maturazione e la differenziazione dei tessuti in muscolo scheletrico, grasso e tessuto connettivo, dipende dal tipo di cellule iniziali e dalla matrice fornita dalle bio-impalcature. Si stima un tempo compreso tra le 2 e le 8 settimane per ottenere il prodotto finito a seconda del tipo di prodotto richiesto. Ad esempio, la carne macinata presenta una struttura meno complessa di una bistecca e richiede un minor tempo di produzione.

Nostante siano stati fatti grandi passi avanti, prima dell’ingresso sul mercato della carne coltivata, rimangono ancora molte sfide che possiamo unire in tre aree chiave: scale-up della produzione, sviluppo e design del prodotto, messa sul mercato e vendita.

Scale-up della produzione

Le principali aziende alimentari e diverse start-up stanno investendo nella ricerca dei metodi più efficienti per portare la carne coltivata ad una produzione su scala industriale. Tra i temi centrali si ha la selezione delle linee cellulari, l’ottimizzazione dei mezzi di coltura, lo scale-up dei bioprocessori e la scelta delle bio-impalcature.

Linee cellulari

La selezione delle cellule staminali si focalizza sulla ricerca di linee che possano autorinnovarsi e che siano in grado di differenziarsi nei vari componenti della carne. Un altro aspetto da considerare è ad esempio la velocità di proliferazione e le strategie di differenziazione. L’autorinnovamento viene definito come la capacità delle cellule di replicarsi e proliferare pur mantenendo la loro capacità di differenziarsi in uno o più tessuti. Ad esempio, le cellule staminali embrionali (ESCs) sono in grado di differenziarsi in ogni tipo di tessuto ma le cellule discendenti perdono via via questa capacità. Al contrario, cellule satellite, costituiscono i predecessori muscolari più accessibili per il tessuto del muscolo scheletrico in quanto richiedono il minimo input per differenziarsi in miotubi e tendono a replicare la struttura del muscolo di provenienza.

Mezzi di coltura

La ricerca sui mezzi di coltura cerca di renderli più economici attraverso l’ottimizzazione delle formulazioni, l’utilizzo di componenti non animali e le tecnologie di riciclo. Rispetto alle componenti animali vediamo l’esempio del siero fetale di bovino (FBS), uno dei principali fattori di crescita implementato nelle colture cellulari. L’uso porta a rischi di contaminazione e mantiene i problemi etici e di sostenibilità legati all’uso di animali. Replicare la composizione del FBS però, è attualmente molto costoso essendo una matrice complessa e ricca di metaboliti di diverse caratteristiche. Lo sviluppo di mezzi specifici per il tipo di cellule potrebbe quindi essere più vantaggioso dal punto di vista economico e di performance.

Bioprocessori per la coltivazione e bioimpalcature

I bioprocessori permettono il controllo di parametri importanti come i livelli di temperatura e ossigeno, la composizione del mezzo di coltura, il pH, i livelli di metaboliti e l’accumulo di biomassa. Molti dei reattori derivano da modelli industriali implementati in altre aree, ma per poter lavorare ad ampia scala e a basso costo è necessario un design specifico (Figura 2). Per questo motivo, diverse aziende si sono unite sotto il Cultivated Meat Modeling Consortium. Si propongono di sviluppare il design di bioprocessori attraverso modelli computazionali, andando a ridurre le risorse e i tempi necessari per una sperimentazione classica.

Bioprocessori installati nella sede EPIC di UPSIDE Foods
Figura 2 – Bioprocessori per carne coltivata installati nella sede EPIC di UPSIDE Foods [Fonte: UPSIDE Food]

Infine, le bioimpalcature, ovvero le matrici sulle quali prolifera la carne coltivata, possono essere costituite da vari materiali. Tra i più comuni troviamo polisaccaridi (es. chitosani, alginati o cellulosa), proteine o composti complessi come la lignina. Devono presentare proprietà biochimiche e meccaniche compatibili con le cellule ospitate, essere abbondanti, economici e soprattutto sicuri dal punto di vista alimentare.

Sviluppo e design del prodotto

Il prodotto che raggiunge il mercato deve avere caratteristiche di gusto, consistenza e apparenza il più simili possibili alla carne proveniente da animali. Di conseguenza, può essere necessaria un’ulteriore manipolazione come l’aggiunta di ingredienti che aiutino nel replicarne il colore, il profumo e le capacità di cottura. Essendo un’area recentemente sviluppata anche le procedure di controllo qualità richiederanno di essere adeguate al processo di produzione. Ai test standard si aggiungeranno anche test di stabilità e digeribilità, soprattutto per quanto riguarda i materiali delle bioimpalcature.

Messa sul mercato e vendita della carne coltivata

Le aziende implicate in questa transizione tecnologica dovranno infine dedicare parte dei loro investimenti ad un’analisi di mercato. L’obiettivo sarà definire i destinatari finali dei prodotti intesi sia come consumatori che come rivenditori. In un primo momento il costo della carne coltivata sarà più elevato, andando a selezionare una fetta di consumatori più ristretta che acquista in piccoli negozi specializzati per poi raggiungere anche i grandi supermercati con l’avanzamento tecnologico. Un’altra opzione potrebbe essere destinarla a ristoranti o catene di fast-food, andando a costituire un prodotto di punta ed innovativo. Ovviamente per permettere tutto ciò anche il controllo qualità dovrà adeguarsi alla normativa per i nuovi alimenti che è attualmente in fase di stesura.

Un altro punto chiave risulta la promozione e l’informazione dei consumatori in quanto spesso si incontra un blocco verso ciò che è sintetico e chimico. Ciò che potrà convincere anche i più scettici è che la carne ottenuta riusulta carne vera e non un’alternativa vegetale e il sapore e l’aspetto sono gli stessi. A livello nutrizionale presenta valori ottimali oltre ad essere più sana essendo esente da antibiotici ed ormoni normalmente utilizzati negli allevamenti intensivi. In conclusione, la sensibilizzazione verso l’impatto ambientale di questa scelta, può solo andare ad aggiungere punti a favore.

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Francesca De Angelis

Laureata magistrale in Chimica Analitica. Specializzata nelle analisi di campioni biologici per l'applicazione in studi clinici.

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