Gli OGM (organismi geneticamente modificati) sono per definizione gli organismi in cui il DNA è stato modificato in un modo differente da quanto avviene in natura.
Difatti, la produzione di un OGM è attribuita alla mano dell’uomo, che con l’utilizzo delle biotecnologie apporta modifiche al genoma. Nella fattispecie, ciò che si realizza è il trasferimento di geni da un organismo ad un altro, anche tra specie non correlate.
Al di là di tutto, lo sviluppo e l’utilizzazione della modifica genetica consente di creare in organismi come piante, batteri e sementi aspetti che li rendono più adatti alla sopravvivenza in natura, con conseguenti benefici nutrizionali aggiuntivi per l’uomo.
La storia che ha portato alla realizzazione dei primi prodotti OGM è composta da tre tasselli ed in tutti e tre sono coinvolti i batteri.
OGM e Bacillus thuringiensis
Storicamente, per preservare le piantagioni di mais dall’aggressione della piralide (Fig. 2), una peculiare larva che distrugge i chicchi di mais ed altri tipi di vegetali, si trattavano queste piante con insetticidi chimici.

Però, si notò che, in alcuni casi, piantagioni non trattate con gli insetticidi chimici, non erano soggette all’attacco della suddetta larva. Tali piantagioni vennero chiamate auto-protette.
Studiando questo fenomeno, si notò che sulla superficie delle foglie di queste piantagioni era ricorrente la presenza di Bacillus thuringiensis, un batterio gram+ che effettua sporulazione, la cui caratteristica è quella di possedere, oltre alla cellula madre ed alla prespora al suo interno, un cosiddetto corpo parasporale.

In particolare, tale struttura contiene una proteina cristallina, così abbondante da precipitare e cristallizzare all’interno del citoplasma del batterio. Per questo, essa venne chiamata proteina cry (Fig. 3).
Proteina cry
Isolando tale proteina da B. thuringiensis e somministrandola alle larve di piralide, si vide che essa andava a solubilizzare entro l’apparato gastrico dell’animale.

Specificamente, nel solubilizzarsi la proteina subisce un processo di attivazione e va a legare particolari recettori di superficie delle cellule dell’intestino medio della larva.
In questo modo, si vengono a generare dei veri e propri pori all’interno delle cellule intestinali della larva, provocandone la morte per lisi.
Inoltre, attraverso questi pori, batteri eventualmente ingeriti o residenti nell’intestino della piralide riescono ad attraversare la barriera delle cellule intestinali ed a raggiungere il torrente circolatorio, generando setticemia e morte della larva.
Invece, per quanto riguarda l’uomo, la proteina cry è una proteina come tante altre: nello stomaco è digerita dalle proteasi e continua ad essere degradata ulteriormente a livello del duodeno.
Dunque, si capì che questa tossina agisce solo a livello delle larve di piralide e, per tale motivo, fu definita bio-insetticida.
Successivamente, vennero caratterizzate diverse altre proteine cry, tutte con spiccate proprietà di bio-insetticida nei confronti di lepidotteri, ditteri o di coleotteri.
Reverse genetics e gene Bt
A questo punto, per identificare il gene che codifica per la proteina Cry in B. thuringiensis si ricorse alla “reverse genetics“, procedura nella quale si procede all’identificazione del gene d’interesse partendo dalla proteina.
In particolare, in tale tecnica si sequenziano gli aminoacidi di una proteina di interesse, si individuano delle regioni contenenti aminoacidi senza troppi codoni ridondanti e, sulla base di questi ultimi, si disegnano degli oligonucleotidi impiegati nell’amplificazione per mezzo di PCR del gene dal cromosoma. Successivamente, tale gene e la tossina da esso prodotta, venne chiamato Bt.
Nel momento in cui si riuscì a clonare tale gene, come prima cosa lo si sottopose ad organismi che producono grandi quantità di tale proteina, determinando la formazione di veri e propri bioinsetticidi in scatola contenenti polveri derivanti dalla liofilizzazione delle tossine Bt.

Tra i vari vantaggi della proteina Bt vi è innanzitutto il fatto che nel caso in cui l’uomo la ingerisse, l’intestino umano la utilizzerebbe come una qualsiasi proteina e, quindi, non creerebbe nessun problema.
Inoltre, per quanto riguarda l’ambiente non crea problemi d’inquinamento in quanto tale proteina è dotata tra l’altro di un’emivita breve.
OGM ed enzimi di restrizione
Il secondo tassello che ha condotto alla produzione dei primi OGM è rappresentato dagli enzimi di restrizione.
Parliamo di enzimi appartenenti alla classe delle idrolasi, che catalizzano il taglio endonucleolitico del DNA in corrispondenza di specifici siti palindromici.
Nella fattispecie, un sito di restrizione è palindromico perché presenta sequenze che si ripetono sui due filamenti con orientamento diverso.
La nomenclatura di tali enzimi dipende dal batterio di origine, ad esempio EcoR1 per Escherichia coli (restrizione 1, Fig. 5).

Un’enzima di restrizione può avere siti a quattro, sei o addirittura otto coppie di basi; quelli più frequenti sono a sei coppie di basi, come EcoR1.
Meccanismo di restrizione e modificazione
Il cromosoma del produttore dell’enzima di restrizione (ad esempio E. coli) è preservato dal taglio su sé stesso da un meccanismo di metilazione.
In particolare, una specifica metilasi associata all’enzima di restrizione tipico, in concomitanza alla duplicazione del DNA, riconosce e modifica per metilazione i siti di restrizione; evitando così l’autodigestione del cromosoma self.
Durante l’evoluzione i batteri hanno conservato questi enzimi così pericolosi per far fronte ad eventuali infezioni fagiche.
Difatti, nel caso in cui un batterio subisca l’infezione da parte di un fago ci saranno siti di restrizione sia sul cromosoma batterico che su quello virale. Però, mentre i siti di restrizione sul genoma batterico saranno metilati e, quindi, protetti dagli enzimi di restrizione di quel batterio, quelli presenti sul cromosoma virale resteranno “scoperti”.
Così, l’enzima di restrizione batterico potrà digerire il cromosoma virale, bloccando l’infezione fagica sul nascere. Dunque, questo meccanismo di restrizione e modificazione costituisce un primitivo sistema immunitario batterico per la difesa dai virus.
Quindi, la presenza degli enzimi di restrizione restringe la popolazione fagica ancora capace di infettare una determinata cellula batterica.
Utilizzo in ambito industriale e medico dei sistemi di restrizione
Per proteggere quanto più possibile un batterio d’interesse industriale o medico dalla lisi fagica dal sistema di restrizione e modificazione tipico di quel batterio, si aggiungono altri sistemi di restrizione e modificazione anche provenienti da ceppi batterici differenti.
In questo modo, quel ceppo d’interesse risulterà protetto non solo dai fagi con la sequenza self per il proprio sistema di restrizione, ma anche da quelli che hanno sequenze riconosciute da tutti gli altri sistemi di restrizione.
Concludendo il discorso di questo secondo tassello della storia degli OGM, ricordiamo che oggi è proprio grazie al taglio mediante enzimi di restrizione che è possibile inserire, ad esempio, il gene dell’insulina umana in un plasmide; quest’ultimo inserito in specifici siti batterici, farà sì che si produca insulina a partire, quindi, da batteri OGM.
Giovanna Spinosa
Fonti
- https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0261219420302027;
- https://dialnet.unirioja.es/servlet/articulo?codigo=7660280;
- https://www.microbiologiaitalia.it/didattica/organismi-geneticamente-modificati-ogm/.
Crediti delle immagini
- Figura 1: https://www.informatoreagrario.it/difesa-e-fertilizzazione/difesa/mais-difesa-piralide-diabrotica-contenere-micotossine/;
- Immagine 2: https://slideplayer.it/slide/2765215/;
- Figura 3: https://it.wikipedia.org/wiki/Delta-endotossina#/media/File:Bt_toxin.jpg;
- Immagine 4: https://www.starkbros.com/products/tools-and-supplies/pest-and-disease-controls/bonide-thuricide-bt;
- Figura 5: https://www.chimica-online.it/biologia/enzimi-di-restrizione.htm.