Balto, il cane che salvò l’Alaska dall'epidemia di difterite

Ebbene sì, Balto, cucciolo protagonista dell’omonimo film d’animazione del 1995 (Figura 1), è realmente esistito! L’intera trama del cartone animato si ispira, infatti, alla storia di un cane da slitta di razza siberian husky (quindi, tristemente, Balto non è un cane-lupo) che ha salvato un villaggio in Alaska da una pericolosa epidemia di difterite.

Correva l’anno 1925 quando a Nome, in Alaska, scoppiò un’epidemia di difterite. Il piccolo villaggio isolato si trovò in inverno inoltrato a corto di scorte di anatossina difterica e fu costretto a chiedere tutto l’aiuto possibile per raggiunge il rifornimento di vaccini più vicino, a circa 1700 km. Ricordiamo che erano i primi anni 20 e a quell’epoca anche le piccole distanze sembravano incolmabili. Per di più vi era una tempesta di neve con raffiche di vento polare molto forti in corso (blizzard).

Le condizioni metereologiche non permettevano dunque l’utilizzo di mezzi aerei per il soccorso. Anche le navi erano impossibilitate a navigare e ad attraccare a causa della presenza degli iceberg. L’unica soluzione possibile era rappresentata dalle staffette dei cani slitta, che al tempo venivano utilizzate per trasportare la posta.

Non è cane. Non è lupo. Sa soltanto quello che non è!

(cit. Boris)
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Figura 1 – Poster Movie. La locandina pubblicitaria del film d’animazione “Balto”, in uscita nel 1995, diretto da Simon Wells e prodotto da Steven Spielberg.

La storia vera

Nel gennaio del 1925, a Nome, iniziò a diffondersi la difterite, malattia infettiva che colpisce prevalentemente i bambini. Il primo caso infatti interessò proprio un bimbo di soli 2 anni che morì in breve tempo: la madre non dispose un’autorizzazione per l’autopsia per cui il malanno fu archiviato come tonsillite.

All’epoca la difterite era già ben conosciuta come malattia dell’infanzia, acuta ed altamente contagiosa, in grado di infettare principalmente l’apparato respiratorio: faringite, laringite e rinite difterica. Preoccupanti anche le complicanze cliniche a livello cutaneo, renale e del sistema cardiocircolatorio, che peggiorano in assenza di un’adeguata e tempestiva cura, fino a diventare potenzialmente mortali. Per questo in poco tempo gran parte della popolazione venne infettata ed il villaggio fu messo in quarantena.

Le scorte di antitossina erano terminate l’anno precedente e mai giunte a destinazione a causa della chiusura del porto ghiacciato. La riserva più vicina si trovava nella città di Anchorage, a 1.700 km di distanza da Nome e non direttamente collegata ad essa. Il clima avverso inoltre aveva inibito sia il trasporto navale che quello aereo e ferroviario. Non c’era dunque modo di far viaggiare il milione di unità sieriche che serviva alla popolazione inuit se non quello di avvalersi degli sled-dog. Si organizzarono dunque venti mute di cani da slitta da utilizzare come veri e propri corrieri.

La staffetta degli amici a 4 zampe

Balto fu solo l’ultimo degli sled-dog che si avvicendarono in questa corsa verso la salvezza. Percorse all’incirca una 80ina di Km guidato da Gunnar Kaasen (Figura 2) ed arrivò in città i primi di febbraio. Essendo il cane che completò la missione portando a destinazione il farmaco, al suo arrivo ricevette riconoscimenti e premi, passando alla storia come il cane-eroe. Il proprietario, il norvegese Leonard Seppala partecipò alla staffetta con un altro cucciolo di nome Togo: insieme percorsero il tratto più impegnativo ricoprendo una distanza di circa 145 Km.

La storia del cartone animato non è stata del tutto romanzata: Leonard Seppala non riteneva Balto all’altezza dell’impresa, anzi, egli stesso preferì correre con un altro cane che considerava più veloce, reputando Balto capace solo a trasportare posta e unicamente per brevi distanze.

L’intera staffetta durò solo 5 giorni, dalla città di Nenana dove si interrompevano le vie ferroviarie, a Nome. Con una temperatura pari a 40° sotto lo zero i normali corrieri avrebbero impiegato circa un mese per raggiungere il villaggio e probabilmente sarebbe stato troppo tardi, a causa della pericolosità della malattia.

Balto e G. Kaasen. La fotografia è stata scattata a Seattle il 21 marzo 1925 e ritrae il vero cane Balto assieme a Gunnar Kaasen, che ha guidato l’amico a 4 zampe per tutta la durata dell’ultimo tratto della staffetta salva-vita.
Figura 2 – Balto e G. Kaasen. La fotografia è stata scattata a Seattle il 21 marzo 1925 e ritrae il vero cane Balto assieme a Gunnar Kaasen, che ha guidato l’amico a 4 zampe per tutta la durata dell’ultimo tratto della staffetta salva-vita.

Ma adesso entriamo un po’ più nello specifico e cerchiamo di capire insieme, partendo da un focus sull’agente patogeno che causa la malattia, perché la difterite è così temibile.

L’agente patogeno

La difterite è causata da C. diphtheriae, un batterio Gram-positivo a forma di clava. Una volta stabilitosi nel tessuto bersaglio il batterio rilascia una tossina in grado di causare necrosi locale e delle mucose circostanti. C. diphtheriae infetta principalmente le alte vie respiratorie e solo raramente la cute (difterite cutanea). Se non neutralizzato in tempo, l’agente patogeno può dare origine ad un’infezione sistemica e definire un quadro clinico complesso, caratterizzato da sintomi generali come:

  • malessere diffuso, brividi, febbre, cefalea, ingrossamento dei linfonodi, eritemi, vomiti, formazione di ulcere;

sia da segnali tipici indicanti disfunzioni all’apparato digerente e respiratorio:

  • afonia, odinofagia e rinorrea con perdita di sangue, difficoltà a deglutire e/o respirare e formazione di un grosso e denso essudato fibrinoso di colore grigiastro a livello della gola, che impedisce il passaggio del cibo e dell’aria;

Il tutto concorre ad indebolire il Sistema Immunitario: nel soggetto contagiato insorgono sovrainfezioni sostenute principalmente dai batteri Streptococcus pyogenes e Staphylococcus aureus. Nei casi più gravi la malattia si complica portando a miocardite, insufficienza renale e paralisi dei nervi cranici e spinali.

C. diphtheriae è un batterio immobile che cresce sia in aerobiosi che in anaerobiosi. Ha un periodo di incubazione molto breve, non più di 5 giorni e si trasmette esclusivamente con un contatto diretto (respiro, tosse, starnuto, saliva e goccioline di Flugge). La diffusione del batterio è favorita in condizioni igienico-sanitarie scarse, per cui assume un carattere endemico nei Paesi in via di sviluppo mentre è stato quasi completamente debellato nei Paesi industrializzati. L’agente patogeno non contagia gli animali e l’uomo è l’unica fonte d’infezione conosciuta.

La tossina difterica

La difterite è una tipica tossinfezione. L’agente patogeno produce un’esotossina micidiale, la tossina difterica, cui è legata tutta la sua pericolosità. Non tutti i ceppi di  C. diphteriae sono però in grado di sintetizzarla, ma solo quelli infettati da un β-fago, che introduce nel batterio il gene tox codificante per la tossina stessa. Tuttavia la mancata sintesi della tossina in questione non è sinonimo di assenza di patogenicità nel ceppo, che comunque mantiene una certa capacità di invasione e colonizzazione delle vie aeree superiori.

La tossina è inizialmente sintetizzata come un unico peptide e la sua produzione è inversamente proporzionale alla concentrazione di Fe3+, che funge da repressore genico bloccando la trascrizione del gene tox. Successivamente ben due tagli proteolitici consecutivi portano alla produzione della tossina vera e propria, composta dai peptidi A e B, uniti insieme da un ponte disolfuro. Una volta secreti i peptidi legano specifici recettori cellulari che ne favoriscono l’endocitosi (Figura 3). In particolar modo la tossina presenta un certo tropismo per il fattore di crescita HB-EGF, fattore di crescita EGF-simile che lega l’eparina, particolarmente espresso sulle cellule cardiache e nervose.

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Figura 3 – Meccanismo d’azione della tossina difterica. Lo schema spiega le modalità con cui la tossina difterica è internalizzata nel citoplasma delle cellule dopo il legame con specifici recettori di membrana. Si noti che è il peptide B a legarsi alle cellule bersaglio, facilitando così l’endocitosi della subunità A, che da sola può esercitare l’azione catalitica.

Prevenire è meglio che curare

Oggi la difterite è una malattia curabile. La profilassi consigliata prevede un ciclo di vaccini in età infantile con successivi richiami, in modo tale da garantire un’immunità duratura nel tempo. In fase di post-esposizione possono essere usati farmaci antibiotici come penicillina ed eritromicina. In entrambi i casi si cerca di inibire l’azione della tossina difterica stimolando il rilascio di immunoglobuline specifiche.

L’immunizzazione attiva rappresenta dunque la terapia preventiva più efficace ed è consigliata anche agli adulti non vaccinati che hanno intenzioni di recarsi in quelle aree dove la malattia è endemica (Asia, Africa, Sud-America). Essa consiste nella somministrazione di antitossina difterica o tossoide difterico. Trattasi di un’anatossina prodotta a partire dalla tossina batterica stessa: la tossina difterica viene pre-trattata con formalina per essere inattivata e non risultare più dannosa per l’organismo, pur continuando a stimolare la produzione di anticorpi da parte del Sistema Immunitario.

Il vaccino antidifterico è solitamente somministrato per via intradermica ed è associato a quello antitetanico (vaccino bivalente). Ma esistono anche soluzioni di vaccino trivalente (difterite, pertosse, tetano) ed esavalente (difterite, pertosse, tetano, epatite B, poliomelite, Haemophilus influenzae di tipo B).

Non sei cane, non sei lupo! Sei eroe!

(cit. Boris)

Carla Caianiello

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