Bio-fotovoltaico e carta da parati: la straordinaria armonia

Chi ha detto che la carta da parati non è più di moda? E se vi dicessi che questo obsoleto “accessorio” potrebbe essere sia un pannello solare che una biobatteria? Una nuova concezione di bio-fotovoltaico da una collaborazione tra i ricercatori dell’Imperial College London, l’Università di Cambridge e la Central Saint Martins.

Bio-fotovoltaico: il vecchio e il nuovo

Il concetto di bio-fotovoltaico, tecnologia che utilizza microrganismi fotoautotrofi per produrre energia, non è nuovo. Questi microrganismi rilasciano elettroni sia durante la fase luminosa grazie alla fotosintesi, sia durante la fase oscura grazie al processo di ossidazione dei composti del carbonio derivati da CO2. Questo comporterebbe la produzione di energia anche al buio, al contrario del fotovoltaico tradizionale.

Nonostante le grandi aspettative, il bio-fotovoltaico presenta i suoi limiti. I dispositivi risultano essere molto ingombranti per via della presenza di riserve di liquidi ed è ancora difficoltosa la progettazione e miniaturizzazione degli elettrodi.

Lo studio condotto da Sawa e colleghi ha portato allo sviluppo di un concetto nuovo di bio-fotovoltaico. I ricercatori sono infatti riusciti ad utilizzare cianobatteri come fossero inchiostro, rendendoli quindi stampabili su superfici elettricamente conduttive a patterns definiti.

Una volta impressi su questi supporti, i microrganismi sono in grado di effettuare la fotosintesi ed accumulare piccole quantità di energia.

Questa tecnologia non si limiterebbe solo a produrre ed accumulare energia (bio-fotovoltaico e bio-batteria), ma sarebbe anche un ottimo indicatore della qualità dell’aria (bio-sensore) dall’elevatissima biodegradabilità.

Principio

I ricercatori scelsero come modello il cianobatterio appartenente al genere Synechocystis, microrganismi ben noti nel campo del bio-fotovoltaico. Colture liquide di questi cianobatteri sono state usate come bio-inchiostro all’interno di cartuccie da stampante.

I primi esperimenti dimostrarono che fosse possibile stampare questi microrganismi su carta e farli sucessivamente crescere su terreni colturali agarizzati. Analisi tramite fluorimetria confermarono che le cellule stampate ed incubate fossero fotosinteticamente attive (Fig. 1).

Stampa di cellule di Synechocystis dopo 3 giorni di incubazione (a) e fluorescenza emessa dalla clorofilla a dimostrazione della funzionalità dei fotosistemi (b).
Figura 1 – Stampa di cellule di Synechocystis dopo 3 giorni di incubazione (a) e fluorescenza emessa dalla clorofilla a dimostrazione della funzionalità dei fotosistemi (b) [Fonte: Sawa et al., 2017].

Questo suggerì che il processo di stampa non arrecasse danno alle cellule. Inoltre, la carta risultò essere il materiale migliore a confronto di altri, come tessuti e materiali plastici. Questo è probabilmente dovuto alla porosità della carta, caratteristica che la rende più traspirante ed assorbente.

Il bioelettrodo

Appurata la capacità di soppravvivenza del cianobatterio al processo di stampa, il passo sucessivo fu quello di testare la sua efficienza elettrogenica. I ricercatori costruirono quindi un bioelettrodo tramite un processo a due stampe. Venne prima stampato l’elettrodo su carta utilizzando un inchiostro conduttivo (nanotubi di carbonio in sospensione acquosa) e su questo venne poi effettuata la seconda stampa utilizzando i cianobatteri.

Venne quindi costruita una cella bio-fotovoltaica ibrida (Fig. 2) accoppiando l’elettrodo stampato (anodo) ad un elettrodo utilizzato nei dispositivi bio-fotovoltaici tradizionali (catodo). Questo per mettere a confronto l’efficienza dei due differenti sistemi.

Rappresentazione schematica della cella bio-fotovoltaica ibrida. In verde i cianobatteri, in nero gli elettrodi ed in azzurro l'hydrogel
Figura 2 – Rappresentazione schematica della cella bio-fotovoltaica ibrida. In verde i cianobatteri, in nero gli elettrodi ed in azzurro l’hydrogel [Fonte: Sawa et al., 2017].

I ricercatori osservarono che la densità di corrente massima generata dalle cellule stampate era di poco superiore a 4 mA m-2 alla luce e a 3 mA m-2 al buio. Questi valori sono fino a quattro volte superiori a quelli riscontrati in un bioelettrodo convenzionale.

I ricercatori monitorarono anche l’output di corrente in funzione del tempo e delle variazioni dell’intensità luminosa (Fig. 3). Si testarono tre differenti intensità luminose (100, 250 e 500 μE m-2s-1) a distanza di un’ora. Solo il sistema composto da cianobatteri stampati mostrava un aumento di corrente, mentre non si osservarono cambiamenti nel sistema convenzionale.

Output di corrente nella cella bio-fotovoltaica a tre differenti intensità luminose. La linea nera rappresenta l'output del sistema a cellule stampate, mentre la linea magenta rappresenta l'output del sistema convenzionale
Figura 3 – Output di corrente nella cella bio-fotovoltaica a tre differenti intensità luminose. La linea nera rappresenta l’output del sistema a cellule stampate, mentre la linea magenta rappresenta l’output del sistema convenzionale [Fonte: Sawa et al., 2017].

L’output di corrente generato dal bioelettrodo stampato era sufficiente ad alimentare piccoli dispositivi come led ed orologi digitali!

Il bio-fotovoltaico tutto su carta

Il passo successivo fu quello di stampare su carta sia il catodo che l’anodo seguendo un pattern definito. Il team scelse un pattern a zig zag al fine di ottenere una buona efficienza del dispositivo in spazi ridotti.

Come per il dipositivo bio-fotovoltaico descritto in precedenza, gli elettrodi vennero stampati in due passaggi. Il modulo bio-fotovoltaico risultava quindi composto da un catodo (inchiostro conduttivo), da un anodo (inchiostro conduttivo + cianobatteri) e da una sottile pellicola di hydrogel adagiata su di essi (Fig. 4). Questa pellicola aveva la duplice funzione di ponte salino fra gli elettrodi e di riserva di acqua e nutrienti per i cianobatteri.

Reppresentazione grafica del dispositivo bio-fotovoltaico stampato (sinistra) e fotografia di due moduli stampati operanti in serie (destra)
Figura 4 – Reppresentazione grafica del dispositivo bio-fotovoltaico stampato (sinistra) e fotografia di due moduli stampati operanti in serie (destra) [Fonte: Sawa et al., 2017].

La semplicità, i bassi costi di realizzazione e le dimensioni ridotte rappresentano i più grandi vantaggi di questo dispositivo bio-fotovoltaico.

A fronte di questo, la resa rappresenta il più grande svantaggio in termini di produzione di corrente. Infatti, l’output misurato risultò inferiore rispetto a quello riscontrato nel sistema bio-fotovoltaico ibrido (Fig. 2), ma stabile nel tempo.

Il team testò la stabilità su cicli di 10 ore di luce e 14 ore di buio per un periodo di 4 giorni. Il picco di produzione di corrente veniva raggiunto entro 3 ore dall’inizio della fase luminosa per poi restare stabile fino alla fase di buio. In assenza di luce si assisteva ad un calo di produzione di corrente fino ad un suo assestamento. Questo output si manteneva stabile per ore, sufficienti a ritornare alla fase luminosa.

Questo dispositivo bio-fotovoltaico potrebbe quindi essere utilizzato sia come bio-pannello solare di giorno che come bio-batteria durante la notte.

Prospettive

Saranno necessari ulteriori studi per migliorare le performance di questa carta bio-fotovoltaica. Ad esempio, si potrebbe migliorare la conduttività del circuito utilizzando inchiostri a base di elementi più conduttivi o utilizzare cianobatteri e alghe dal maggiore potenziale elettrogenico.

Questa scoperta potrebbe aprire la strada a nuove batterie monouso dal minimo impatto ambientale. Le applicazioni possono essere molteplici, come la creazione di carta da parati bio-fotovoltaica che possa produrre energia, ma anche funzionare da bio-sensore per il monitoraggio della qualità dell’aria.

Queste ed altre applicazioni ci accompagneranno nella vita di tutti i giorni del prossimo futuro? Lo vedremo.

Fonti

  • Sawa, M., Fantuzzi, A., Bombelli, P., Howe, C. J., Hellgardt, K., & Nixon, P. J. (2017). Electricity generation from digitally printed cyanobacteria. Nature communications, 8(1), 1327. https://doi.org/10.1038/s41467-017-01084-4

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Francesco Raimondi

Intraprendo la carriera di biologo presso l'Università di Bologna conseguendo la laurea magistrale in Biodiversità ed Evoluzione. Proseguo gli studi specializzandomi nel settore ambientale tramite il Master di II livello " Caratterizzazione e risanamento di siti contaminati" presso Cà Foscari Challenge School. Attualmente lavoro come specialista in microbiologia presso un laboratorio di analisi ambientali a Bologna e faccio parte del comitato scientifico di Wildlife Initiative, associazione attiva nel campo del conservazione.

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