La saccarificazione: il processo chiave per una birra di qualità

Generalità

La saccarificazione è un processo biochimico mediante cui polisaccaridi complessi e NON fermentescibili(amido), si trasformano in zuccheri più semplici e fermentescibili.

Questa può essere svolta attraverso un processo chimico sfruttando acidi diluiti, mediante muffe appartenenti al genere “Mucor”, oppure sfruttando il potere diastasico del malto d’orzo.

Saccarificazione - Osservazione al microscopio elettronico di granuli di amido d'orzo immersi in una matrice proteica.
Figura 1 – Osservazione al microscopio elettronico di granuli di amido d’orzo immersi in una matrice proteica. [iaassassari.com]

Saccarificazione mediante acidi diluiti

La saccarificazione mediante acidi avviene sfruttando l’interazione delle molecole di amido con acido solforico (H₂SO₄) o acido cloridrico (HCl) diluiti in acqua.Tale metodologia è utilizzata nell’industria chimica e prevede l’impiego di impianti molto costosi e tecnologicamente molto avanzati, nonché di una grande attenzione nell’applicazione degli acidi e di una costante manutenzione a carico dei macchinari, i quali, altrimenti, andrebbero incontro ad una irreversibile corrosione.

Questa saccarificazione non è applicata dall’industria alimentare, in quanto gli zuccheri fermentescibili ottenuti alla fine non si prestano per una produzione di alcoli di qualità.

Nel dettaglio, l’amido può essere trattato per mezzo di due processi distinti:

  • Processo Bergius con HCl;
  • Porcesso Scholler con H₂SO₄.

Nel caso dell’H₂SO₄ si arriva a 180°C, mentre con l’HCl restiamo a temperatura ambiente.

Con il processo Bergius la resa è maggiore ma l’azione corrosiva dell’HCl sulle macchine è difficilmente controllabile.

Saccarificazione mediante “Mucor

La saccarificazione mediante Mucor è una tecnica microbiologica, detta anche “Processo Amylo”, che sfrutta la naturale capacità di muffe, appartenenti al genere Mucor o Aspergillus, di convertire gli amidi in zuccheri fermentescibili.

Il vantaggio di essa sta nella possibilità di abbinare in un unico innesto le muffe utili alla saccarificazione e i liveiti utili alla successiva fermentazione alcolica (Saccharomyces carlsbergensis e Saccharomyces cerevisiae), ottenendo così una produzione di alcol più veloce.

In questo modo, lavorando adeguatamente, creiamo un processo dalla buona resa in alcol e tecnicamente più semplice da attuare. Tuttavia, muffe Mucor e Aspergillus sono responsabili di micosi ed infezioni nell’uomo, e per questo non sono semplici da applicare durante la preparazione.

Saccarificazione - Muffa appartenenete al genere Mucor
Figura 2 – Muffa appartenenete al genere Mucor [wikipedia.org]

Saccarificazione mediante “diastasi”

Per quanto riguarda la produzione di birra, visti i rischi, l’utilizzo di Mucor non è ad oggi pienamente diffuso e il metodo comune e classico prevede lo sfruttamento del buon potere diastasico del malto d’orzo; quest’ultimo, infatti, ha una importante quantità di enzimi al suo interno, molti dei quali, tra l’altro, aumentano e proliferano durante la germinazione.

Tuttavia, è bene sottolineare che non tutti i malti hanno lo stesso potere diastasico, il quale dipende anche dal grado di tostatura a cui i grani sono andati incontro: i malti d’orzo Pils o Weizen, ad esempio, sono malti poco tostati e con un elevato potere enzimatico; quelli Chocolate o Brown, invece, sono tostati per periodi più lunghi e presentano meno enzimi.

Durante il processo di saccarificazione per diastasi entrano in gioco non solo una grande quantità di enzimi ma soprattutto una grande varietà di questi, che agiscono a determinate temperature.

Gli enzimi responsabili della diastasi

Tra i vari enzimi responsabili della saccarificazione, troviamo:

  • Fitasi, tra i 30°C e i 52°C, utile a rompere la struttura della fitina in fosfato di calcio, fosfato di magnesio e acido fitico, al fine di abbassare sufficientemente il pH del mosto di birra e proseguire adeguatamente con le fasi successive;
  • β-glucanasi, a circa 40°C/45°C, che agisce sui β-glucani presenti sulla crusca esterna dei grani d’orzo(polisaccaridi come la cellulosa, in questo caso), composti da molecole di glucosio unite da legami β-glicosidici e la cui rottura permette una maggiore disponibilità successiva, e quindi efficiente estrazione, dell’amido;
  • Proteasi, che agisce sulle proteine tra i 50°C e i 54°C; è utile a ridurre il carico proteico sulla birra, il quale poi influirebbe sulla sua limpidezza, nonché ad ottenere amminoacidi liberi contenenti azoto, fonte di nutrimento per i lieviti (è bene che questa fase non si dilunghi eccessivamente, per evitare di produrre una quantità tale di amminoacidi che inciderebbe poi sul gusto finale della birra);
  • Amilasi, β e α, responsabili del processo di saccarificazione vero e proprio, durante il quale il nostro amido non fermentescibile si trasforma in zuccheri più semplici, utili sia alla successiva produzione di alcol nella birra, sia del gusto più o meno dolce nel prodotto finito.

β – amilasi e α – amilasi

I due enzimi, seppur agendo sulla stessa matrice di partenza (l’amido), scindono e trasformano questa in maniera diversa:

  • β – amilasi agisce ad una temperatura compresa tra i 55°C e i 65°C e scinde le grandi catene amidacee in monosaccaridi, disaccaridi e, in alcuni casi, trisaccaridi fermentescibili e quindi utili per il metabolismo dei lieviti. Tra i vari possiamo trovare glucosio, fruttosio, mannosio, maltosio, isomaltosio e maltotriosio;
  • α – amilasi, invece, agisce una saccarificazione entro un range di temperatura compreso tra i 65°C e i 75°C, accelerando i tempi di scomposizione dell’amido ma ottenendo degli zuccheri ben più complessi di quelli citati in precedenza e quindi non fermentescibili. Tra questi distinguiamo destrine e maltodestrine, che daranno al prodotto finito corpo e dolcezza.

Conclusioni

Per una buona birra, quindi, il metodo mediante Diastasi resta ancora oggi il più affidabile, con cui il mastro birraio può “giocare” con l’equilibrio delle temperature, al fine di permettere ad una delle due amilasi di lavorare maggiormente e avere una birra più alcolica o più dolce, in base alla qualità che vorrà ottenere.

Al termine di questi processi, l’attività enzimatica viene interrotta portando il mosto a circa 78°C. Segue il “Test della tintura di iodio”, utile a definire la buona riuscita del nostro processo di ammostamento, entro il quale, appunto, è avvenuta la saccarificazione.

Saccarificazione - Piattino contenente mosto di birra e tintura di iodio. Quest'ultima, mantenendo il suo colore anche a contatto con il mosto, ci indica la fine della fase di ammostamento.
Figura 3 – Piattino contenente mosto di birra e tintura di iodio. Quest’ultima, mantenendo il suo colore anche a contatto con il mosto, ci indica la fine della fase di ammostamento. [ilbirraiomatto.it]

Fonti

Crediti immagini

Articoli suggeriti

Foto dell'autore

Davide Puntorieri

Dottore in Scienze gastronomiche e oggi studente di scienze e tecnologie alimentari (LM-70) presso l'Università degli studi Mediterranea di Reggio Calabria.