Ciascun animale porta con sé un bagaglio di centinaia di miliardi di microorganismi, il proprio microbiota intestinale. Quando mangia, quindi, non nutre solo se stesso, ma anche i suoi minuscoli ospiti. Esiste allora una relazione tra le abitudini alimentari di una specie e il suo microbiota. E questo è vero anche e soprattutto per animali con una dieta… particolare!
Un alimento non ideale
I pipistrelli vampiro si nutrono di sangue. E ne consumano anche parecchio: le tre specie, il vampiro vero di Azara (Desmodus rotundus), il vampiro dell’Amazzonia (Diaemus youngi) e il vampiro senza coda (Diphylla ecaudata), ne ingurgitano ogni giorno una quantità pari al 50% del loro peso.
Il sangue è però composto principalmente da proteine, con una minima parte di vitamine e carboidrati, quindi non è certo un pasto bilanciato. Contiene poi grandi quantità di ferro, che, se assorbito in eccesso, rischia di danneggiare organi come fegato, cuore e pancreas. Ma il sangue è anche pericoloso: ad ogni pasto, il pipistrello viene a contatto anche con i patogeni che infestano la sua preda.
Quindi i pipistrelli vampiro hanno sbagliato tutto nella vita? Forse no.
Come ci si può nutrire di sangue?
Secondo una ricerca pubblicata su Nature, la risposta è scritta nei geni. Ma non solo in quelli del mammifero.
Nei pipistrelli vampiro, anche il microbiota intestinale si sarebbe evoluto per affrontare le numerose sfide imposte da un’alimentazione basata esclusivamente sul consumo di sangue. I ricercatori hanno sequenziato il genoma delle tre specie di vampiri e raccolto le loro feci, in modo da analizzare parallelamente il DNA dei batteri che vivono nell’intestino. Hanno poi confrontato i due genomi con quelli di pipistrelli non emofagi, con un’alimentazione a base di insetti, frutta o carne.
Un piccolo grande aiuto dal microbiota
Sebbene il genoma dell’animale presenti delle peculiarità, è stato subito chiaro che queste da sole non bastano: il contributo del microbioma è fondamentale. Più che la sua composizione, ci interessano le funzioni. I batteri dei pipistrelli vampiro si sarebbero specializzati per garantire al loro ospite un adeguato apporto nutrizionale o per rinforzare il suo sistema immunitario.
Gli studiosi hanno verificato nei batteri l’espressione dei geni che codificano per enzimi impegnati nella biosintesi di vitamine e cofattori o nella produzione di composti a base di carbonio come gli zuccheri, tutte sostanze che scarseggiano nel sangue. I batteri dell’intestino aiutano anche l’animale a immagazzinare meglio i grassi e a mantenere sotto controllo la quantità di ferro libero, legandolo a una proteina chiamata ferritina.
La viscosità e coagulazione del sangue rappresentano oltretutto un ostacolo alla sua ingestione e digestione. Anche in questo caso i batteri vengono in aiuto producendo enzimi in grado di degradare i fattori della coagulazione, rendendo l’alimento più accessibile al loro ospite.
Mentre mancano carboidrati, vitamine e lipidi, le proteine sono fin troppo abbondanti e possono causare danni ai reni. Ma i batteri pensano anche a questo, aumentando la produzione di enzimi associati al metabolismo degli amminoacidi e alla degradazione dell’urea.
E i patogeni? Il microbioma dei pipistrelli vampiri è sorprendentemente ricco di batteri “protettivi”, in grado di produrre composti antivirali contro batteriofagi e poxvirus.
L’importanza dell’ologenoma
Se i pipistrelli riescono nell’impresa di nutrirsi di solo sangue, il merito non è soltanto loro, ma di quello che viene definito “ologenoma” (che comprende sia il genoma che il microbioma intestinale). Lo studio ha permesso di scoprire caratteristiche disseminate sia nei geni dell’animale che in quelli dei suoi batteri: i due genomi agiscono in sinergia e si sono adattati alla reciproca presenza. Quello che vediamo è quindi il risultato atipico di una lunga coevoluzione, che ci ricorda l’importanza di studiare l’evoluzione di adattamenti complessi sempre in un contesto ologenomico.
Erika Salvatori
Fonte: M. Lisandra Zepeda Mendoza et al. Hologenomic adaptations underlying the evolution of sanguivory in the common vampire bat. Nature Ecology & Evolution 2, 659–668 (2018)
Article | OPEN | Published: 19 February 2018
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