Un gruppo di studiosi ha per la prima volta scattato una fotografia molecolare di come alcuni batteri riescano a degradare il toluene, per fini prettamente metabolici. Ricordiamo che il toluene è classificato come nocivo e facilmente infiammabile, danneggia i nervi, i reni ed il fegato ed un regolare contatto può portare ad intossicazione metabolica.
L’articolo, pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature da ricercatori dell’Università Wisconsin di Madison, illustra come il processo, “avviene a livello atomico, con un gioco di scambi di elettroni e atomi”. Questo studio alimenta sempre di più la speranza che i microrganismi possano effettivamente giocare un ruolo cruciale per la decontaminazione di ambienti inquinati da idrocarburi, non solo a livello teorico, ma anche in situazioni di sversamenti ambientali di petrolio. I microrganismi devono nutrirsi di sostanze e molecole che trovano nell’ambiente, alcune delle quali riescono a degradare, mentre altre no. Alcuni batteri, chiamati idrocarburo-degradanti, hanno la peculiarità di utilizzare composti che risulterebbero tossici per la stragrande maggioranza di batteri come fonti di energia e per questo motivo sono stati attenzionati dagli scienziati per utilizzarli per il risanamento ambientale in circostanze per le quali le attuali tecniche risanative spesso portano sia danni che benefici. Alcuni batteri noti per la loro capacità degradativa nei confronti degli idrocarburi hanno nomi quasi impronunciabili, come Alcanovirax, Oleiphilus, Oleispira e Thalassolituus.
Le attuali tecniche per contenere uno sversamento petrolifero sono di contenimento e prevedono generalmente l’utilizzo di panne galleggianti, panne assorbenti, macchine scrematrici, tecniche di aspirazione, componenti chimiche disperdenti e quant’altro. L’utilizzo di questi batteri “mangia-petrolio” sarebbe invece una tecnica assolutamente ecosostenibile, senza costi esorbitanti e senza effetti sull’ecosistema marino, situazione ben diversa rispetto all’utilizzo di composti chimici sversati nell’ambiente a fini contenitivi. Questi microrganismi, infatti, crescono esponenzialmente in presenza della fonte di carbonio, per poi svanire nel nulla in una sorta di dormienza quando la fonte stessa è terminata. Tali batteri non sono patogeni per l’uomo e non interferiscono con la normale nicchia ecologica ambientale, per cui il loro utilizzo sarebbe un’arma potente e silente, senza cioè effetti nocivi per l’ambiente contaminato.
L’utilizzo di questi speciali batteri potrebbe quindi risolvere situazioni disastrose, come la tristemente nota vicenda dello sversamento di Deepwater Horizon nel Golfo del Messico, ma attualmente il loro impiego non è consentito in ambienti aperti, per cui bisognerà aspettare ancora diversi anni affinché possano essere utilizzati come arma risolutiva nei disastri petroliferi.
Francesco Centorrino
Fonti:
http://www.tgcom24.mediaset.it
https://it.wikipedia.org