Un virus conferma la teoria dell’evoluzione di Charles Darwin!

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I ricercatori hanno potuto osservare la speciazione per la prima volta in un piccolo container da laboratorio, guardando un virus che si evolve in due specie completamente nuove nel corso di un solo mese. Lo studio è un’ulteriore conferma della teoria evoluzionistica di Darwin e del processo di speciazione (ovvero la nascita di una nuova specie).

I biologi dell’Università della California di San Diego e dell’Università statale del Michigan erano pronti ad aspettare un po’ per i risultati quando hanno iniziato un esperimento per studiare la speciazione, un processo evolutivo proposto da Charles Darwin in cui una specie si divide in due specie distinte. Adesso immaginate la loro sorpresa quando hanno assistito al processo dopo un solo mese!

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Batteriofago Lambda

In uno studio pubblicato in Science, il ricercatore Justin Meyer e colleghi, spiegano che hanno coltivato un virus noto come Batteriofago lambda, che può infettare batteri E. coli utilizzando due recettori. Poi i ricercatori hanno dato al virus due tipi di cellule da infettare, ognuno con il proprio tipo di recettore, e hanno visto come si è evoluto in due specie completamente nuove, ciascuna specializzata in un tipo di recettore.

 

Darwin aveva ragione?

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La speciazione è stata sempre difficile da studiare accuratamente perché avviene troppo lentamente per osservarla direttamente“, ha detto Meyer. “Senza prove dirette della speciazione, alcune persone hanno dubitato dell’importanza dell’evoluzione e della teoria di Darwin sulla selezione naturale“.

Non c’è bisogno di essere scettici adesso. “Con questi esperimenti, nessuno può dubitare se la speciazione si verifica“, ha continuato. “Ancora più importante, ora abbiamo un sistema sperimentale per testare molte idee sul processo precedentemente non verificabili “.

Questa ricerca è abbastanza incredibile e gli esperimenti futuri ci insegneranno ancor di più sui processi di speciazione ed evoluzione. Combinata con la nostra conoscenza avanzata della genetica, questa nuova informazione potrebbe aiutarci a comprendere come vivere più a lungo, trattare le malattie o forse anche eliminarle totalmente.

Charles Darwin aveva ragione! I più forti sopravvivono e potremmo usare questa conoscenza sulla speciazione per assicurare che la nostra specie sia la più adatta possibile.

 

Salvatore Gemmellaro

 

Fonte: Science; Futurism

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Francesco Centorrino

Sono Francesco Centorrino e sono il creatore di Microbiologia Italia. Mi sono laureato a Messina in Biologia con il massimo dei voti ed attualmente lavoro come microbiologo in un laboratorio scientifico. Amo scrivere articoli inerenti alla salute, medicina, scienza, nutrizione e tanto altro.

1 commento su “Un virus conferma la teoria dell’evoluzione di Charles Darwin!”

  1. Il batterio E. Coli è infettato da un virus dotato di una notevole “fortuna”
    Secondo quanto riferito dalla prestigiosa rivista scientifica, le stesse quattro mutazioni casuali in due settimane sono avvenute 24 volte in 96 esperimenti.
    Evidentemente qualcosa non torna.

    “Innovazione in tempo reale” si intitola un articolo apparso su Le Scienze di Marzo 2012, il caso a cui si riferisce è quello del virus Lambda, un fago che infetta il batterio E. Coli. Il virus attacca il batterio legandosi ad una proteina di membrana denominata LamB, il ricercatore Justin R. Meyer ha allora verificato cosa sarebbe accaduto nel caso in cui una mutazione avesse ridotto le proteine LamB a disposizione.

    Dopo una prevedibile riduzione della popolazione virale nella quale sono sopravvissuti solo quei virus particolarmente capaci di legare LamB, è stata osservato che alcuni virus hanno cominciato ad infettare E. Coli passando attraverso un’altra proteina, la OmpF.

    Lo studio era stato già segnalato in un articolo, sempre su Le Scienze, il 27 gennaio 2012, col titolo “Quante mutazioni ci vogliono per evolvere un nuovo tratto?” in cui si evidenziava il processo di “coevoluzione” nel quale il cambiamento del virus avviene insieme a quello del batterio. Nell’articolo è anche possibile trovare un’immagine che permette di visualizzare il processo di cambiamento del virus lambda:

    Quante mutazioni ci vogliono per evolvere un nuovo tratto?

    Cortesia AAAS / J.M. Thompson

    Come evidenziato dalla figura, la mutazione del batterio viene compensata dal virus con 4 mutazioni che spostano l’attività su OmpF, come possiamo leggere sul numero di marzo:

    Ripetendo l’esperimento 96 volte, i ricercatori hanno ottenuto 24 ceppi virali capaci di legare OmpF: tutti avevano in comune 4 mutazioni. Perché il virus sviluppi la nuova modalità infettiva ci vogliono tutte, ma non è necessario che vengano acquisite contemporaneamente.

    L’esperimento è stato dunque ripetuto 96 volte mostrando la comparsa di 24 ceppi virali con le 4 mutazioni necessarie per legare OmpF, mutazioni che, secondo quanto riferito nell’articolo non sarebbero avvenute tutte contemporaneamente.

    Nell’articolo non è indicato il numero di basi del gene in cui le 4 mutazioni sono avvenute, ma azzardiamo comunque un’ipotesi, e anche ipotizzando una sequenza estremamente breve di 10 basi, la probabilità che su di esse si verifichino 4 specifiche mutazioni non è molto alta: 1/10 x 1/10 x 1/10 x 1/10 = 1/10.000.

    Ma non basta, il fatto si sarebbe ripetuto per ben 24 volte su 96 tentativi, una percentuale pari al 25% dei casi. Dai dati a nostra disposizione dovremmo dunque dedurre che un evento con probabilità 1/10.000 si è invece verificato sperimentalmente con una frequenza di 1/4.

    Dire che qualcosa non torna sembra effettivamente “riduttivo”.

    Quanto avvenuto al fago Lambda sembra proprio non essere compatibile con il meccanismo neodarwiniano di caso e necessità. A questo punto si possono fare un paio di ipotesi:

    -Il virus è programmato a variare spostando l’azione tra il recettore LamB e quello OmpF. E allora non c’è nessuna evoluzione.

    -Il virus si adatta veramente evolvendo, allora però si assiste ad un’evoluzione non neo-darwiniana in quanto la percentuale di virus che evolvono è troppo alta e non compatibile con le probabilità attese.

    Il fatto poi che le 4 mutazioni possano anche non comparire contemporaneamente solleva un’ulteriore riflessione: se prima di essere presenti tutte e 4 il virus non ha alcun vantaggio, come potrebbe agire la selezione naturale?

    Ma, come di consueto, anziché sollevare degli interrogativi, il caso del virus Lambda diventa inspiegabilmente una conferma del paradigma neodarwiniano:

    “Insomma, l’insieme di questi dati chiarisce che in fondo il cocktail per l’evoluzione di tratti innovativi contiene ingredienti già noti: mutazioni genetiche, selezione naturale e contingenza”.

    Come volevasi dimostrare…

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