Collezioni di microrganismi e ceppoteche: uno sguardo d'insieme (parte I)

Conservare i microrganismi

Il ruolo fondamentale svolto dai microrganismi nel permettere e mantenere la vita sulla Terra è indiscusso, ma da quando l’uomo ha imparato ad usarli anche per i propri fini (ad esempio nutrirsi o curarsi), la loro importanza è aumentata se possibile ancora di più.

Per poter conoscere, studiare e di conseguenza utilizzare i microrganismi, è tuttavia necessario saperli coltivare e conservare adeguatamente: sono nate cosi’ in tempi moderni le prime raccolte di microrganismi, all’inizio per lo più realizzate soltanto da Enti ed Istituti Universitari specializzati.

Il loro fine era creare un punto di riferimento istituzionalizzato per la raccolta, la conservazione ed al bisogno anche la reperibilità, di colture pure di particolari microrganismi o di singoli ceppi di essi che avessero un qualunque interesse, sia storico accademico che strettamente applicativo.

Col passare degli anni e col progresso delle conoscenze scientifiche, le collezioni di microrganismi e le ceppoteche (cioè le collezioni di singoli ceppi di specie microbiche) sono però aumentate di numero e sono state realizzate anche da Enti Governativi, multinazionali industriali o Istituti medici, data la loro capitale importanza in numerosissimi ambiti diversi.

In generale, una collezione di microrganismi o una ceppoteca è un vero e proprio archivio in cui cellule microbiche, ottenute da una coltura pura, dopo essere state caratterizzate e classificate vengono mantenute in uno stato inattivo grazie a vari metodi, debitamente stoccate in opportune condizioni ambientali, al fine di essere conservate per un tempo indeterminato.

Inattivazione microbica e tecniche di conservazione

Per conservare a lungo i microrganismi è necessario inattivarli, ovvero sopprimere la loro capacità funzionale in termini di crescita (riproduzione), sintesi di metaboliti e reazioni enzimatiche evidenti.

Nelle grandi collezioni microbiche e nelle ceppoteche, si utilizzano principalmente tre metodiche per raggiungere tale scopo, tutte e tre ovviamente condotte in condizioni tali da non danneggiare i microrganismi e da garantire la reversibilità dello stato d’inattivazione.

  • La conservazione in azoto liquido a -196 gradi centigradi: è la tecnica più utilizzata ed al medium conservante viene aggiunta glicerolo quale agente crioprotettivo. E’ infatti necessario evitare assolutamente la formazione di macrocristalli, che porterebbero alla lisi (e quindi alla morte) cellulare. Il mantenimento in azoto liquido garantisce un periodo di conservazione che può andare ben oltre i 15 anni.
  • Lo stoccaggio della coltura in congelatore (si utilizzano temperature di -20, -70 o anche -80 gradi centigradi, a seconda della tolleranza della specie batterica interessata).
  • La liofilizzazione (più raramente e quando si hanno colture in sospensione): in essa, ad un preliminare congelamento della sospensione batterica segue la disidratazione per sublimazione. Se ben sigillata, è stato documentato che una coltura liofilizzata possa sopravvivere anche per 30 anni.

Una metodica di recente invenzione e largamente adottate dalle Cryobanks (cioè dalle collezioni che sfruttano unicamente le basse temperature) è inoltre la “Protect Technology”.

Si tratta di speciali contenitori in cui, oltre al medium conservante (contenente comunque glicerina), sono presenti particolari microsfere di materiale poroso, solitamente un derivato della ceramica.

Tali sfere vanno a costituire la superficie cui aderiscono i microrganismi nel medium ed agevolano inoltre il prelievo di questi ultimi quando la coltura dovrà essere utilizzata.

Si possono immaginare le collezioni di microrganismi e le ceppoteche insomma quali vere Biobanche, con le proprie “cassette di sicurezza” tenute però sotto azoto liquido o ben chiuse in congelatore dentro alle quali microrganismi diversi (batteri, lieviti, funghi e muffe) riposano indisturbati, sino al momento in cui dovesse essercene bisogno (Fig. 1).

crioconservazione nelle collezioni microbiche e nelle ceppoteche
Figura 1- La crioconservazione è senza dubbio la tecnica d’elezione utilizzata dalle collezioni microbiche e dalle ceppoteche di tutto il mondo.

Le principali collezioni di microrganismi esistenti

Esistono numerose collezioni diverse di microrganismi al mondo.

In alcuni casi si tratta di piccole realtà storiche legate a singole Università, mentre in altri casi si tratta invece di archivi microbiologici imponenti, ben organizzati e che non di rado offrono persino servizi di spedizione di colture su richiesta ai laboratori industriali o di ricerca.

Le potenzialità insite nella disponibilità delle collezioni e la necessità di reperire un certo ceppo o una certa specie in coltura pura, sono tali che è nato anche un catalogo elettronico mondiale, il WDCM (“World Data Centre For Microrganism”), che raccoglie 194 ceppi di 49 collezioni internazionali diverse.

Ognuno dei ceppi è contrassegnato nel WDCM da un codice specifico per questo database, che tuttavia è collegato trasversalmente al codice identificativo proprio che il microrganismo possiede nella collezione cui fa parte: questo permette la sua sicura reperibilità univoca.

In particolare per quanto riguarda le collezioni, la presenza della sigla ATCC® contrassegna specificatamente i ceppi conservati e rilasciati dall’American Type Colture Collection.

Si tratta della collezione di fatto più prestigiosa e conosciuta degli Stati Uniti, tanto importante che è essa stessa a certificare ceppi anche per conto di altri enti minori, dopo averli sottoposti a rigidi controlli qualità di purezza e titolo, rilasciando quella che viene definita: “ATCC® Licensed Derivative”.

In Europa, le collezioni maggiori di microrganismi vari sono invece la tedesca DSMZ (“Deutsche Sammlung von Mikroorganismen und Zellkulturen”), l’inglese NCTC (“National Collection of Type Cultures, a Culture Collection of Public Health England”) e la belga BCCM (“Belgian co-ordinated collection of microrganisms”).

Ne esistono tuttavia anche altre, alcune delle quali sono molto importanti ma che conservano solo ceppi legati esclusivamente a finalità specifiche di ricerca (Fig.2).

archivio microbico dell'agenzia ENEA
Figura 2 – A Settembre del 2019 l’agenzia europea per l’ambiente, l’ENEA, ha inaugurato una collezione microbica molto importante dedicata alla salvaguardia della biodiversità. Essa raccoglie 1500 tra batteri, funghi, alghe ed anche virus.

A questo proposito, si può ricordare ad esempio il cosiddetto “Caveau globale” creato dalla professoressa Maria Gloria Dominguez Bello della Rutgers University, che ospita campioni di microbiota di persone che non usano cibi trasformati o antibiotici per studiare gli effetti del loro stile di vita sulla microflora intestinale. Per approfondire su questo interessante studio, si rinvia al nostro articolo:

Una delle collezioni microbiche più particolari e che merita di essere menzionata è tuttavia sicuramente quella che si trova nei pressi di Londra, la quale raccoglie una vasta gamma di pericolosi agenti infettivi per l’uomo. Per approfondire su questo tema, si rinvia al nostro articolo:

https://www.microbiologiaitalia.it/batteriologia/la-banca-piu-pericolosa-della-terra-si-trova-nei-pressi-londra/

Dal momento che i microrganismi degli archivi microbici sono colture pure accuratamente titolate e caratterizzate, nel seguito ci si riferirà ad essi con l’appellativo di “microrganismi standardizzati”.

Tanti possibili usi: poche (ma rigide) normative

Come si può dedurre dagli esempi riportati in precedenza, una collezione microbica può rispondere a molteplici scopi e finalità diverse.

In ambito medico ed ospedaliero, questi archivi permettono ad esempio di avere a disposizione e conservare specie e ceppi patogeni da utilizzare nei test diagnostici o nella ricerca della terapia più idonea.

In ambito industriale invece, le biobanche microbiche vengono realizzate per conservarvi ceppi di microrganismi (wild type oppure mutanti accuratamente selezionati) che siano autoproduttori di metaboliti d’interesse, oppure quali colture starter per certi processi.

I microrganismi standardizzati trovano insomma ampio utilizzo nei laboratori microbiologici e di controllo qualità in tutti i settori: solo per citarne qualcuno, nei test di fertilità e selettività dei terreni di coltura, nella verifica dell’attività di sostanze battericide o batteriostatiche, nel Microbial Limit Test dei prodotti farmaceutici, nel controllo dell’efficienza dei filtri per gli ambienti asettici, nonché nel controllo dei sistemi d’identificazione batterica.

Nell’ambito dei test di controllo qualità e di verifica della sterilità, avere a disposizione delle colture pure di cui si conosce il titolo è importante soprattutto perchè significa avere standard microbici di sicuro riferimento, coi quali è possibile calcolare un importantissimo indice, il bioburden (ovvero la carica microbica) di una certa sostanza.

Data la potenziale molteplicità delle applicazioni dei microrganismi standardizzati, ci si aspetterebbe una speculare vastità di normative riguardo come utilizzarli, invece non è cosi’.

Grazie alla creazione e all’adozione delle Farmacopee internazionali infatti, è stato possibile codificare poche ma stringenti linee guida che indicano chiaramente, in base al tipo di controllo di sterilità che si desidera realizzare, il terreno di coltura ed il microrganismo specifico da usarsi.

La Farmacopea Europea ad esempio, armonizzata con quella americana, per le analisi microbiologiche di controllo qualità volte alla verifica della sterilità, suggerisce addirittura il ceppo specifico per i test, riportandolo con la sua certificazione “ATCC® Licensed Derivative”.

Si ha cosi’ che per le verifiche di fertilità/selettività essa suggerisca:

  • Aspergillus niger ATCC 16404
  • Bacillus subtilis ATCC 6633
  • Candida albicans ATCC 10231
  • Clostridium sporogenes ATCC 11437 oppure ATCC19404
  • Escherichia coli ATCC8739
  • Pseudomonas aeruginosa ATCC 9027
  • Salmonella enterica (subsp. enterica serovar Typhimurium ATCC 14028 oppure subsp. enterica serovar Abony NCTC 6017)
  • Staphylococcus aureus ATCC 6538

Alle Farmacopee internazionali si affiancano poi le diverse normative ISO, monografie più specifiche riguardanti soltanto alcuni utilizzi particolari.

A questo proposito, merita di essere menzionata ad esempio la ISO 11133:2014, che codifica le procedure della preparazione dei terreni di coltura e specifica quali siano i ceppi da utilizzare per testarne le performances.

La seconda parte di questo articolo, che verrà pubblicata in data 25 Dicembre, tratterà dei principi e delle precauzioni da osservare durante il lavoro in laboratorio quando si utilizzano microrganismi standardizzati, delle due principali categorie di ceppi microbici “ATCC Licensed Derivative” più utilizzati al mondo e della rivitalizzazione dei microrganismi crioconservati)

Fonti

Sitografia:

Sitografia di approfondimento:

Sull’importanza dell’archivio microbico dell’Enea in ambito europeo, si rinvia ai seguenti articoli:

Crediti per le immagini

Immagine in evidenza:

Figura1:

Figura 2:

Foto dell'autore

Francesco Centorrino

Sono Francesco Centorrino e sono il creatore di Microbiologia Italia. Mi sono laureato a Messina in Biologia con il massimo dei voti ed attualmente lavoro come microbiologo in un laboratorio scientifico. Amo scrivere articoli inerenti alla salute, medicina, scienza, nutrizione e tanto altro.

1 commento su “Collezioni di microrganismi e ceppoteche: uno sguardo d'insieme (parte I)”

  1. Salva, Simone! l´Italia è merita di una ceppoteche di riferimento, non credi? lavoriamo su questo concetto…
    Grazi per la vostra collaborazione!

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