Gli endofiti e il loro ruolo nelle piante

Per endofiti si intendono organismi che vivono all’interno di altri organismi. In questo articolo tratteremo principalmente di endofiti delle piante indagando quelle che sono le loro principali funzioni nei confronti degli ospiti. Come risulterà chiaro, queste loro attività sono oggetto di grande interesse in quanto permettono di identificare nuove pratiche agronomiche, biologiche e biotecnologiche per il management delle colture agrarie.

Per endofiti in questo articolo si intendono solo organismi che instaurano un rapporto mutualistico con la pianta ospite e non di tipo parassitico o patogeno.

Origine dell’interazione endofiti-pianta

L’interazione tra i microrganismi e l’ospite inizia nella maggior parte dei casi nel suolo. Il lungo processo di matching segue una serie di step obbligati e successivi:

  • Liberazione di essudati radicali specifici dalle radici della pianta, che permettono il riconoscimento dell’ospite dal microrganismo;
  • Segue una prima interazione e contatto tra i due organismi;
  • Invasione degli apparati della pianta da parte del microrganismo. In particolare, l’interazione tra microrganismi e pianta avviene nella zona di assorbimento delle radici, essendo queste predisposte agli scambi con l’esterno. Nonostante questo, le interazioni perdurano nel tempo nella zona in cui si sono formate anche dopo il completamento della differenziazione e lignificazione dei tessuti;
  • Colonizzazione dei vasi o degli spazi intracellulari ad opera dell’endofita;
  • Crescita mutualistica dell’olobionte formatosi

Più raramente, il trasferimento del microbioma può avvenire per una via definita “verticale”, ovvero attraverso i sistemi di riproduzione. Infatti sembra che, specialmente i batteri, possano essere presenti in alcune cellule all’interno del seme che viene prodotto e possono quindi essere già presenti all’interno della pianta al momento della germinazione.

Le interazioni tra microrganismi e ospite sono molto complesse, tanto da non essere chiare alla nostra comprensione neppure con i più moderni strumenti. Vari esperimenti continuano ad indagare il ruolo degli endofiti nella pianta, cercando di delinearne alcune funzioni chiave.

Gli endofiti e la stimolazione della crescita

La prima attività identificata e quindi più studiata di questi microrganismi è la promozione della crescita dell’ospite. Molti studi hanno significativamente dimostrato come i tassi di crescita in piante inoculate con determinati microrganismi risultino nettamente maggiori rispetto a piante non inoculate.

La stimolazione della crescita, valutabile in termini di aumento di biomassa prodotta, si può imputare a due grandi attività: l’aumento dell’assimilazione di nutrienti e l’induzione della sintesi di alcuni fitormoni.

A livello di classificazione scientifica, proprio per la loro stretta attività di stimolazione della crescita, si sono identificate due categorie di endofiti i PGPF (Plant Growth Promoting Fungi) e i PGPB (Plant Growth Promoting Bacteria); questi ultimi a loro volta declinati in un’ulteriore categoria i PGPR (Plant Growth Promoting Rizhobacteria).

Schema dei rapporti microrganismi-pianta.
Figura 1 – Schema dei rapporti microrganismi-pianta. [Fonte: Wikimedia.org]

PGPF

I PGPF sono una categoria di funghi appartenenti a veri ordini e classi diverse, molto influenzati dall’ambiente pedoclimatico. La prima grande difficoltà che le piante hanno dovuto affrontare nell’instaurare il rapporto con i PGPF è riuscire a distinguerli dai patogeni. L’elevata presenza di patogeni fungini nel terreno ha portato allo sviluppo di due processi diversi per l’identificazione dei funghi benefici e di quelli patogeni.

Mentre nell’identificazione dei patogeni i geni coinvolti sono noti in senso generale con “r”, nel riconoscimento dei PGPF il numero di geni coinvolti è molto più alto. I geni r sono geni che codificano proteine di riconoscimento degli elicitori se situate nella membrana e di effettori se libere nel citoplasma. Viceversa nel riconoscimento degli endofiti si attivano molte più classi di proteine specifiche in concomitanza con l’attivazione di vari fattori trascrizionali specifici che permettono l’interazione.    

Una volta instaurato il legame, i PGPF svolgono due attività parallele. Da un lato forniscono un supporto alla pianta con una forte attività di mitigazione degli stress mentre dall’altro aumentano l’approvvigionamento di nutrienti.

Attività dei PGPF sulla pianta

L’incremento della resistenza agli stress abiotici è un processo molto complicato. Spesso viene confuso con il meccanismo di ISR (che vedremo successivamente), viste le molte analogie dei due meccanismi. I processi che portano a queste due reazioni sono molto simili. L’unica differenza che si ha nel caso della resistenza agli stress abiotici è una maggiore sintesi di fitoalessine ma soprattutto la produzione di una serie di molecole come soluti compatibili. Questi non avrebbero alcun effetto in attività antimicrobica ma diventano fondamentali nella risposta agli stress e alle carenze.

L’incremento dell’assimilazione dei nutrienti è un aspetto molto più noto. Ormai il termine micorizze (o AMF) è parte del linguaggio comune e quindi facilmente intuibile come operano principalmente i PGPF sotto questo aspetto. Accanto ad una ridotta attività di mobilizzazione enzimatica questi endofiti sono in grado, con il loro reticolato sviluppo ifale, di aumentare in modo esponenziale la superfice esplorata dalle radici (anche di 100 volte).

Trichoderma harzianum, tipico endofita delle pianta
Figura 2 – Trichoderma harzianum, tipico endofita delle pianta. [Fonte: Wikipedia.org]

PGPB

I PGPB sono un gruppo di microrganismi molto più difficili da identificare e discriminare proprio per le loro ridotte dimensioni unitarie rispetto alla categoria precedente. Nonostante le loro ridotte dimensioni rappresentano, in termini di numero di specie, la maggior parte del microbioma della pianta.

All’interno dei PGPB possiamo trovare un gruppo, i Plant Growth Promoting Rhizobacteria (PGPR), che rappresentano la quota degli endofiti batterici sviluppatisi nella zona radicale.

I metodi che la pianta utilizza per il reclutamento di questi microrganismi principalmente si basano sull’utilizzo di essudati radicali che potremmo quasi definire specie-specifici. La specificità si collega al fatto che sono in grado di favorire solo lo sviluppo di particolari specie batteriche benefiche essendo negativi o neutri per i patogeni.  

Attività dei PGPB sulla pianta

Come fatto per i PGPF anche per i PGPB possiamo identificare 3 principali metodi comunemente utilizzati per stimolare la crescita dell’ospite.

La prima attività svolta, anche per importanza. è analoga a quella che abbiamo visto precedentemente per gli endofiti fungini, l’incremento dell’assimilazione dei nutrienti. I batteri benefici non sono sicuramente, per ovvie ragioni biologiche, in grado di aumentare di molto la superficie esplorata, infatti svolgono attività di mobilizzazione enzimatica. La liberazione di complessi enzimatici in grado di rendere disponibili elementi “bloccati” nel terreno o di organicare molecole presenti nell’aria. L’attività di mobilizzazione degli elementi vede come esempio principale quella del fosforo, che in molti casi viene reso assimilabile grazie ad enzimi come le fitasi. L’organicazione delle molecole è nota sicuramente per i batteri azotofissatori (spesso associati alle leguminose) che sono in grado di ridurre N2 in azoto nitrico.  

La seconda attività importante svolta dai PGPB è la possibilità di regolare la sintesi ormonale. Principalmente le cellule dei tessuti della pianta sono stimolate alla sintesi di ormoni che inducano la crescita come auxine (IAA), giberelline (GA) e Jasmonato (JA). Un altro metodo per la regolazione ormonale è la produzione di ACC-deaminasi, è un enzima in grado di inibire un passaggio fondamentale della sintesi dell’etilene (ET).

La terza attività prevede la riduzione degli inquinanti presenti nel suolo. L’utilizzo di microrganismi come depuratori delle acque reflue è ormai pratica comune, meno diffusa è l’utilizzo a livello del suolo. Come molti organismi sono in grado di degradare, assimilare, depurare molecole tossiche dall’ambiente idrico, analogamente possono farlo con molecole tossiche presenti all’interno dei suoli. La rimozione di queste molecole inquinanti permette alla pianta di svilupparsi senza dover contrastare queste tossicità.  

Gli endofiti e la difesa dai patogeni

L’altra grande attività che gli endofiti svolgono è il supporto alla difesa dai patogeni. Questa attività si esplica in due grandi categorie: attività di stimolazione delle difese dell’ospite e attività di contrasto diretto del patogeno.

Effetti diretti

Tra le attività di contrasto diretto del patogeno abbiamo:

Emissione di siderofori: i siderofori sono molecole chelanti, dotati di elevata affinità per alcuni elementi. Queste molecole sono in grado di sequestrare questi elementi e trasportarli all’interno del microrganismo che li ha emessi. La produzione di siderofori, sia batterici che fungini, permette di sottrarre e sequestrare elementi poco disponibili ma fondamentali per lo sviluppo come il ferro. La sottrazione di questi elementi al patogeno ne compromette lo sviluppo e quindi ne riduce l’attività patogena.

Competizione per un substrato comune: questa attività si esprime a livello radicale quando i microrganismi benefici sono in grado di sequestrare e utilizzare più efficacemente gli essudati radicali. Questi, ricchi di composti carboniosi complessi emessi dalle piante, sono fondamentali fonti di nutrimento per i patogeni.

Predazione e parassitismo: sono metodi tipici degli endofiti fungini e prevedono lo sviluppo del microrganismo benefico a scapito e a danno del patogeno. I processi utilizzati per identificare il patogeno sono molto efficienti e si basano sull’identificazione, da parte dell’endofita, dei composti di attacco emessi dal patogeno. Una volta identificato il patogeno, l’endofita inizia a secernere enzimi in grado di scinderne la parete, portando alla liberazione del citoplasma ricco di molecole che vengono utilizzare per l’accrescimento del fungo benefico.

L’antibiosi: attività fondamentale, il cui principio di fondo risulta essere molto semplice. Si basa sulla produzione di alcune molecole e metaboliti che risultano in qualche modo tossici per i parassiti e che ne controllano lo sviluppo e/o li portino a morte.

L’attività di interferenza con i segnali di virulenza: attività meno diffusa e tipica degli endofiti radicali contro i batteri. Un esempio è il blocco del meccanismo di quorum-sensing mediante il la rimozione della molecola segnale.  

Quorum sensing tipico meccanismo bloccato dagli endofiti
Figura 3 – Quorum sensing tipico meccanismo bloccato dagli endofiti. [Fonte: Wikipedia.org]

Effetti indiretti

Tra gli effetti indiretti che gli endofiti possono avere nei confronti delle piante ricordiamo l’attività di induzione di resistenza.

Questo fenomeno non è ancora noto completamente ma prevede l’attivazione di un segnale di priming in modo sistemico, in tutti gli organi della pianta. Segnale che mette la pianta in stato di allerta costringendola ad investire parte dei suoi metaboliti nella produzione preventiva di composti di difesa.

Ricordiamo che nelle piante le difese da stress abiotici e biotici in molti casi prevedono l’utilizzo di metaboliti comuni. La forte somiglianza tra le risposte rende difficile discriminare l’efficacia del segnale di priming nei confronti della tipologia di stress.

La particolarità del segnale di priming è la sua induzione che deriva dall’interazione tra microrganismo e cellula vegetale. Sembra infatti che il microrganismo fornisca un segnale alla pianta mediante l’induzione di un puntuale stress. Stress che la pianta recepisce come danno e permette di attivare una serie di Fattori di trascrizione che vanno regolare l’espressione genica. Quest’espressione genica viene trasferita alle cellule più distali attraverso un complesso segnale basato principalmente su Jasmonato ed Etilene mediante i vasi.

La stessa attivazione deriva nelle cellule bersaglio permettendone la diffusione.

In realtà è opportuno distinguere tra le varie tipologie di induzione di resistenza. Quella introdotta in questo articolo viene attivata da microrganismi benefici e prende il nome di ISR (Induced Systemic Resistance), ve ne sono altre 2 note che si distinguono per la tipologia di segnali e geni attivati. Si parla di SAR (Systemic Acquised Resistence) se il meccanismo viene attivato da un attacco patogeno e HIR (Herbivores Induced Resistence) se il meccanismo viene attivato da un attacco entomofilo.

Fonti

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  • Pieterse, C.M., Zamioudis, C., Berendsen, R.L., Weller, D.M., Van Wees, S.C., Bakker, P.A., 2014. Induced systemic resistance by beneficial microbes. Annu. Rev. Phytopathol. 52.

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