Il protocollo HAART

Il trattamento dell’infezione da HIV è imperniato sull’impiego di farmaci antivirali, con l’obiettivo di ridurre al minimo la presenza del virus all’interno dell’organismo e permettere al sistema immunitario di tornare ad un livello di attività minimo. Si tratta di una delle pietre miliari della medicina moderna, avendo permesso un notevole aumento della sopravvivenza dei malati di AIDS, precedentemente condannati nella grande maggioranza dei casi a soccombere a causa di un’infezione opportunistica o di altre complicanze: infatti, grazie alla terapia farmacologica, attualmente l’aspettativa di vita dei pazienti che presentano un’infezione da HIV e assumono la terapia è paragonabile a quella dei soggetti sani.

La terapia HAART (sigla di Highly Active AntiRetroviral Therapy, “terapia antiretrovirale altamente attiva”) rappresenta il principale approccio terapeutico delle infezioni da parte del virus HIV nei paesi sviluppati; essa si basa sull’utilizzo combinato di varie classi di farmaci allo scopo di abbattere la carica virale, in modo da stabilizzare il sistema immunitario del paziente e prevenire eventuali infezioni opportunistiche.

Generalità

Il primo farmaco approvato dall’FDA per il trattamento antiretrovirale fu la azidotimidina (AZT), un inibitore della trascrittasi inversa (RTI), che entrò in commercio nel 1987; tale avvenimento spianò la via alla produzione di altri farmaci della stessa classe (didanosina, zalcitabina, ecc). Tuttavia ben presto apparve chiaro che tali farmaci spesso risultavano inefficaci se somministrati singolarmente, a causa della diffusa comparsa di mutazioni del virus che determinavano resistenza alla terapia; si tentò di ovviare al problema aumentando le dosi, ma ciò ebbe come risultato la comparsa di vari effetti collaterali nonché l’inasprimento e la diffusione delle resistenze ai farmaci.

A partire dal 1992 si iniziò quindi a sperimentare una duplice terapia, ovvero la somministrazione combinata di due farmaci, la quale in vari trial clinici dimostrò importanti capacità di riduzione della mortalità rispetto alla semplice monoterapia. Tra il 1995-1996 avvenne l’introduzione della seconda classe di farmaci antiretrovirali: gli inibitori della proteasi virale (PI), somministrati in combinazione con i farmaci di prima generazione.

AIDS, la sindrome da immunodeficienza acquisita innescata dal virus HIV

La sindrome da immunodeficienza acquisita da cui l’acronimo AIDS è una malattia del sistema immunitario causata dal virus dell’immunodeficienza umana (HIV); l’insorgenza di questa nuova patologia è stata riconosciuta nel 1981 e ne è stata data per la prima volta la notizia quando i CDC di Atlanta registrarono casi sospetti di polmonite da Pneumocystis carinii in cinque uomini omosessuali a Los Angeles. Nel 1983 fu poi isolato per la prima volta il responsabile della nuova patologia, il virus HIV (Human Immuniodeficiency Virus).

Il virus HIV, appartenente alla famiglia dei retrovirus, entrato nel circolo sanguigno dell’ospite ricerca alcune particolari cellule in cui può riprodursi; riconosce un suo recettore specifico a cui legarsi sulla superficie delle cellule bersaglio, ovvero una particolare proteina denominata CD4 (Fig.1). Con un meccanismo non interamente chiarito, l’effetto patogeno del virus HIV è quello di ridurre il numero dei linfociti CD4 paralizzando il sistema immunitario, limitandone l’efficacia, rendendo le persone colpite più suscettibili alle infezioni.

L’immunodepressione che ne deriva rende possibile lo svilupparsi di patologie che non colpiscono le persone con un sistema immunitario normale. Per questo tali patologie vengono definite opportunistiche.

Una caratteristica particolare dei retrovirus è quella di integrarsi nel DNA della cellula che hanno infettato, costituendo così un serbatoio ineliminabile, che gli garantisce la sopravvivenza nell’organismo a tempo indeterminato.

Processo dell'infezione del virus HIV
Figura 1 – Processo dell’infezione del virus HIV Fonte [gastroepato.it]

Farmaci del protocollo

Attualmente esistono diverse classi di farmaci antiretrovirali, combinabili in protocolli HAART, ognuno con una propria attività e bersaglio; la maggior parte agisce blocca l’attività di enzimi (proteine che accelerano e facilitano le reazioni chimiche) specifici dell’HIV e necessari perché possa moltiplicarsi nelle sue cellule bersaglio. Gli enzimi di HIV bloccati da questi farmaci sono l’integrasi, la trascrittasi inversa e la proteasi.

I farmaci anti-HIV sono quindi classificabili come:

  • inibitori dell’integrasi (l’enzima virale che provvede all’integrazione del genoma virale all’interno del DNA della cellula ospite)
  • inibitori della trascrittasi inversa di HIV, suddivisi secondo la struttura chimica in due classi: inibitori nucleosidici, inibitori non nucleosidici
  • inibitori della proteasi 
  • inibitori del legame, la fusione e l’entrata del virus: sono un gruppo eterogeneo di farmaci che agiscono impedendo il legame fra il virus e i suoi recettori, la fusione del virus con la cellula, o il suo ingresso nella cellula anche se già legato ai recettori

La maggior parte dei regimi Haart prevedono l’impiego di due inibitori nucleosidici e un farmaco di un’altra classe, come un inibitore della proteasi o un inibitore della integrasi.

L’utilizzo di almeno tre farmaci rispetto alla mono o alla duplice terapia presenta infatti vari vantaggi:

  • la possibilità di attaccare il virus su più fronti e ridurre il più possibile la carica virale
  • la maggiore difficoltà nello sviluppo di mutazioni spontanee con la comparsa di resistenze da parte del virus: nel caso in cui si manifesti una resistenza ad uno dei farmaci impiegati vi saranno sempre gli altri due ad agire, e sarà comunque sempre possibile modificare il farmaco o la classe di farmaci impiegati
  • la diminuzione della carica virale inoltre ha come conseguenza indiretta proprio la diminuzione della possibilità di comparsa di mutazioni

Obiettivi terapeutici

Il principale obiettivo di qualsiasi terapia antivirale Haart è raggiungere dopo circa 24 settimane dall’inizio della terapia una viremia tale da non poter essere più rilevabile, indicativamente sotto le 50 copie per millilitro. Dal punto di vista immunologico, l’obiettivo è portare i linfociti CD4 ad una soglia pari o superiore alle 350 cellule/μL, soglia che permetterebbe un ripristino (seppur minimo) dell’attività immunitaria.

Fallimenti terapeutici

Il fallimento della terapia antivirale Haart è relativamente frequente, nell’ambito degli studi clinici la percentuale dei pazienti che raggiunge e mantiene ad 1 anno dall’inizio una risposta ottimale al trattamento non supera il 70­%. Le cause sono: 
– terapia inadeguata per errore di prescrizione, che risulta insufficiente soprattutto in pazienti con viremia plasmatica molto elevata. Rappresenta una evenienza rara, ma possibile in particolare per interazioni farmacologiche con altre terapie in atto non note o delle quali non si è tenuto conto
– terapia inadeguata per la presenza di mutazioni primarie del virus, in quanto l’infezione è stata contratta da persona già in trattamento antivirale e con presenza di resistenza ad alcuni farmaci nel virus trasmesso. E’ un evento al momento raro, ma verosimilmente più frequente nei prossimi anni
– terapia adeguata ma assunta in modo irregolare dal paziente: è decisamente la causa più frequente e occorre discuterne in modo franco e aperto col paziente; i motivi sono differenti: dalla semplice dimenticanza (es. perché non si adatta bene agli orari lavorativi, o al contrario durante il fine settimana perché cambiano gli orari e le abitudini) a problemi di depressione, a difficoltà in famiglia (che possono comportare la necessità di dover nascondere i farmaci), ad abuso di alcol o sostanze stupefacenti, al rifiuto psicologico della malattia, alla presenza di effetti indesiderati o percepiti come tali, ecc.

Effetti collaterali

L’impiego di tutti i farmaci antiretrovirali è complicato dalla comparsa di numerosi effetti indesiderati e da importanti interazioni farmacologiche, soprattutto per l’effetto sul citocromo epatico P450 o per sommazione della tossicità; gli effetti indesiderati interessano sino al 47% dei pazienti, risultano gravi nel 9-16%, costituiscono la causa più frequente di modifica o interruzione della terapia, peggiorano la qualità di vita dei pazienti e, seppur raramente, possono causarne il decesso. Le donne sono più colpite degli uomini, probabilmente perché poco rappresentate negli studi che portano alla definizione dei dosaggi dei farmaci e alla loro registrazione.

Gli effetti collaterali della terapia HAART sono riconducibili ai singoli farmaci e comprendono lipodistrofia, dislipidemia, diarrea, insulino-resistenza, aumento dei rischi cardiovascolari, danni a carico dell’apparato scheletrico, e una diminuzione dell’energia dell’individuo per effetti negativi sui mitocondri.

Nello specifico, le varie classi di farmaci possono indurre:

  • Inibitori nucleosidici della trascrittasi: acidosi lattica, steatosi epatica, neuropatia periferica, miopatia
  • Inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa: sono generalmente ben tollerati.
  • Inibitori della proteasi: possono aumentare l’incidenza di dislipidemia e diabete mellito di tipo 2
  • Inibitori della integrasi: di solito vengono ben tollerati dall’organismo, occasionalmente possono causare aumenti dei livelli sierici di creatinina e miopatia.

Dr. Giosuè Ruggiano

Fonti:

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