Stefano Bertacchi è un Biotecnologo Industriale e Dottorando di ricerca presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca. Si occupa dello sviluppo di bioraffinerie per l’utilizzo di biomasse residuali mediante microrganismi geneticamente modificati o meno, per la produzione di molecole di interesse industriale, come carotenoidi e bioplastiche. Coinvolto in varie attività di divulgazione scientifica, come conferenze e social media, è autore di articoli divulgativi e del libro “Geneticamente modificati – Viaggio nel mondo delle biotecnologie” (Hoepli, 2017), con cui ha vinto il Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica Under35 dell’Associazione Italiana del Libro.
“Ciao Stefano, grazie per aver accettato questa intervista! Ci racconti del tuo percorso universitario e dei tuoi progetti attuali e futuri?“
Ciao, è un piacere condividere la mia esperienza con i lettori di Microbiologia Italia! Mi sono laureato in triennale in Biotecnologie e alla magistrale in Biotecnologie Industriali, entrambe presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca. Dopo aver lavorato per alcuni anni come una spin-off dell’Ateneo ho iniziato il Dottorato in Tecnologie Convergenti per i Sistemi Biomolecolari, sempre in Bicocca. Attualmente sono al terzo anno di Dottorato, ovvero il finale, quindi al momento il mio obiettivo primario è concluderlo al meglio.
“Di cosa ti occupi a livello di ricerca scientifica?“
Il mio progetto di Dottorato coinvolge lo sviluppo di processi basati su sottoprodotti industriali, valorizzati mediante l’uso di un microrganismo, geneticamente modificato e non, per la produzione di molecole di interesse merceologico. L’idea è quella di ridurre la nostra dipendenza dal petrolio, e di utilizzare una materia prima a basso costo, al fine di ridurre l’impatto ambientale dei processi convenzionali. In particolare mi sto focalizzando sulla conversione di residui della produzione di un olio vegetale in carotenoidi, grazie a un lievito naturale produttore. In altri progetti in cui sono stato e sono coinvolto ho sviluppato la produzione di bioplastiche compostabili e vitamine mediante microrganismi geneticamente modificati.
“Cosa significa per te “divulgazione”? Credi sia prerogativa delle persone che già posseggono un background scientifico oppure è necessario che i temi trattati arrivino anche ai non addetti?“
Difficile dare una definizione personale, mi piace raccontare fatti e questioni scientifiche in modo comprensibile per tutti. È fondamentale che le informazioni arrivino anche ai non addetti, per vari motivi. Le persone fanno scelte tutti i giorni e i loro comportamenti possono avere una influenza importante, da come fanno la differenziata a casa a quando decidono di prendere antibiotici in maniera sconsiderata. Inoltre, poiché la scienza non è un mondo a sé stante ma uno dei tanti elementi della società, è giusto che sia a portata della popolazione, in modo che possa fare considerazioni opinate da vari punti di vista, come quello ambientale, etico, economico e politico. Una società matura dal punto di vista scientifico può prendere decisioni più mature. Nel mio primo libro “Geneticamente modificati – Viaggio nel mondo delle biotecnologie”, edito da Hoepli, ho cercato appunto di affrontare temi spinosi come la clonazione e gli OGM, ma anche gli aspetti quotidiani delle biotecnologie, dalla birra ai detersivi. In aggiunta, la comunicazione scientifica è un qualcosa che sta diventando sempre più importante anche a livello di ricerca scientifica, sia per quanto riguarda l’accademia, con l’outreach e la terza missione, sia per l’industria, che sempre più ha bisogno di un colloquio proficui con tutti gli stakeholder delle varie filiere.
“Quali credi siano i rischi, se credi ci siano, della divulgazione sui social e come credi sia opportuno combatterli?”
L’approccio scientifico ci dice che il rischio zero non esiste mai, e la divulgazione sui social non fa eccezione. I rischi possono essere molteplici, come non far passare il messaggio voluto, se non uno sbagliato, che a seconda di quale ambito stiamo parlando può avere degli effetti pratici per gli utenti. Sempre più persone si stanno appassionando ai tanti profili che si occupano di divulgazione scientifica sui social, e mi sto accorgendo anche di quanta fiducia venga in loro riposta. Per questo motivo penso abbiano una certa responsabilità da tenere in considerazione. Per combattere i rischi non c’è una ricetta, solo essere sé stessi, ragionare, far ragionare e mettersi nei panni dell’altro, senza aver paura di dire “non lo so”.
“Credi che la nicchia della divulgazione sia ormai già satura o è una professione ancora “neonata” in via di crescita?”
Secondo me no, anche perché è sempre più in espansione. Ognuno ha il proprio stile e il proprio argomento, è bello vedere la community che si amplia sia per pubblico che per creatori di contenuti. Inoltre le sfaccettature con cui la divulgazione si manifesta sono talmente tante, dalle conferenze ai libri, passando per mostre, articoli online e social media, garantisce una buona “biodiversità”. Cosa che è anche strumentale per raggiungere diverse tipologie di pubblico, sia nel numero che nelle necessità di queste tipologie stesse.
“Probabilmente uno dei motivi per i quali sei così seguito risiede nella tua ironia, crediamo sia l’arma vincente per un lavoro di divulgazione inclusivo e avvincente! Come concili l’autorevolezza delle tue parole con la giusta dose di simpatia?”
Vi ringrazio, in realtà cerco di essere semplicemente me stesso come sono normalmente, per due motivi principali: in primis perché mi è più semplice comunicare in questo modo senza particolari sforzi, e in secondo luogo perché penso sia un modo più efficace di raggiungere le persone, che possono rispecchiarsi meglio e accogliere più facilmente il messaggio. L’autorevolezza è un tema che mi sta molto a cuore, cerco di non fare la figura del professorone, ma allo stesso tempo voglio far passare il messaggio che certi argomenti sono complicati ed è necessaria una formazione specifica per poterne parlare con cognizione di causa. Anche su questo aspetto tuttavia dipende dal grado di approfondimento necessario: se mi mettessi a spiegare complesse tecniche di biologia molecolare (per fare un esempio di una materia che adoro) diventerei incomprensibile, e sarebbero delle informazioni non particolarmente utili per il grande pubblico.
“Ci piace tanto il tuo #microbemonday spopolato su Instagram! Da cosa è nata l’esigenza di far scoprire ai tuoi followers l’affascinante mondo dei microrganismi?”
Vi ringrazio anche per questo, purtroppo non sono sempre costante tutti i Lunedì ma faccio quel che posso. L’esigenza nasce dal fatto che lavorando io stesso con i microrganismi mi sono man mano reso conto della loro straordinaria biodiversità e che questa dà la forma al mondo che viviamo. Le persone tendono a pensare solo ai microrganismi che causano malattie (spesso terribili), ma sono una porzione molto piccola di tutti quelli presenti sul nostro pianeta, dalla Fossa delle Marianne alle nuvole, passando per la rizosfera e il nostro intestino. Sentiamo sempre parlare di “batteri” come se fossero tutti uguali, ma tra due specie identiche al microscopio può esserci una differenza abissale. Il mio obiettivo è aprire gli occhi su questo straordinario microcosmo: anche per questo motivo sto ultimando il mio prossimo libro proprio sul tema dei microrganismi, in uscita a fine 2020 / inizio 2021.
“Una domanda insolita: qual è il tuo microrganismo preferito?”
Al momento direi Rhodosporidium toruloides che è il mio compagno di Dottorato, ovvero un lievito oleaginoso produttore di lipidi e carotenoidi. In realtà nel mio cuore c’è sempre il fido Saccharomyces cerevisiae, che è un vero e proprio coltellino svizzero al servizio della biologia sintetica e dell’ingegneria sintetica; e poi ci permette di fare la birra, non si può non ringraziarlo! Tra i procarioti voto l’ipertemofilo Pyrococcus furiosus, che vive a 100°C: ha un nome troppo bello!
“Quali sono le tue passioni? E soprattutto, come le combini con la divulgazione e il tuo lavoro/studio?”
La divulgazione di fatto lo è, per fortuna riesco a coniugarla con il lavoro potendomici concentrare saltuariamente: in ogni caso il Dottorato ha sempre la precedenza, anche perché gli esperimenti non si fanno da soli! Per quanto riguarda altre passioni mi piace cibo, lo sport, soprattutto il calcio, la storia, la geografia e soprattutto, come sanno bene i miei follower la filatelia. Sono molto felice di condividere la mia collezione di francobolli con loro, prendendoli come spunto per raccontare tante cose dai temi scientifici a quelli storici: diverse persone si stanno appassionando alla cosa e non posso che esserne contento. Inserire le mie passioni nel lavoro di divulgazione aiuta l’approccio di cui vi ho parlato prima.
“Se avessi la possibilità di trasformarti in qualcuno per un giorno, chi sceglieresti e perchè?”
Mi trasformerei in qualcuno che abita dall’altra parte del mondo con un background culturale e di istruzione completamente diverso dal mio, in modo da poter vedere le cose da un altro punto di vista.
“Grazie mille per il tempo dedicatoci! Vuoi dire qualcosa ai lettori di Microbiologia Italia?”
Grazie a voi! Un saluto a tutti i lettori di Microbiologia Italia e non dimenticatevi mai che l’elemento sorpresa è sempre dietro l’angolo quando vi addentrate nel microcosmo!
Elena Panariello