Il parassita di cui parliamo oggi è uno dei platelminti più pericolosi di cui abbiamo mai trattato e può avere accesso al nostro organismo se mangiamo crostacei crudi nelle zone a rischio. Eccovi i parassiti del genere Paragonimus.
Introduzione
Il genere Paragonimus, appartenente al phylum dei Platelminti e nello specifico alle classe dei Trematodi, comprende diverse specie di parassiti di molluschi, crostacei e mammiferi (tra cui l’uomo). La forma di questi parassiti ricorda un po’ quella di un chicco di caffè, e le sue dimensioni vanno dai 7.5 ai 12 mm di lunghezza per 4 – 6 mm di larghezza.
Ciclo vitale
Il ciclo vitale (Fig.2) di Paragonimus spp. inizia quando l’ospite espelle le uova non embrionate tramite lo sputo o, a seguito della loro deglutizione, tramite le feci.
Quando queste giungono all’esterno si embrionano e vengono quindi ingerite dall’ospite intermedio, un mollusco. Al suo interno le uova si schiudono, e la larva così liberata passa attraverso vari stadi di maturazione fino a raggiungere quello di cercaria. Quest’ultima, una volta rilasciata, penetra nei crostacei ed incistandosi raggiunge lo stadio di metacercaria.
A questo punto l’ospite definitivo mangia i crostacei parassitati infestandosi. Nell’ultimo passaggio del ciclo, la metacercaria, una volta raggiunto il duodeno ed essere uscita dallo stato di ciste, penetra la parete intestinale per raggiungere prima il peritoneo, poi il diaframma ed infine i polmoni dove diventa adulta.
Patologia
La patologia causata da Paragonimus spp. viene detta paragonimiasi e si può manifestare in due forme differenti: la forma polmonare e quella extra-polmonare.
La prima inizialmente può essere asintomatica o dare sintomi piuttosto leggeri, ma quando il parassita raggiunge i polmoni compaiono tosse con espettorato sanguinolento, dolore toracico e addominale e malessere generale. A volte può essere scambiata per tubercolosi.
La forma extra-polmonare deriva invece da una migrazione sbagliata delle metacercarie che, solitamente, raggiungono l’addome (con sintomi quali dolori addominali e comparse di masse palpabili in fegato, milza, reni e raramente lo scroto) o il cervello.
Quest’ultima, benchè si presenti solo nell’1% dei casi sintomatici, è molto grave e può dare cefalea, vomito, convulsioni, ipostenia, emiplegia (ossia la paralisi di metà del corpo), paraplegia e paralisi dei nervi cranici.
Diagnosi, cura e prevenzione
La diagnosi si attua tramite analisi al microscopio del parassita nello sputo e nelle feci, tecniche immunologiche tramite antigeni specifici o tramite tecniche molecolari grazie all’uso della PCR (anche se quest’ultima è ancora una tecnica sperimentale).
Per quanto riguarda la cura, il WHO prevede l’utilizzo di Triclabendazolo e Praziquantel anche per i sospetti infetti o per chi, nelle aree endemiche del parassita, mangia crostacei crudi e presenta sintomi quali tosse prolungata per più di tre settimane, espettorato sanguinolento oppure per quei pazienti a cui è stata diagnosticata la tubercolosi ma non hanno avuto una risposta alle cure specifiche per essa.
Per quanto concerne invece la prevenzione, il CDC consiglia di non mangiare crostacei crudi, ma di cuocerli ad almeno 63°C, mentre i viaggiatori dovrebbero essere avvisati di evitare i piatti tipici con crostacei non o poco cotti.
Epidemiologia
I dati epidemiologici mostrano che la specie maggiormente coinvolta nelle infezioni umane è P. westermani che si riscontra in Asia (nello specifico Cina, Filippine, Giappone, Vietnam, Korea del Sud, Taiwan e Thailandia). P. africanus come dice il nome è invece attivo in Africa, mentre P. mexicanus si ritrova nell’America Centrale e del Sud.
Andrea Borsa