Linfoma di Hodgkin

Caratteristiche

I linfomi sono caratterizzati da un aumento di volume di sedi linfonoidali primarie e secondarie, principalmente linfonodi ma anche milza, timo, midollo osseo e sedi extralinfonoidali, dovuto ad un processo neoplastico maligno. I linfomi vengono distinti in due macro categorie: Linfoma di Hodgkin e il gruppo più vasto dei Linfomi non-Hodgkin, ulteriormente suddivisi in sottocategorie in base alle diverse caratteristiche istologiche e meccanismi patogenetici.

Cellule di Reed-Sternberg caratteristiche del Linfoma di Hodgkin
Figura 1 – Cellule di Reed-Sternberg [Fonte: http://it.wikipedia.org]

Il Linfoma di Hodgkin è una neoplasia maligna caratterizzata da un aumento dei linfociti B a carico del sistema linfatico, ma anche di altri organi. Fu descritto per la prima volta da Thomas Hodgkin ed è caratterizzato dalla presenza di un particolare tipo di cellule chiamate di Reed-Sternberg, che permettono di distinguere questo tipo di linfoma dai Linfomi non-Hodgkin. Per questo la loro rilevazione è necessaria per diagnosticare questa malattia.

Il Linfoma di Hodgkin può essere distinto in due varianti: classico e a prevalenza linfocitaria.

La variante classica è la più comune (circa il 95% dei casi) e può essere ulteriormente distinta in altre 4 sottocategorie:

  • sclerosi nodulare, la variante più comune;
  • deplezione linfocitaria;
  • cellularità mista;
  • predominanza linfocitaria.

La variante a prevalenza linfocitaria è molto più rara (circa il 5% dei casi) ed è caratterizzata da scarsità di cellule di Reed-Sternberg rispetto ad un particolare tipo di cellule definito “pop corn”.

Epidemiologia

L’incidenza globale stimata del Linfoma di Hodgkin è di circa 2.7 casi su 100.000 abitanti per anno, definendola quindi come una neoplasia poco frequente, ma non rara. Le fasce di età più a rischio sono comprese tra i 15 ed i 30 anni di età (incidenza massima) e tra i 50 e i 60 anni, con un rischio di poco maggiore di contrarre la malattia per il sesso maschile piuttosto che per quello femminile. È stato osservato inoltre un maggior numero di casi in Paesi caratterizzati da un tenore di vita elevato, al contrario delle aree geografiche meno sviluppate in cui l’incidenza dei casi aumenta nei soggetti di età inferiore ai 15 anni.

Eziopatogenesi

Nonostante si sappia che ad innescare la malattia è una mutazione del DNA, che porta ad un incremento incontrollato dei linfociti B, tutt’oggi non si conoscono le cause che provocano questa mutazione. Si parla quindi di una predisposizione genetica causata da fattori ambientali. Le cause scatenanti più probabili sono le seguenti:

  • possibile contagio dal virus di Epstein-Barr, appartenente alla famiglia degli herpes virus e responsabile della mononucleosi infettiva. Si stima che fino al 30% dei casi di Linfoma di Hodgkin classico è positivo agli anticorpi per il virus EBV;
  • sistema immunitario compromesso dovuto ad infezione da HIV o a determinate condizioni autoimmuni come l’artrite reumatoide e il lupus eritematoso sistemico;
  • storia familiare, con un rischio fino a 9 volte maggiore di contrarre la malattia in parenti di primo grado di pazienti affetti da Linfoma di Hodgkin;
  • tra le cause meno accertate è possibile includere una prolungata esposizione agli erbicidi e alla polvere del legno.

Sintomatologia

linfonodo ingrossato
Figura 2 – Linfonodo del collo ingrossat. [Fonte: https://www.corriere.it/ ]

Circa il 50% dei pazienti presenta assenza di sintomi tipici delle neoplasie (febbricola o febbre, calo ponderale corrispondente a circa il 10% del proprio peso corporeo nei 6 mesi precedenti la diagnosi, sudorazione notturna), ma esordisce con linfoadenopatie latero-cervicali e/o sopraclaveali, più raramente con sede ascellare e inguinale. L’interessamento iniziale quindi coinvolge solitamente una sola sede linfonodale, mentre è meno frequente l’interessamento di sedi linfoghiandolari superficiali al di sopra e al di sotto del diaframma. Molto più raro è il coinvolgimento di linfoadenopatie superficiali diffuse.

Nella maggioranza dei casi, i linfonodi sono indolenti e caratterizzati da una crescita lenta, fino al raggiungimento delle dimensioni di qualche centimetro di diametro. Al contrario, nei casi in cui la malattia ha un decorso più veloce, le adenopatie possono essere dolenti al tatto. Durante l’esordio della malattia la sede mediastinica viene coinvolta raramente, ma nel momento in cui colpisce questi linfonodi, si hanno sintomi come tosse secca e dispnea. In questo caso la malattia viene definita bulky quando la massa ha un diametro superiore ai 10 cm circa.

La modalità di diffusione della malattia avviene negli stadi iniziali per via linfatica, ossia per continuità, interessando le vie linfatiche contigue. Solo tardivamente, invece, la malattia si diffonde per via ematica. In quest’ultimo caso, con il progredire della malattia, si ha il coinvolgimento di organi extralinfonoidali.

Diagnosi

In caso di sospetto di linfoma di Hodgkin, inizialmente vengono eseguiti esami del sangue quali: emocromo, che può evidenziare una modesta anemia normo-ipocromica e una leucocitosi neutrofila, e la VES (velocità di sedimentazione degli eritrociti), che in caso di malattia è generalmente aumentata. In generale però gli esami ematochimici in assenza di sintomi non bastano per poter diagnosticare la malattia, per questo devono essere accompagnati da ulteriori accertamenti, quali l’esame ecografico e una radiografia al torace. Con l’ausilio dell’ecografia si può comprendere la natura dei linfonodi. Va detto che non sempre un linfonodo ingrossato è sintomo di una patologia grave, anzi nella maggioranza dei casi si tratta di linfonodi reattivi e quindi benigni, sintomo della reazione del sistema immunitario ad un’infezione o ad un processo infiammatorio in atto.

Nel caso in cui il linfoma di Hodgkin si sia esteso a più sedi linfonoidali, la radiografia al torace visualizzerà un eventuale interessamento dei linfonodi coinvolti in quella zona, nonostante qualsiasi anomalia rilevata debba essere confermata da una TAC. Essa infatti è utile nel determinare la stadiazione della malattia individuando eventuali linfonodi tumorali in altre sedi qualora ce ne fossero. Viene inoltre eseguita con mezzo di contrasto, in modo da mettere in evidenza i tessuti metabolicamente attivi.

La diagnosi del Linfoma di Hodgkin non può prescindere dalla biopsia preferibilmente di un intero linfonodo coinvolto, la quale verificherà tramite l’analisi istologica la natura della malattia e la sua possibile variante (classico o a predominanza linfocitaria).

Un altro esame di grande rilevanza, sia per la rilevazione della malattia al suo esordio che per il suo monitoraggio, è la PET che, eseguita insieme alla TAC, è utile nel determinare la stadiazione della malattia e nel verificare l’andamento delle cure nel corso della terapia.

Stadiazione

In base all’estensione della malattia, il Linfoma di Hodgkin può essere classificato in stadi, rifacendosi al modello del 1971 tuttora valido di Ann Arbor. Lo scopo principale del classificare la malattia è quello di individuarne la prognosi ed il trattamento più efficace per il paziente. Tale stadiazione subì qualche revisione nel 1989 durante il meeting di Cotswolds, in cui si aggiunse alla classificazione previgente il concetto di malattia bulky e delle localizzazioni extralinfonodali. Con il suffisso X si indica l’adenopatia bulky, con il suffisso E la presenza di una sede extralinfonodale. Questa classificazione considera altre regioni linfatiche oltre ai linfonodi, quali: la milza, il timo, l’anello del Waldeyer, l’appendice e le placche di Peyer dell’intestino.
La stadiazione può essere clinica, CS, o patologica, PS.

Tab – Classificazione in stadi di Ann Arbor (1971)

Stadio ICoinvolgimento di una singola regione linfonodale (I) o di un singolo organo extralinfatico (Iₑ)
Stadio IIInteressamento di due o più regioni linfonoidali posti sullo stesso lato del diaframma (II) con coinvolgimento di un organo extralinfatico (IIₑ)
Stadio IIICoinvolgimento di regioni linfonoidali poste sopra e sotto il diaframma (III). Con la classificazione IIIs si indica il coinvolgimento della milza, con IIIₑ se si estende ad un organo extralinfatico
Stadio IVInteressamento diffuso di una o più sedi extralinfatiche, con o senza coinvolgimento linfonodale
Ogni stadio può essere contraddistinto con A o B in assenza o presenza di sintomi sistemici quali: febbre in assenza di infezioni documentate; perdita di peso > 10% nei 6 mesi precedenti la diagnosi; sudorazione notturna

Gli stadi I e II sono definiti iniziali, III e IV avanzati.

Trattamento

In genere per il trattamento della malattia è indicato l’uso della polichemioterapia che si basa su diverse associazioni di farmaci. Quelle più comuni usate per il Linfoma di Hodgkin sono ABVD (adriamicina, bleomicina, vinblastina e dacarbazina) e BEACOPP (bleomicina, etoposide, vincristina, ciclofosfamide, procarbazina e prednisone).

Il protocollo ABVD è in genere indicato per pazienti a basso rischio in I-II stadio seguito da radioterapia a basso dosaggio. Per quanto riguarda invece il trattamento degli stadi avanzati o degli stadi iniziali sfavorevoli, molti sono stati gli studi che hanno messo a confronto i due protocolli, arrivando alla conclusione che, data l’elevata tossicità di BEACOPP rispetto all’ABVD, la possibilità di sviluppare neoplasie secondarie ed effetti collaterali a lungo termine è di gran lunga maggiore. In questo modo, considerato anche il fatto che non è stata dimostrata alcuna differenza significativa per quanto riguarda la sopravvivenza globale tra l’uso di ABVD e quello di BEACOPP, momentaneamente 6-8 cicli di ABVD in associazione a radioterapia è il protocollo più utilizzato per gli stadi avanzati, con una sopravvivenza globale dell’82-90%.

Prognosi

Il Linfoma di Hodgkin, grazie agli enormi passi avanti compiuti nella comprensione della biologia di questa malattia, rappresenta ormai una delle neoplasie con la più alta percentuale di guarigione, che si aggira attorno all’80%.

Assumono valore estremamente importante da un punto di vista prognostico negativo alcuni fattori, quali la presenza di sintomatologie sistemiche (B), aver iniziato il trattamento ad uno stadio avanzato (III e IV), età superiore ai 60 anni, presenza di malattia bulky, PET positiva dopo il primo ciclo di terapia, recidiva entro un anno dalla prima remissione completa. Nonostante la presenza di uno di questi fattori o in caso di scarsa risposta al trattamento con ABVD, è sempre più elevato il numero di pazienti che riesce a guarire tramite trattamenti di salvataggio o autotrapianto.

Fonti

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Roberta Maria Serra

Futura biologa, nutro un forte interesse per temi quali la salute e la prevenzione, di cui scrivo e curo una rubrica social per Microbiologia Italia. Altre mie passioni riguardano l’astronomia, la bioinformatica, la biostatistica e la ricerca clinica. Ritengo che saper comunicare argomenti di carattere scientifico con chiarezza e rigore sia importantissimo, soprattutto nel periodo in cui viviamo.

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