Sindrome da shock tossico

Caratteristiche

È il 1978. Il medico statunitense J.K. Todd, assieme ai suoi associati, descrive per la prima volta la sintomatologia di una patologia pediatrica: la Sindrome da Shock Tossico (o TSS). In particolare, sette bambini manifestano simili evidenze sul piano clinico e diagnostico: febbre, ipotensione, disordini sistemici e rash cutanei.

A seguito di svariate indagini diagnostiche, fallimentari nell’identificazione di agenti microbiologici convenzionali, viene isolato un ceppo di Staphylococcus aureus in grado di produrre una nuova tossina epidermica.

Eziologia e patogenesi

L’agente eziologico più frequentemente responsabile della Sindrome da Shock Tossico è il batterio Gram positivo, Staphylococcus aureus, il quale colonizza generalmente la cute e le mucose in maniera silente. Gli studi eseguiti nel periodo di insorgenza della Sindrome da Shock Tossico, hanno evidenziato delle caratteristiche chiave nei ceppi di S. aureus in grado di indurre la patologia: la capacità di produrre una esotossina (in alcuni casi più di una) definita TSS tossina-1 (TSST-1). TSST-1 presenta le seguenti caratteristiche: 22.000-Da, è resistente al calore e ad attività proteolitica ed è contenuta nel cromosoma batterico.

Qual è il meccanismo attraverso cui questa tossina induce la Sindrome da Shock Tossico?

Alcune tossine prodotte da Staphylococcus aureus, in particolare le enterotossine e la TSST-1, agiscono come superantigeni stimolando il rilascio di alcune citochine a seguito di un’attivazione aspecifica dei Linfociti T (Fig. 1).

Meccanismo molecolare di azione dei superantigeni, come la tossina della sindrome da shock tossico
Figura 1 – Meccanismo di azione dei superantigeni come la TSST-1. [Fonte: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/9309216/]

È necessario precisare che non solo S. aureus, ma anche Streptococcus pyogenes può essere l’agente eziologico della Sindrome da Shock Tossico. In questo caso ci riferiamo ad una patologia con un’elevata mortalità, caratterizzata da batteriemia e fascite necrotizzante, quasi mai osservabili nella TSS da Stafilococco in cui il batterio resta confinato a livello locale.

A tal proposito l’abilità della TSST-1 di attraversare le mucose, le quali costituiscono una barriera naturale contro i patogeni, è responsabile delle manifestazioni cliniche a livello sistemico che si evidenziano nei soggetti affetti da Sindrome da Shock Tossico. Nonostante ciò, l’infezione batterica resta localizzata a livello della vagina o nel sito utilizzato come accesso dal microrganismo.

Segni e sintomi

La sintomatologia compare improvvisamente, ed è caratterizzata da:

  • Vomito, diarrea, dolori muscolari, mal di gola
  • Febbre alta, sopra i 39°C
  • Ipotensione
  • Rush cutaneo, simile ad una scottatura caratterizzato da un’eruzione eritematosa diffusa, soggetta a desquamazione a livello della mano e del palmo (Fig. 3)
Rush cutaneo durante sindrome da Shock Tossico con desquamazione del palmo e della mano.
Figura 3 – Rush cutaneo durante TSS con desquamazione del palmo e della mano. [Fonte: https://rmi.edu.pk/disease/toxic-shock-syndrome]

Studi sierologici hanno dimostrato che più del 90% degli adulti possiede anticorpi contro la tossina TSST-1, tuttavia gran parte dei pazienti guariti dalla Sindrome da Shock Tossico non sviluppa anticorpi in grado di garantire protezione da una ricaduta. Dunque, si stima che il rischio di recidiva sia circa del 65% nei soggetti non trattati con una terapia antibiotica efficace.

Nonostante la miglior comprensione delle cause e dell’epidemiologia della Sindrome da Shock Tossico, questa patologia rimane fatale se non diagnosticata e trattata correttamente e soprattutto tempestivamente.

Epidemiologia

Un po’ di storia

I primi casi di Sindrome da Shock Tossico risalgono al 1928: in Australia, 21 bambini ricevono un’iniezione vaccinale contaminata da Staphylococcus aureus, la quale risulta fatale per 12 di questi.

Cinquant’anni dopo, nel 1978, J.K. Todd definisce per la prima volta questa nuova patologia causata da particolari ceppi di S. aureus, come Sindrome da Shock Tossico.

Nel 1980, la frequenza di diagnosi di TSS aumenta particolarmente negli Stati Uniti, in cui viene associata al periodo mestruale delle giovani donne. Successivi studi furono condotti al fine di comprendere la correlazione tra il batterio e la presenza del ciclo mestruale, dimostrando una relazione con l’utilizzo di tamponi superassorbenti. L’insorgenza della Sindrome dipenderebbe così da diversi fattori: la colonizzazione vaginale di ceppi di S. aureus in grado di produrre la tossina TSST-1, la presenza del ciclo mestruale con il relativo aumento del pH vaginale, e inoltre l’uso di particolari tamponi assorbenti a collocazione intravaginale.

Uno studio epidemiologico condotto dal CDC (Centers for Disease Control) conferma quanto descritto in precedenza, precisando un aumentato rischio di TSS in particolare con l’utilizzo di un brand di tamponi ad alta assorbenza, Rely tampons, i cui materiali sembrerebbero favorire la sindrome attraverso il filtraggio della tossina. Le conseguenze di questo studio sono state molteplici:

  • L’introduzione di informazioni relative alla TSS nelle confezioni di assorbenti intravaginali.
  • La diffusione di suggerimenti come quello di utilizzare assorbenti interni con un grado di assorbenza inferiore alle proprie necessità, oppure l’uso di pads come sostituti.
  • Il ritiro degli assorbenti Rely dal commercio.
andamento dei casi di sindrome da shock tossico successivi al ritiro dei tamponi Rely dal commercio
Figura 3 – Andamento dei casi di TSS successivi al ritiro dei assorbenti Rely dal commercio. [Fonte: https://link.springer.com/chapter/10.1007/978-981-15-0614-7_51]

Attualmente…

Il ritiro di alcune marche di assorbenti dal mercato, l’introduzione di svariate modifiche sulla composizione dei tamponi, hanno portato ad una rapida riduzione dei casi di TSS: in USA vengono attualmente registrati 1-3 casi su 100.000 donne mestruate. Tuttavia, sembra che la Sindrome continui a presentarsi, seppur raramente, in donne che utilizzano in maniera errata gli assorbenti interni.

Diagnosi

Il medico effettua la diagnosi di Sindrome da Shock Tossico dapprima valutando i fattori di rischio, come l’utilizzo scorretto di assorbenti interni, o ferite chirurgiche infette che potrebbero aver favorito l’ingresso di S. aureus nell’organismo.

Successivamente la diagnosi prosegue con la valutazione della sintomatologia, quindi attraverso un esame clinico obiettivo. Qui sarà possibile esaminare le conseguenze dell’infezione sistemica, come ad esempio le manifestazioni cutanee caratteristiche della TSS.

Al fine di accertare un caso di Sindrome da Shock Tossico, la diagnosi dovrà essere accompagnata da una serie di esami del sangue, microbiologici e strumentali, necessari per definire la presenza del microrganismo responsabile della patologia.

Test strumentali e di laboratorio

In genere le analisi del sangue prevedono la valutazione del livello di globuli bianchi, piastrine, transaminasi, creatinina, VES e PCR, CPK. In questo modo, il medico sarà in grado di valutare l’impatto della patologia a livello sistemico.

Tuttavia, solo specifici esami colturali possono evidenziare la presenza del microrganismo responsabile della Sindrome da Shock Tossico. Ad esempio S. aureus o S. pyogenes verranno riconosciuti in adeguati terreni di coltura, oppure attraverso tecniche molecolari.

Terapia

I pazienti affetti da TSS necessitano dell’apporto di grandi volumi di fluidi ed elettroliti per compensare i danni causati conseguentemente al coinvolgimento di altri organi durante l’infezione sistemica.

La terapia mirata all’eradicazione del patogeno consiste nella somministrazione di antibiotici specifici in accordo con i risultati dell’antibiogramma. È importante procedere alla decontaminazione del sito di infezione, rimuovendo corpi estranei e nei casi di infezione a livello di una ferita, trattando correttamente la zona.

Ricordiamo che la terapia antibiotica è di fondamentale importanza, infatti ancor prima di ricevere il risultato del test colturale, il paziente deve essere sottoposto ad un trattamento antibiotico empirico (clindamicina, vancomicina e daptomicina).

Fonti:

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