Sindrome di Stoccolma: cos’è e come riconoscerla

Un paradosso psicologico

La sindrome di Stoccolma è un fenomeno psicologico affascinante, complesso e paradossale in cui una persona vittima di abusi sviluppa una forma di empatia, affetto e nei casi più estremi addirittura amore nei confronti del proprio carnefice.
Il fenomeno può manifestarsi anche in situazioni di vita quotidiana; si possono infatti osservare episodi relativi a relazioni amorose, famigliari e professionali che dimostrano come la sindrome possa estendersi ben oltre la sfera della violenza diretta.

Sindrome di Stoccolma: la storia dietro l’origine del nome

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Figura 1 – Sindrome di Stoccolma origine del nome [fonte: historychannel.it]

Il fenomeno noto come sindrome di Stoccolma ha origine da un famoso caso di sequestro avvenuto nel 1973 proprio a Stoccolma, in Svezia. 
Un rapinatore di 32 anni, Erik Olsson, prese in ostaggio quattro persone in una banca, chiedendo il rilascio di un complice come riscatto. Dopo oltre 6 giorni Olsson si arrese alla polizia senza aver fatto del male agli ostaggi. Questi, nei giorni successivi, manifestarono sentimenti positivi verso il loro rapitore.
Dopo un anno una delle vittime rivelò di provare gratitudine nei confronti del carceriere.
Le attenzioni ricevute avevano indotto lei e le altre vittime a pensare che, nonostante la situazione difficile e la paura, fossero stati trattati con gentilezza. Un altro ostaggio, Sven Safstrom, arrivò addirittura a dire che si potrebbe pensare ad Olsson come ad un “Dio di emergenza“.

Secondo gli psichiatri, gli ostaggi svilupparono un debito emotivo verso chi li aveva tenuti in vita, anche se questi erano i responsabili della loro prigionia. Nonostante la paura, il fatto di essere stati trattati con relativa umanità li portò a provare una sorta di gratitudine distorta verso i sequestratori. Questa reazione contraddittoria è diventata nota come “Sindrome di Stoccolma”. 
Questo caso, ed altri simili, hanno sollevato domande affascinanti su come le vittime possano sviluppare risposte emotive inattese di fronte a situazioni estreme e minacciose.

Meccanismi mentali alla base della sindrome

Gli esperti ritengono che la comparsa della sindrome dipenda in larga parte dalla personalità della vittima:
Una personalità fragile e poco solida sembra essere più incline allo sviluppo della sindrome, al contrario chi ha un carattere forte e dominante ne è meno predisposto.

Durante il sequestro di persone facilmente condizionabili, i rapitori tentano spesso un “lavaggio del cervello”, ossia un manipolamento psicologico volto a depersonalizzare l’ostaggio e convincerlo che nessuno verrà a salvarlo. Questo può portare il sequestrato ad affidarsi completamente al proprio aggressore, generando una fase di contatto positivo in cui sviluppa un attaccamento psicologico verso quest’ultimo. Inconsapevolmente, la vittima elimina il risentimento per garantirsi clemenza. Questa situazione fa sì che il sequestratore abbia meno motivi per essere violento; non a caso chi è affetto dalla sindrome di Stoccolma sembra avere maggiori probabilità di sopravvivere ad una situazione critica.
Si ritiene dunque che questa condizione possa rappresentare una primordiale strategia di adattamento e difesa davanti ad un pericolo.

Quando l’identità perde se stessa: coma la sindrome di Stoccolma manipola la nostra quotidianità

Relazioni amorose

Nel contesto delle relazioni affettive, si osserva spesso una dinamica sottile e distruttiva: il partner dominante non costringe fisicamente l’altro a rimanere al suo fianco, ma piuttosto instaura una guerra psicologica inconscia per annientare l’autostima del compagno/a.
In questa situazione la vittima può iniziare a credere che l’unico modo per mantenere viva la relazione sia sottomettersi completamente.

La Sindrome di Stoccolma può anche portare la vittima a nutrire l’illusione che, se dovesse resistere ed amare incondizionatamente il proprio partner anche di fronte a maltrattamenti e soprusi, alla fine quest’ultimo/a si trasformerà nella figura ideale tanto desiderata.
Tuttavia è importante notare che, in profondità, può esistere un elemento di masochismo inconscio e viscerale che spinge la vittima a provare una sorta di soddisfazione paradossale nei confronti delle umiliazioni subite. 

In famiglia

In famiglie fortemente disfunzionali e violente, un bambino non può che rivolgersi al suo carnefice-genitore nel disperato tentativo di ottenere un minimo di sollievo o protezione. 
È come se il bambino, in mancanza di alternative, si aggrappasse all’unica figura presente nella sua vita, anche se la più inadatta e dannosa. Un legame malato che perpetua la violenza e l’abuso in un cortocircuito senza fine da cui è difficilissimo uscire. La fragilità e la disperazione, in queste situazioni, portano ad instaurare dipendenze psicologiche che è poi arduo spezzare anche in età adulta.

Relazioni professionali

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Figura 2 – Sindrome di Stoccolma sul lavoro
[Fonte: Memedroid.com]

Oggi la posizione sociale è sempre più importante per l’autostima personale; questo può aumentare il rischio di sviluppare la Sindrome di Stoccolma proprio sul posto di lavoro. 
Nota anche come “Corporate Stockholm Syndrome”, questo fenomeno si verifica quando i dipendenti si identificano eccessivamente con il proprio lavoro e i propri superiori, anche in presenza di comportamenti tossici.
Come nella dinamica rapitore/prigioniero, il datore di lavoro ha il controllo sul destino del dipendente, che per paura di perdere il lavoro o non avere promozioni, potrebbe, inconsciamente, abbandonarsi al volere del superiore. 

Inoltre, tenderà a razionalizzare il trattamento inadeguato come necessario per il bene dell’organizzazione e difenderà con rabbia le azioni del datore di lavoro quando messe in discussione.
La cultura aziendale in cui prospera la sindrome di Stoccolma aziendale presenta tratti negativi come la poca tolleranza o l’incoraggiamento implicito all’abuso verbale tra colleghi. Questo può aumentare la lealtà dei dipendenti verso l’azienda ma distruggerà il loro benessere emotivo.

Sindrome di Stoccolma: casi famosi

  • MARY McELROY: Il primo caso di Sindrome di Stoccolma registrato si riferisce al rapimento di Mary McElroy. Una mattina di maggio del 1933 alcuni uomini mascherati entrarono nella sua abitazione armati di fucili e la rapirono, concedendole però il tempo di vestirsi ed asciugarsi. Dopo sole 29 ore di prigionia Mary fu rilasciata e ritrovata con delle rose in mano, che le erano state regalate dai suoi stessi rapitori.
    Durante il processo, Mary difese strenuamente i suoi aguzzini, testimoniando in loro favore e supplicando le autorità per la grazia di Walter McGee, condannato a morte. La ragazza mantenne una relazione di amicizia con i suoi aguzzini anche dopo il processo. Alla fine della sua vita, nel 1940, Mary prima di suicidarsi, lasciò una nota in cui affermava che i quattro rapitori furono probabilmente le uniche persone sulla Terra a non considerarla una pazza totale.
  • GIOVANNA AMATI: Ex pilota di F1 e figlia del proprietario di una catena di cinema romani, confessò di essersi innamorata del suo rapitore, il boss della malavita Daniel Nieto; questi la tenne prigioniera per mesi e costrinse i genitori al pagamento di un duplice riscatto.
  • PATTY HEARST: Nipote dell’editore William Randolph Hearst, fu rapita da un gruppo terroristico noto come Symbionese Liberation Army (SLA). Dopo un anno di prigionia, durante il quale subì violenze e torture, Hearst annunciò di essersi unita ai suoi rapitori e divenne una rivoluzionaria. Partecipò a rapine in banca e promosse la loro propaganda. Nel 1975 l’FBI riuscì a catturarla e la condannò a 35 anni di carcere, poi ridotti a 7.
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Figura 3 – Patti Hearst, affetta da sindrome di Stoccolma, durante
una rapina [fonte: Pbs.org]

Altri casi

  • AUGUSTO DE MENGHI: Nel 1990, alla tenera età di 10 anni, fu rapito e tenuto prigioniero per 110 giorni. Dopo essere stato liberato, rivelò in un’intervista che i suoi rapitori, approfittando della sua giovane età e quindi della sua fragilità, lo istigarono contro la sua famiglia. De Menghi affermò di essersi aggrappato ad ogni parola dei suoi rapitori e di essersi quasi sentito parte della banda. Anni dopo Augusto partecipò e vinse la sesta edizione del Grande Fratello.
  • NATASCHA KAMPUSCH: Fu rapita a 10 anni e tenuta prigioniera dal 1998 al 2006 in una cantina insonorizzata e senza finestre. Subì violenze fisiche e psicologiche ma col tempo le fu permesso di uscire dalla stanza. Riuscì a scappare mentre il suo rapitore era distratto. Questi, ormai ricercato, si suicidò pochi giorni dopo. Per anni dopo la morte del suo carnefice Natascha ha portato una sua fotografia nel portafoglio ammettendo di essere profondamente addolorata per la sua scomparsa. 

Sindrome di Stoccolma: come uscirne

Per chi soffre di questa sindrome, essere separato dal proprio carnefice può essere straziante. Nonostante la libertà raggiunta, la vittima continua a sentirsi emotivamente legata a chi le ha fatto del male.

Per liberarsi da questa patologia è necessario prima di tutto prendere coscienza della propria situazione, passo fondamentale per ricevere l’aiuto adeguato e riacquistare libertà mentale e lucidità. Amici e parenti possono avere un ruolo fondamentale nel percorso di guarigione, ma il miglior rimedio rimane la psicoterapia, affiancata dalla somministrazione di farmaci se necessario.

Fonti

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Luca Dinatale

Luca Dinatale; scrittore, narratore, sognatore.

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