La bentonite: un’arma contro la diffusione delle micotossine

Bentonite e micotossine: quale correlazione?

La bentonite, originariamente generata dalla disgregazione della cenere vulcanica in situ, è un agente di adsorbimento caratterizzato da una microstruttura cristallina a strati e una composizione piuttosto variabile.

“Bentonite” è il nome commerciale di una serie di argille naturali caratterizzate dalla capacità di assorbire acqua rigonfiando. Il componente principale della bentonite è la montmorillonite: un minerale argilloso appartenente alla classe dei fillosilicati chiamati smectiti

Nella bentonite, oltre alla montmorillonite, si può riscontrare la presenza di altri minerali argillosi (come caolino, mica, illite, ecc.) e non argillosi (come quarzo, feldspato, calcite e gesso). 

La presenza o meno di tali minerali può, pertanto, influenzare l’efficacia di adsorbimento della bentonite e renderla più o meno idonea per determinate applicazioni. 

Grazie alle sue particolari proprietà la bentonite è oggigiorno impiegata in numerosi e diversificati settori tra cui si distingue il settore mangimistico. 

Il suo impiego è, infatti, autorizzato nel settore mangimistico come additivo (cod. E558) ad azione legante e antiagglomerante, ad una concentrazione massima tollerata di 20g/kg di mangime.

Bentonite
Figura 1 – Bentonite

L’impiego nel settore agro-alimentare

L’uso di materie prime, soprattutto di cereali come il mais, contaminate da micotossine ha, da sempre, un forte impatto globale, che grava in particolar modo, sulla filiera lattiero-casearia e agro-alimentare causando significative perdite economiche. 

Questo è particolarmente rilevante a causa delle tante peculiarità che caratterizzano tali contaminanti, inclusa la loro distribuzione eterogenea nelle derrate alimentari e l’impatto negativo che hanno sul benessere dell’animale d’allevamento, sul suo sistema immunitario, sull’assorbimento dei nutrienti e, quindi, più in generale sul microbiota gastrointestinale.

Condizioni atmosferiche favorevoli e specifiche per ogni tipologia di micete, riconducibili al rapporto umidità-temperatura, a stress idrici delle piante o malattie delle stesse, favoriscono la proliferazione delle muffe e quindi la conseguente presenza di loro metaboliti. 

Altre condizioni favorevoli sono rappresentate da anomalie nella conservazione degli alimenti legate soprattutto al loro stato di idratazione. 

La presenza di micotossine in allevamenti animali

Non è infrequente, infatti, riscontrare la presenza di micotossine, in particolar modo di aflatossine, in un allevamento animale, che, anche se entro i limiti normativi, provocano aumento di morbilità non specifica e maggiore necessità di interventi farmacologici con conseguente rischio di residui all’interno dei prodotti commercializzati. 

L’intossicazione sulla vacca da latte non presenta i sintomi specifici delle singole micotossine, ma un quadro generico derivante dalla loro azione cumulativa. 

Se da un lato l’introduzione di miglioramenti nel management aziendale unitamente all’impiego di materie prime a basso rischio da contaminazione di aflatossine restano degli interventi prioritari da adottare in campo, è stato dimostrato che l’aggiunta di additivi chelanti alla razione della vacca da latte, quali la bentonite, pur non avendo alcun apporto nutrizionale, è in grado di ridurre l’assorbimento intestinale di aflatossine favorendone l’escrezione fecale e, dunque, evitando la conseguente contaminazione del latte. 

Ad oggi, numerosi studi dimostrano la sicurezza della somministrazione in razione di bentonite per la salute sia dell’animale produttore dell’alimento che del consumatore.

Per questo motivo, l’industria mangimistica sia in Europa che negli Stati Uniti ricorre largamente all’impiego di bentonite nella formulazione delle diete per gli animali da reddito zootecnico.

Ma cosa sono le micotossine?

Le micotossine possono essere definite come prodotti secondari del metabolismo di un gran numero di specie fungine. 

Si tratta, infatti, di sostanze tossiche ubiquitarie che derivano dal metabolismo secondario di diversi ceppi di funghi, parassiti o saprofiti, micotossigeni ed in particolare del genere Aspergillus, Penicillium, e Fusarium

Le principali micotossine di interesse per la bovina da latte comprendono metaboliti prodotti da due specie fungine importanti: Aspergillus flavus e Aspergillus parasiticus, tra cui si distingue l’aflatossina B1 (AFB1), la più diffusa tra i prodotti alimentari ed una delle più potenti in termini di genotossicità e cancerogenicità. 

Le aflatossine sono molecole a basso peso molecolare (< 500 u.m.a.) ed elevata termostabilità (fino a 250°C).

Le micotossine, in generale, possono essere classificate anche a seconda dell’organo colpito dalle stesse in: 

  • Dermatotossine: danno alle mucose e alla pelle
  • Epatotossine: danno al fegato
  • Cardiotossine: causano malattie cardiovascolari
  • Nefrotossine: danneggiano i reni
  • Neurotossine: colpiscono il sistema nervoso centrale
  • Pulmotossine: causano edema polmonare.

Inoltre, esiste anche una diversa classificazione delle micotossine:

  • Immunotossine: influiscono negativamente sul sistema immunologico
  • Micoormoni: influenzano negativamente la regolazione ormonale
  • Composti cancerogeni: portano alla formazione di neoplasie.

Cinetica delle micotossine

Per ciò che riguarda la cinetica, la presenza del rumine rappresenta certamente un importante fattore nel condizionare una minore sensibilità dei ruminanti, a discapito dei monogastrici, nei confronti di numerose micotossine. 

Reazioni di idrolisi e/o di riduzione determinano, infatti, la formazione di derivati meno tossici a carico di Ocratossina A (OTA), Desossinivalenolo (DON), Tossina T2 e Diacetossiscirpenolo (DAS), mentre Aflatossina B1 (AFB1) e Fumonisine non sembrano subire significativi fenomeni degradativi. 

Al contrario, lo zearalenone subisce una conversione da parte della flora ruminale nel suo idrossi-metabolita α-zearalenolo (circa per il 90%) e, in minor misura, in β-zearalenolo. 

Sebbene l’α-zearalenolo sia dotato di una potenza estrogenica maggiore rispetto alla molecola originaria, il suo minor tasso di assorbimento e la sua interconversione nel fegato nel meno potente β-zearalenolo potrebbero spiegare la bassa suscettibilità dei bovini da latte. 

Lo zearalenone e i suoi metaboliti, inoltre, potrebbero essere escreti con il latte, ma i livelli rimangono, tuttavia, molto bassi e, spesso, al di sotto del limite di quantificazione. 

Occorre, tuttavia, sottolineare che l’azione detossificante del rumine può essere influenzata da vari fattori quali il tempo di persistenza e motilità ruminale e, soprattutto, la quantità di micotossina presente all’origine. 

Per ciò che concerne le aflatossine, nelle bovine da latte, un problema rilevante nasce dalla trasformazione di AFB1 e AFB2 in metaboliti idrossilati, aflatossine M1 e M2 (AFM 1 e AFM 2 ), che possono essere riscontrate nel latte e nei prodotti lattiero-caseari ottenuti da bestiame alimentato con mangime contaminato. 

L’ingestione di mangimi contaminati

Dopo l’ingestione di mangimi contaminati, una parte dell’aflatossina B1 ingerita viene degradata nel rumine. 

La frazione rimanente viene assorbita nel tubo digerente per diffusione passiva e viene idrossilata nel fegato ad aflatossina M1. L’aflatossina M1 è coniugata all’acido glucuronico, successivamente può essere escreta attraverso la bile o entrare a livello della circolazione sistemica. 

L’aflatossina circolante M1 può essere escreta nelle urine o ritrovarsi nel latte. Finora, l’aflatossina M1 è stata considerata il principale metabolita escreto nel latte, tuttavia, è stato riscontrato che, anche se in minor misura, le aflatossine M2 e M4, originate dalle reazioni di biotrasformazione epatica di altre aflatossine naturali, vengono riscontrate nel latte in piccole quantità.

Effetti riscontrati sull’animale

L’effetto tossico delle micotossine sulla salute animale e umana è indicato con il termine di micotossicosi. 

L’esposizione alle micotossine avviene, principalmente, per ingestione, ma si verifica anche, in minor misura, per via cutanea e per inalazione. 

L’effetto negativo delle micotossine sulla salute animale dipende principalmente dall’entità dell’esposizione (dosaggio e periodo); dal tipo di micotossine; dallo stato fisiologico e nutrizionale nonché dai possibili effetti sinergici da parte di altre sostanze chimiche a cui possono risultare esposti gli animali. 

In ambito zootecnico, in relazione alle concentrazioni di micotossine presenti nei mangimi contaminati si possono manifestare:

  1. micotossicosi cliniche, più rare ma relativamente facili da diagnosticare poiché caratterizzate da sintomi riferibili alla compromissione di apparati/organi bersaglio delle specifiche micotossine coinvolte;
  2. micotossicosi subcliniche, relativamente frequenti ma difficili da diagnosticare in quanto risultano essere caratterizzate soltanto da calo quantitativo e qualitativo delle produzioni ed, in minor misura, da patologie secondarie conseguenti agli effetti immunodepressivi che alcune di esse esercitano.

Pertanto, sono considerate una minaccia sicuramente rilevante per la sicurezza della filiera mangimistica, che diventa un vincolo significativo e difficilmente eliminabile per i sistemi di produzione animale.

Quali sono i rischi per la salute pubblica?

Le micotossine destano preoccupazione per la tutela della salute pubblica per diversi motivi:

  1. possono essere presenti anche in un alimento non visibilmente ammuffito;
  2. hanno effetti tossici particolarmente dannosi (cancerogeni, mutageni e immunodepressivi);
  3. sono attive anche a basse concentrazioni;
  4. sono particolarmente stabili;
  5. non si dispone di antidoti nei loro confronti. 

Numerose sono le evidenze riguardanti il ruolo delle aflatossine nel determinare tossicità sia a breve-medio termine, sia cronico. 

Il fegato rappresenta il bersaglio elettivo: quella di maggiore interesse tossicologico è senza dubbio l’aflatossina B1 (AFB1) poichè possiede una documentata azione genotossica ed epatocancerogena. 

Nel 1993 lo stesso IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) ha, infatti,  classificato numerose sostanze documentate in base alla loro cancerogenicità, tra le quali si riscontra la presenza delle aflatossine, quali l’AFB1 e AFM1 rispettivamente nel gruppo 1 (cancerogeno umano certo), e gruppo 2B (possibile cancerogeno).

L’assunzione cronica a basse dosi di micotossine multiple, infatti, è associata ad un aumentato rischio di sviluppare carcinomi umani. 

Attuale normativa UE

La normativa UE tutela la salute dei consumatori:

  • fissando i livelli massimi consentiti di aflatossine presenti in alimenti e mangimi tali da non arrecare un danno alla salute umana o animale;
  • mantenendo i tenori di micotossina al minimo livello ragionevolmente conseguibile, seguendo le buone pratiche raccomandate in materia di agricoltura, stoccaggio e lavorazione.

I livelli massimi di aflatossine e di altri contaminanti negli alimenti sono stabiliti nel regolamento (CE) n.1881/2006 e successive modifiche. 

In considerazione di tutte le evidenze scientifiche e risultati tossicologici raccolti finora, molti paesi hanno fissato livelli massimi accettabili di aflatossina M1 riscontrabile nel latte e nei prodotti lattiero-caseari. 

Il limite massimo fissato dalla normativa europea, è, infatti, pari a 0,050 µg/kg. Superata tale soglia il prodotto non è ammesso al consumo umano e, dunque, non è possibile la sua commercializzazione.

Strategie per il controllo della contaminazione da micotossine

Le micotossine riscontrabili negli alimenti di origine vegetale possono, oltre che causare direttamente effetti negativi sulla salute dell’animale o dell’uomo, ritrovarsi nei prodotti di origine animale (es. latte, carne e uova) per un fenomeno di carry over (rapporto tra la concentrazione della micotossina nell’alimento e quella riscontrata sotto forma di residuo nel tessuto o nel sottoprodotto animale). 

Buone pratiche agricole tra cui la rotazione delle colture, la gestione del suolo, la scelta delle varietà e l’uso corretto dei fungicidi possono aiutare a controllare lo sviluppo di micotossine sul campo. 

Condizioni di raccolta e conservazione adeguate sono fondamentali per prevenire lo sviluppo di funghi e l’accumulo di micotossine nei prodotti raccolti.  

Sfortunatamente, le misure pre-raccolta non garantiscono l’assenza totale di micotossine in alimenti o mangimi. 

Per tale motivo l’attenzione della comunità scientifica si è rivolta verso la ricerca di possibili soluzioni da adottare in allevamento al fine di prevenire le eventuali contaminazioni da micotossine. 

Sono state studiate numerose strategie per debellare o inattivare le aflatossine dagli alimenti, tra cui l’assunzione di sostanze chemio preventive, l’irradiazione-gamma, l’inattivazione termica, la separazione fisica, la degradazione microbiologica, vari trattamenti chimici e l’assorbimento su substrati solidi che blocchino le aflatossine riducendo la loro biodisponibilità. 

L’impiego di sostanze adsorbenti/sequestranti, che non esercitano alcuna azione dal punto di vista nutrizionale, è uno degli approcci più recenti per ridurre il rischio di micotossine negli animali e il loro trasferimento dai mangimi contaminati ai prodotti finali alimentari di origine animale. 

Tali sostanze, infatti, sono in grado di legare le micotossine nel tratto gastrointestinale riducendone la biodisponibilità e, dunque, l’assorbimento e la tossicità sistemica, prevenendo, così, il loro passaggio nei prodotti per il consumo umano. 

Gli agenti adsorbenti (o sequestranti) possono essere: alluminosilicati (bentonite, montmorillonite, zeolite, HSCAS), carbone attivo, pareti di lieviti, batteri, fibre micronizzate e polimeri.

Efficacia delle sostanze adsorbenti

Per poter essere considerato efficace, l’agente adsorbente deve possedere un’elevata affinità per la molecola, affinché si possa instaurare, all’interno del tratto gastrointestinale dell’animale interessato, un legame stabile con la micotossina in tempi più rapidi. 

Una caratteristica influenzante l’efficacia dell’adsorbimento è la struttura fisica dell’adsorbente, ovvero la carica totale e la distribuzione della carica, la dimensione dei pori e la superficie accessibile. 

D’altra parte, giocano un ruolo significativo anche le proprietà delle molecole da adsorbire, quali le micotossine, come la polarità, la solubilità, la dimensione, la forma e, nel caso di composti ionizzati, la distribuzione della carica e le costanti di dissociazione. 

I criteri più importanti per la valutazione degli adsorbenti da impiegare includono la stabilità del legame assorbente-tossina e la loro efficacia in un ampio intervallo di pH, poiché è previsto che tale prodotto agisca su tutto il tratto gastrointestinale. 

Studi condotti in vitro hanno evidenziato l’efficacia della bentonite in qualità di sostanza adsorbente le micotossine, in modo particolare le aflatossine, in soluzione acquosa, a differenti valori di pH.

Per ciò che, invece, riguarda le temperature di impiego della stessa, diversi studi hanno evidenziato come i campioni di bentonite trattati a temperature più basse hanno dimostrato una maggiore capacità di adsorbimento di AFB1 rispetto ai campioni trattati a temperature più elevate, suggerendo che tale situazione può essere conseguente alla migliore incorporazione del tensioattivo a temperature più basse, il che significa che il processo di organofilizzazione della bentonite risulta essere più efficiente a temperature basse (30°C). 

Effetti attualmente documentati

Numerosi sono gli studi in merito all’impiego di bentonite e sostanze affini nella lotta alla contaminazione da parte di micotossine nel settore agro-alimentare.

In considerazione delle proprietà genotossiche e cancerogene che esse possiedono, studi condotti in vitro si sono incentrati sulla dimostrazione dell’effetto protettivo che la bentonite possiede nei confronti della tossicità indotta nelle cellule staminali da parte delle aflatossine. 

La protezione può verificarsi quando AFB1 occupa lo spazio interstrato di montmorillonite (componente principale della bentonite), formando così dei complessi con i metalli, il che si traduce in una ridotta disponibilità di AFB1 e, di conseguenza, in un ridotto danno cellulare.

Tali risultati indicano come la bentonite, ad una concentrazione 0,6 mg/ml, non influisce sulla differenziazione e può modulare la vitalità delle cellule staminali riducendo la morte cellulare causata da fattori tossici, come l’aflatossina B1, offrendo nuove prospettive per comprendere l’importanza dell’impiego di tali sostanze per il trattamento di esseri umani e animali.

Studi sull’impiego di bentonite nel ridurre la concentrazione delle micotossine

In uno studio effettuato dal gruppo di ricerca del Laboratorio di Geologia Medica e Ambientale dell’IMAA, in merito all’assorbimento di aflatossina M1 attraverso l’impiego di bentonite, i risultati hanno evidenziato una maggiore efficienza della bentonite rispetto al caolino (altra sostanza adsorbente) nel ridurre la concentrazione della micotossina al di sotto del limite massimo consentito dalla legge (50 ng/L per gli adulti e 25 ng/L per lattanti) a partire da una contaminazione fino a 80 ng/L .

Diversi studi condotti in vivo riferiscono una riduzione significativa dell’escrezione di aflatossine attraverso sottoprodotti di origine animale, come il latte, a seguito dell’utilizzo di bentonite a concentrazioni comprese tra lo 0,03 e l’1% della razione. 

L’efficacia di tale sostanza adsorbente risulta essere significativa in funzione dei modi e dei tempi d’inclusione della stessa nella razione. 

A tal proposito, più lungo è il tempo di contatto tra l’agente adsorbente e l’aflatossina, minore sarà la biodisponibilità di quest’ultima. 

Ricerche approfondite suggeriscono che i potenziali enteroadsorbenti di micotossine dovrebbero essere rigorosamente valutati in vitro e in vivo prima della loro applicazione. 

Fonti

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  • Regolamento di esecuzione (UE) N. 1060/2013 della commissione del 29 ottobre 2013 relativo all’autorizzazione della bentonite quale additivo per mangimi destinati a tutte le specie animali
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Valentina Tassone

Ciao a tutti, sono Valentina Tassone e sono una biologa abilitata laureata in Biotecnologie Mediche, Veterinarie e Farmaceutiche da sempre appassionata di microbiologia veterinaria e zoonosi. Amo la scienza, la natura, gli animali, il buon cibo ed incuriosire i miei amici con le mie conoscenze. Puoi trovare più informazioni su di me qui linkedin.com/in/vtassone

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