Microbiologia vegetale: benefici ed impatti commerciali

Introduzione sulla microbiologia vegetale

L’attuale condizione mondiale vede da un lato il continuo aumento della popolazione, che definisce a sua volta un inevitabile aumento nella domanda di cibo, d’altro lato il global warming che riduce la resa delle coltivazioni. Oggigiorno risulta quindi fondamentale sviluppare metodi di coltivazione che permettano di soddisfare la crescente domanda di cibo, senza impattare oltre sull’ambiente.

Per questo, un’agricoltura sostenibile dovrebbe basarsi sia sull’utilizzo di geni che permettono un miglior adattamento della pianta all’ambiente sia su una visione olobiontica che considera il microbiota della pianta come una risorsa a cui fare riferimento per ottenere una miglior adattabilità rispetto alle mutevoli condizioni ambientali. 

Microbiologia vegetale ed il ruolo del microbiota vegetale

Il termine microbiota indica l’insieme dei microrganismi viventi in associazione con un organismo ospite pluricellulare (internamente o superficialmente). I microrganismi vengono ospitati, sia come endofiti sia come epifiti, in tutti gli organi di una pianta: quelli principalmente studiati sono il microbiota radicale e il microbiota fogliare (della fillosfera), ma effetti importanti si hanno anche dall’interazione pianta-ospite a livello di seme (spermatosfera), frutto (carposfera) e fiore (antonsfera).

La rizosfera, un elemento fondamentale della Microbiologia vegetale
Figura 1 – La rizosfera, un elemento fondamentale della Microbiologia vegetale

I benefici del microbiota vegetale

Il microbiota può fornire benefici alla crescita e alla salute della pianta ospite, influenzando la disponibilità dei nutrienti, migliorando la risposta ai patogeni e modificando la tolleranza agli stress biotici e abiotici. La sua composizione, che vede i batteri come i microrganismi maggiormente presenti (si stimano 106-107 batteri per cm2 di foglia e fino a 109 batteri per g di radice), con contributi importanti dati dalla presenza di funghi, protozoi, alghe, oomiceti e virus, può variare in risposta a diversi fattori: genotipo dell’ospite,  condizioni ambientali, disponibilità di nutrienti, pratiche agricole utilizzate (nel caso si tratti di una coltura).

Il microbiota vegetale è stato modificato dalla selezione artificiale

L’addomesticamento delle piante è il risultato di un processo di selezione che porta a un maggiore adattamento alla coltivazione e all’utilizzo da parte dell’uomo, al punto che, a partire da circa 10000 anni fa, ha portato le coltivazioni agricole a divenire la principale fonte di cibo. Ma se da un lato l’addomesticamento ha portato all’ottenimento di piante con specifici caratteri agro-alimentari, d’altro lato il risultato netto di questi processi è stato la perdita di molta della diversità genetica delle piante, la cui crescita e il cui sviluppo in campo sono spesso favoriti da input esterni come fertilizzanti e altri prodotti agrochimici.

La perdita della biodiversità genetica nella microbiologia vegetale

Questa perdita di biodiversità genetica si è realizzata soprattutto verso specifici caratteri di resistenza rispetto a patogeni e a condizioni ambientali avverse e ha inoltre modificato la composizione del microbiota, al punto che se private dell’intervento umano molte piante coltivate non sopravvivrebbero. Ad esempio, si ipotizza che gli antenati selvatici e le prime forme di piante coltivate fossero esposte a suoli più marginali prima dell’invenzione della produzione agricola basata su fertilizzanti sintetici e che di conseguenza i loro pool genici garantissero una diversa abilità di effettuare interazioni con microrganismi che favorissero l’adattamento a difficili condizioni ambientali rispetto ai pool genici delle attuali cultivar.

Questo si è verificato perché alcuni tra i principali geni modificati dalla domesticazione riguardano l’architettura della radice e la produzione di essudati radicali, che invece hanno un ruolo estremamente rilevante nel reclutamento del microbiota da parte della pianta. Il microbiota radicale potrebbe quindi rappresentare un tratto non sfruttato per il futuro breeding delle piante attraverso la selezione di genotipi ospiti che attraggono un microbiota ottimale da un un determinato tipo di suolo per ridurre l’apporto di fertilizzanti sintetici.

Inoculi commerciali

Attualmente un ristretto numero di batteri promotori della crescita (PGPB) sono venduti come inoculi commerciali, sia come singolo ceppo batterico sia come consorzio di più ceppi, capaci, sinergicamente, di aiutare la pianta a crescere e svilupparsi, agendo nel biocontrollo o stimolando direttamente la crescita agendo ad esempio da azotofissatori.

Prima di commercializzare un prodotto di questo tipo, tutta una serie di precauzioni devono essere tenute in considerazione: se si tratta di un batterio rizosferico oppure endofitico (da cui potrebbe dipendere la stabilità dell’inoculo), se ha un’attività biologica appropriata, se non è patogeno per la restante componente di flora e fauna, se sarà facile da preparare, spedire e immagazzinare, se il batterio inoculato sarà compatibile con le moderne tecniche di coltivazione e con le condizioni ambientali in cui si troverà. 

Fonti

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  • Escudero-Martinez, C., Bulgarelli, D. Tracing the evolutionary routes of plant-microbiota interactions. Current Opinion in  Microbiology 49, 34-40 (2019). 
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Jacopo Trotti

Dottorando in genetica vegetale, mi occupo di studiare i meccanismi che regolano le interazioni piante-microrganismi e i meccanismi di risposta agli stress abiotici.

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