Il coronavirus riaccende il ricordo di Carlo Urbani

In questo periodo, siamo continuamente bombardati da notizie riguardanti l’evolversi della situazione allarmante causata dal coronavirus partito da Wuhan. Questi avvenimenti ci ricordano quando nel Novembre 2002, la stessa famiglia di virus, provocò una “Sindrome Respiratoria Acuta Grave” (SARS), con migliaia di contagiati.

L’isolamento dell’attuale temibile coronavirus, da parte di tre ricercatrici italiane, ha riacceso il ricordo di Carlo Urbani, che identificò e classificò per la prima volta la SARS (figura 1).

Figura 1 - coronavirus SARS-CoV
Figura 1 – coronavirus SARS-CoV

Carlo Urbani

L’infettivologo Urbani (figura 2) mentre lavorava per l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), presso l’ospedale francese di Hanoi in Vietnam, notificò nel Febbraio 2003, il ricovero di pazienti contagiati dal virus e successivamente la sindrome fu classificata di nuova identità.

L’infezione passava da uomo a uomo con elevata velocità, la causa fu identificata anche nell’uso non corretto delle apparecchiature per la ventilazione polmonare, quindi tramite la formazione di aerosol. Inoltre, in molti casi, come sta succedendo attualmente, i contagi furono correlati a viaggi in aree asiatiche.

Figura 2 - Infettivologo Carlo Urbani
Figura 2 – Infettivologo Carlo Urbani

La caratterizzazione del “vecchio” coronavirus

Il coronavirus SARS-CoV fu identificato mediante amplificazione e sequenziamento del genoma virale e isolamento associato a caratterizzazione antigenica e anticorpale. Per la caratterizzazione eziologica furono seguiti i requisiti dei postulati di Robert Koch, modificati da Thomas M. Rivers.

Dopo l’isolamento del virus da campioni di casi patologici, fu coltivato in cellule di rene di scimmia (FrhK4 e Vero E6). Verificata la prova di filtrabilità dell’agente infettivo, venne inoculato nella specie di scimmia correlata e si verificò un’analoga sintomatologia polmonare. Reisolato il virus dalle scimmie, studiarono la risposta immunitaria dei pazienti e dell’ospite sperimentale. Il virus isolato dopo coltivazione, fu visualizzato morfologicamente tramite immunoelettroscopia.

Le concentrazioni virali maggiori furono riscontrate in campioni salivari anzichè in campioni liquidi di lavaggio oro-faringeo, a conferma che l’elevato contagio avveniva attraverso goccioline di saliva. Si evidenziò la presenza del virus anche in campioni fecali, dimostrando che anche l’espulsione del virus tramite le feci, poteva essere fonte di infezione.

Con metodi di immunoflorescenza si osservavano, dopo dieci giorni dalla fase più acuta, la presenza di anticorpi specifici.

Questi risultati furono il frutto della collaborazione di cliniche e laboratori della rete dell’OMS: ricordiamo i laboratori del CDC (Center for disease control and prevention) di Atlanta, del British Columbia cancer genome center di Vancouver, del Bernard Nocht Institute for tropical medicine di Amburgo, del Government virus unit di Hong Kong e del Department of virology dell’Erasmus University di Rotterdam.

Il ricordo

In questo periodo di allarmismo mondiale ricordiamo e ringraziamo il nostro connazionale microbiologo Carlo Urbani (figura 3), grazie a lui non solo la SARS fu considerata una rara malattia, ma creò un piano anti-pandemie che anche in questo momento l’OMS sta adottando come protocollo internazionale; Urbani davanti ad un virus sconosciuto, convinse le autorità ad impiegare la quarantena.

Figura 3 - il ricordo di Carlo Urbani
Figura 3 – il ricordo di Carlo Urbani

Purtroppo il nel Marzo 2003, durante un volo da Hanoi si rese conto di essere stato infettato. Un uomo legato al suo lavoro e con uno spirito da vero eroe, appena atterrato chiese di essere ricoverato in quarantena e lasciò utilizzare i tessuti dei suoi polmoni ai medici australiani e tedeschi per trovare una cura.

Il ricordo della moglie Giuliana Chiorrini sul corriere della sera:
“Mio marito Carlo morì di SARS. Era infettivologo: quel giorno lo chiamarono e non si tirò indietro. Carlo era dirigente dell’Organizzazione mondiale della Sanità ad Hanoi, l’avevo seguito con i nostri tre figli. Quando lo cercarono dall’ospedale non si risparmiò. Oggi rivivo tutti quei momenti. Il 18 marzo partì per Bangkok, lo salutammo che stava bene. Durante il volo cominciò ad accusare i primi sintomi, febbre e tosse, e una volta a terra si consegnò ai medici. Ci sentimmo la sera. Capimmo subito. Morì dopo una decina di giorni di isolamento”

La storia si ripete

Li Wenliang, il medico che aveva intuito l’elevato rischio del nuovo coronavirus, da una recentissima notizia, è morto.

E’ doveroso ringraziare ogni persona, ricercatore, medico che dona preziosi minuti per contrastare queste epidemie, per salvare vite umane.

Veronica Nerino

Fonti



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