Nell’autunno 2015, un nuovo Hepacivirus umano (HHpgV-1) è stato identificato utilizzando una nuova tecnica di sequenziamento ad alto rendimento. Alcune preoccupazioni sono state sollevate poiché questo virus è stato trovato nel sangue da utilizzare per le trasfusioni, e poteva potenzialmente trasmettere l’infezione. Ma senza strumenti per testare la sua presenza, non c’era modo di sapere quanto diffusa era l’infezione da HHpgV-1, o se era associata con la malattia umana.
Un nuovo rapporto nel Journal of Clinical Microbiology descrive nuovi strumenti per aiutare ad affrontare queste domande. HHpgV-1 (denominato Pegivirus umano 2, o HPgV-2, in questa relazione) è un flavivirus, ed ha la struttura tipica dei flavivirus: Un envelope virale con glicoproteine M ed E incorporate, che circondano il capside, il quale è composto da proteine C del nucleocapside. Il genoma a singolo filamento di RNA si trova all’interno del capside, insieme a diverse proteine non strutturali (NS). Utilizzando anticorpi contro la glicoproteina ricombinante E2 o proteine NS4AB, l’autore Katie Coller insieme ad George Dawson sono stati in grado di testare la sieroprevalenza di HPgV-2.
I ricercatori hanno osservato un grado molto più alto di sieroprevalenza di anticorpi HPgV-2 tra quelli coinfettati da virus dell’epatite C (HCV). Ciò conferma i precedenti suggerimenti, ovvero che il virus HPgV-2 ha sia una modalità di trasmissione simile al virus dell’epatite C (entrambi sono virus per via ematica) ed inoltre indica che ci possono essere fattori simili che mettono le persone a rischio per entrambi i virus.
La viremia da HPgV-2 può persistere per almeno 7 settimane, secondo alcuni strumenti di rilevamento molecolari. Questo differenzia HPgV-2 dai flavivirus come West Nile virus o Zika, che causano un’infezione acuta, ma vengono cancellati dal sistema immunitario, e suggerisce che HPgV-2 può essere più simile a HCV. Uno screening futuro di infezioni attive fornirà un quadro più chiaro sul ciclo infettivo di HPgV-2, che sarà più semplice con questi nuovi strumenti che consentono di individuare sia l’infezione attiva che l’infezione già risolta.
La scoperta di nuovi virus nella fornitura di sangue sottolinea che non sappiamo dove saranno trovati nuovi agenti infettivi. Questi virus non possono farci male – o possono essere associati con la malattia in un modo che non abbiamo ancora scoperto. Solo avendo test diagnostici adeguati per rilevare il virus saremo in grado di fare queste associazioni, e impedire che questi virus contaminino l’afflusso di sangue.
Salvatore Gemmellaro
Fonte: mBiosphere