In origine la parola “virus” significava veleno e il termine “virulento” voleva dire velenoso. Oggi intendiamo per virus una entità submicroscopica e “virulento”, in generale, significa contagioso. La medicina moderna utilizza il termine “virus” per indicare una microscopica forma di vita capace di infettare le cellule e a cui viene pertanto attribuita la responsabilità di molte delle nostre malattie. Nell’immaginario popolare, il virus è una forma di vita in grado di parassitare ogni altra forma di vita, inclusi gli animali, le piante e i saprofiti (funghi e batteri). Nella descrizione delle infezioni virali, ai virus vengono attribuiti comportamenti quali “iniettarsi”, “incubare”, “essere in latenza”, “invadere”, avere uno “stadio attivo”, “impadronirsi”, “riattivarsi”, “mascherarsi”, “infettare”, “assediare” ed essere “devastanti” e “mortali”. La teoria medica convenzionale sostiene che i virus nascono da cellule morte che essi stessi hanno infettato. Il virus “si inietta” nella cellula e le “ordina” di riprodurlo, fino al momento in cui la cellula esplode per lo sforzo. I virus sono a questo punto liberi di cercare altre cellule in cui ripetere il processo, infettando così l’intero organismo. La maggior parte delle infezioni emergenti nascono dalla trasmissione di virus dagli animali all’uomo, ma molte di esse non provocano epidemie perché il patogeno non riesce a mantenere la trasmissione della malattia da persona a persona. Scoprire il prima possibile se l’infezione virale è in grado di trasmettersi tra esseri umani è quindi fondamentale per predisporre piani di intervento efficaci ma che non comportino uno spreco di risorse.
I ricercatori hanno posto particolare attenzione a fattori biologici come il tasso di mortalità dell’ospite, il tipo di genoma (DNA o RNA), la lunghezza del genoma (numero di nucleotidi), la durata dell’infezione (acuta o cronica), l’eventuale segmentazione in più parti del genoma, la frequenza della ricombinazione del genoma (classificata come alta o bassa), la presenza o assenza di un involucro esterno di protezione, e le modalità di trasmissione del virus. E’ risultato che la probabilità di trasmissione da persona a persona è maggiore per i virus privi di involucro e con un genoma non segmentato, e che questa probabilità è tanto più elevata quanto minore è la mortalità dell’ospite e maggiore la capacità del virus di sopravvivere per un tempo prolungato nell’ospite (dando luogo a una patologia cronica). Per contro, i virus che hanno un involucro protettivo sembrano più facilmente degradabili dall’organismo umano e non sono stabili nell’ambiente. Inoltre, i virus che vengono trasmessi da insetti come le zanzare hanno meno probabilità di diffondersi tra gli esseri umani. Così, anche se malattie come la Dengue e Zika sono giustamente oggetto di grande attenzione, costituiscono un’eccezione e non la regola.