Le microplastiche trasportano anche i virus

La plastica è ormai diventata indispensabile nella vita quotidiana, trovando impiego in ogni settore produttivo. Tuttavia, l’utilizzo massiccio ha causato un aumento esponenziale anche dei suoi rifiuti, spesso dispersi nell’ambiente. Le conseguenze sono devastanti sia per gli ecosistemi che per la salute umana. In particolare, secondo ricerche recenti le microplastiche trasportano anche i virus soprattutto negli ambienti acquatici.

Negli ultimi vent’anni, la ricerca si è concentrata specialmente sulle microplastiche, ovvero pezzetti plastici di dimensioni inferiori ai 5 millimetri (mm). Questi, a causa delle loro dimensioni ridotte, sono in grado di diffondersi in tutti i tipi di ambienti: terrestri, di acqua dolce, marini e atmosferici, rappresentando così una minaccia da non sottovalutare.

La plastisfera: un ecosistema da studiare

Una volta disperse nell’ambiente, le microplastiche sono rapidamente colonizzate da microrganismi. Si viene a creare la cosiddetta plastisfera. Si tratta di comunità di microbi che proliferano sulla plastica, creando un vero e proprio ecosistema in grado di alterare le proprietà chimiche e fisiche delle microplastiche stesse.

La plastisfera, un ecosistema di microbi che prosperano sui detriti di plastica galleggianti, è stata ampiamente studiata nelle acque marine a partire dal 2013. Tuttavia, si sa ancora molto poco su quella di acqua dolce.

Le microplastiche trasportano anche i virus soprattutto negli ambienti acquatici.
Figura 1 – Le microplastiche trasportano anche i virus soprattutto negli ambienti acquatici. [Fonte: Pixabay.com]

I microbi che vivono insieme su una superficie possono formare una sorta di “pellicola”, chiamata biofilm. Il biofilm microbico può rendere più facile ai virus attaccarsi alle superfici, anche su quelle plastiche. Inoltre, il biofilm protegge i microbi da fattori esterni, come disinfettanti o farmaci. È come se tanti microbi insieme formassero una comunità che vive all’interno di una città protetta da mura di cinta. Questa “città microbica” è molto più resistente di quanto lo sarebbero i singoli microbi. inoltre, protegge anche tutto ciò che si trova all’interno della mura, in questo caso i virus.

Sembra quindi che il biofilm microbico possa rendere più facile ai virus attaccarsi alle superfici di plastica, ma gli effetti di questa interazione non sono ancora chiari. Sono necessari ulteriori studi.

Microplastiche e virus: un legame pericoloso

Le microplastiche non sono solo un problema per l’inquinamento ma potrebbero anche favorire la diffusione di virus nelle acque. I ricercatori dell’Università di Stirling, in Gran Bretagna, insieme ai colleghi tedeschi della Brandenburg Medical School, hanno dimostrato che i frammenti di plastica diventano una sorta di zattera per i virus, in particolare per quelli che infettano i batteri.

Il biofilm microbico che si forma sulle microplastiche protegge i virus dall’inattivazione, consentendo loro di sopravvivere più a lungo e di spostarsi sfruttando le correnti che trascinano i piccoli frammenti di plastica.

Le microplastiche trasportano anche i virus, ma non solo

Le microplastiche sono diventate una preoccupazione ambientale globale a causa della loro onnipresenza e persistenza negli ecosistemi acquatici. Le loro fonti sono molteplici: dalle acque reflue urbane e industriali al dilavamento dei rifiuti agricoli e alla frammentazione di oggetti di plastica di dimensioni maggiori.

Arrivate nelle acque, possono essere ingerite dalla fauna selvatica causando loro sia danni fisici che alterazioni fisiologiche. Oltre ai rischi diretti, dovuti all’ingestione della plastica e alle sostanze con cui è trattata, le microplastiche possono trasportare contaminanti chimici e biologici. Tra questi ci sono i metalli pesanti, gli antibiotici e i microrganismi patogeni e virus, In questo modo si amplificano i rischi per la salute umana e animale. Infatti, queste sostanze possono poi essere trasferite lungo la catena alimentare insieme alle microplastiche a cui sono legate.

Microplastiche e piante acquatiche: un rapporto complesso

Le microplastiche e le nanoplastiche, frammenti di plastica ancora più piccoli, rappresentano una seria minaccia per i fiumi e i laghi. L’impatto di questi inquinanti sulla flora acquatica è complesso e ancora in fase di studio.

Sembra che alte concentrazioni di plastica possano compromettere la crescita delle piante acquatiche. Queste reagiscono attivando dei meccanismi di difesa, come la produzione di proteine e di enzimi antiossidanti, nel tentativo di proteggersi dallo stress causato dalla plastica.

Le nanoplastiche, in particolare, sembrano interferire con la produzione dei pigmenti che permettono alle piante di svolgere la fotosintesi, essenziale per trasformare la luce in energia. Alcune sostanze chimiche contenute nelle plastiche, come il dibutilftalato e il polivinilcloruro, sono particolarmente dannose. Nonostante ciò, alcune piante acquatiche (come Elodea e Lemna) sembrano tollerarle, suggerendo l’esistenza di strategie di adattamento che permettono ad alcune specie di sopravvivere in ambienti inquinati.

Comprendere meglio l’impatto specifico di diverse plastiche sulla flora acquatica è fondamentale per sviluppare misure efficaci di protezione degli ecosistemi urbani. Così come è essenziale scoprire il ruolo giocato sulla salute delle piante da quelle microplastiche che trasportano anche i virus.

Un problema complesso che richiede soluzioni urgenti

L’accumulo di rifiuti di plastica nell’ambiente acquatico è una delle principali preoccupazioni ambientali a livello globale. La produzione di plastica è aumentata drasticamente negli ultimi decenni, con la conseguente dipendenza da plastica monouso per diversi settori produttivi. A causa della crescente produzione, della durata e della cattiva gestione dei rifiuti, la plastica è diventata vittima del suo stesso successo. Si accumula e persiste a lungo in discariche e sistemi idrici, rappresentando un rischio significativo per l’ambiente.

La ricerca sul destino e sull’impatto delle microplastiche che trasportano i virus nelle acque dolci è ancora limitata. Sono necessari ulteriori studi per comprendere appieno i rischi associati a questa forma di inquinamento emergente. È fondamentale sviluppare strategie di mitigazione adeguate per affrontare questo problema complesso e proteggere la salute degli ecosistemi acquatici e di conseguenza quella umana.

Bibliografia:

  • Moresco V., Charatzidou A., Oliver D.M., Weidmann M.,  Matallana-Surget S., Quilliam R.S. Binding, recovery, and infectiousness of enveloped and non-enveloped viruses associated with plastic pollution in surface wateR. Environmental Pollution Volume 308, 1 September 2022, 119594
  • Ghosh D., Sarkar A., Ghosh Basu A., Roy S. Effect of plastic pollution on freshwater flora: A meta-analysis approach to elucidate the factors influencing plant growth and biochemical markers. Water Research Volume 225, 15 October 2022, 119114
  • Barros J., Seena S.. Plastisphere in freshwaters: An emerging concern. Environmental Pollution, Volume 290, 2021, 118123, ISSN 0269-7491,

Crediti immagini:

  • Immagine in evidenza: https://pixabay.com/it/photos/plastica-polimero-granuli-1061731/
  • Figura 1 : https://pixabay.com/it/photos/pesca-sciupare-spazzatura-plastica-7591407/

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Elisabetta Cretella

Elisabetta Cretella Dopo la laurea magistrale in Genetica e Biologia molecolare conseguita presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza e l'abilitazione alla professione di biologo, si appassiona alla divulgazione scientifica. Consegue il Master in Giornalismo e Comunicazione istituzionale della Scienza presso l'Università degli studi di Ferrara e inizia a scrivere per il webmagazine 'Agenda17' del Laboratorio DOS (Design of Science) dell'Università di Ferrara. Intanto intraprende la strada dell'insegnamento. Ad oggi è docente di Matematica e Scienze presso le Scuole Secondarie di primo grado e di Scienze naturali alle Scuole Secondarie di secondo grado. Nel suo curriculum c'è anche un tirocinio svolto in un laboratorio di ricerca dell'Istituto di Biologia e Patologia molecolare del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IBPM-CNR) e due pubblicazioni su riviste scientifiche peer reviewed.

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