Dalle plastiche alle microplastiche

Si discute sempre di più dell’inquinamento da plastica a causa della sua peculiare caratteristica di scomporsi in pezzi di dimensioni inferiori. Prendono il nome di micro- e nano-plastiche, non si vedono ma si accumulano ugualmente nell’ambiente. Il passaggio dalle plastiche alle microplastiche è un problema sempre più considerato dall’opinione pubblica e dalla comunità scientifica. La scoperta della loro presenza nell’organismo umano, negli alimenti, negli animali e tra le piante marine ha sollevato l’interesse anche dei legislatori di molti Paesi e dell’Unione europea.

La maggior parte dei prodotti di plastica è utilizzata per un periodo di tempo molto breve. Quindi, altrettanto velocemente diventa un rifiuto e si accumula nell’ambiente.

Nell’articolo precedente ci siamo lasciati con alcune domande. Come si smaltiscono i rifiuti plastici? Cosa accade in seguito alla degradazione delle plastiche in pezzetti di dimensioni minori? Qui troverete le risposte.

Dalle plastiche alle microplastiche passando per lo smaltimento dei loro rifiuti

La grande quantità di rifiuti plastici da smaltire ha generato -e continua a farlo- un vero e proprio problema ambientale. Generalmente sono tre le modalità di smaltimento di questi rifiuti:

  1. il riciclo;
  2. l’incenerimento;
  3. la dispersione nell’ambiente (qui rientra anche lo stoccaggio nelle discariche).
Smaltimento dei rifiuti plastici.
Figura 1 – Smaltimento dei rifiuti plastici. [Fonte: pixabay.com]

Il riciclo, pratica cresciuta negli ultimi anni, impiega i rifiuti per la produzione di nuovi prodotti. Questa tecnica richiede però che i rifiuti siano costituiti integralmente da plastica e che vengano lavorati da impianti industriali adeguati. I rifiuti sono separati per densità, macinati meccanicamente e fusi per formare nuovi polimeri. In alternativa possono essere riciclati chimicamente, anche se si tratta di un processo più complesso. I polimeri più riciclati sono il polietilene (PE) e il polietilene tereftalato (PET), impiegati per la produzione di bottiglie e altri contenitori per cibi e bevande.

L’incenerimento permette di trattare rifiuti plastici ‘non puri’. Infatti, richiede una minore differenziazione, accettando anche quelli con residui organici.

La dispersione nell’ambiente prevede sia lo stoccaggio nelle discariche che l’abbandono improprio nell’ambiente, compresi i fiumi. Questi rifiuti arrivano poi in mare. In parte restano in superficie ma la maggioranza affonda. Senza contare la plastica non visibile perché degradata in pezzetti di piccolissime dimensioni. Non si vede ma c’è!

Dalle plastiche alle microplastiche a causa della decomposizione ambientale

La principale via di decomposizione della plastica nell’ambiente è la fotolisi. Si tratta di un processo che induce la rottura dei polimeri che la costituiscono facilitandone l’attacco da parte dei batteri. È un processo lento e dipende dal tempo di esposizione e dall’intensità della luce solare. Gli additivi biocidi poi ne rallentano ulteriormente la degradazione. Intanto, i rifiuti plastici subiscono una degradazione meccanica e si frammentano in pezzetti più piccoli producendo microplastiche.

Plastiche e microplastiche: come si classificano

Dalla degradazione della plastica si generano micro- e nano-plastiche. Al diminuire delle dimensioni aumentano i rischi per la salute perché entrano più facilmente nell’organismo.

L’Unione internazionale di chimica pura e applicata (International Union of Pure and Applied Chemistry – IUPAC) ha stabilito gli intervalli dimensionali per distinguere le micro dalle nanoplastiche. Le microplastiche sono particelle di dimensioni comprese tra 10-4 e 10-7 metri (m) – ovvero tra un decimo di millesimo e un decimo di milionesimo. Le nanoplastiche, invece, sono comprese tra 10-7 e 10-9 m – quindi tra un decimo di milionesimo e un miliardesimo di metro.

Tuttavia, la letteratura scientifica indica diversi intervalli di dimensioni. Il Comitato scientifico dell’Unione europea distingue le ‘grandi microplastiche’ – con dimensioni comprese tra 1 e 5 mm- e le microplastiche – tra 1 mm e 20 micrometri (μm) -. L’autorità per la sicurezza alimentare (EFSA), invece, definisce microplastiche quelle comprese tra 5 mm e 20 μm.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) divide i rifiuti plastici dispersi nell’ambiente in mega- ,macro- , meso-, micro- e nano-plastiche.

Dalle plastiche alle microplastiche: la classificazione in base alle dimensioni.
Figura 2 – Dalle plastiche alle microplastiche: la classificazione in base alle dimensioni. [Fonte: Immagine creata con Canva da Elisabetta Cretella]

La forma: un altro modo per classificare le microplastiche

In base alla forma le microplastiche si possono suddividere in fibre, pellets e frammenti.

Le fibre hanno una lunghezza maggiore rispetto alla larghezza ed allo spessore. I pellets, invece, sono sferoidali mentre i frammenti hanno una forma irregolare con lo spessore minore della lunghezza e della larghezza. Queste ultime sono dello stesso ordine di grandezza.

Il colore delle microplastiche può essere quello dell’oggetto in plastica da cui derivano oppure dipendere dal processo di degradazione del polimero. Per esempio, la fotodegradazione opacizza le plastiche trasparenti e ingiallisce quelle di colore chiaro. Tuttavia, il colore può dipendere anche dai contaminanti esterni.

Ogni microplastica ha specifiche caratteristiche fisico-chimiche che variano nel tempo. Da queste dipendono il tempo di degradazione e tutte le possibili interazioni con l’ambiente.

Microplastiche primarie e secondarie: le differenze

Le microplastiche, in base all’origine, si possono classificare in due categorie:

  1. microplastiche primarie, cioè particelle di plastica prodotte dalle industrie direttamente di piccole dimensioni. Ne sono un esempio le microsfere presenti nei prodotti per la cura della persona, come gli scrub.
  2. microplastiche secondarie ovvero quelle che derivano dalla degradazione meccanica delle plastiche. Sono rilasciate nell’ambiente sia durante il loro utilizzo che dopo essere diventati rifiuti. Ne sono un esempio le fibre rilasciate durante il lavaggio dei tessuti sintetici o quelle che provengono dal consumo delle gomme dei veicoli e dalla degradazione dei manufatti plastici esposti alle intemperie. In aggiunta ci sono quelle rilasciate dai rifiuti dispersi nell’ambiente.

Le prime sono presenti nell’ambiente in quantità minori rispetto alle seconde. Infatti, le microplastiche secondarie provengono da una quantità di fonti maggiore. Tra queste ultime ci sono anche quelle riversate dagli scarichi urbani e industriali in fiumi e mari. Nonostante le acque di scarico subiscano un trattamento di depurazione, questo non riesce ad eliminarle del tutto. Le microplastiche più dense precipitano sul fondo dell’impianto di depurazione, insieme ai fanghi, e sono poi immesse nell’ambiente. In aggiunta sono trasportate dal vento sotto forma di pulviscolo atmosferico anche per lunghe distanze. Così arrivano in aree lontane dall’attività umana.

Microplastiche: dalla terraferma al mare

La maggior parte delle microplastiche (80%) proviene dalla terraferma. La parte restante, invece, deriva dalle attività legate direttamente al mare come la pesca. Anche l’usura delle parti plastiche delle imbarcazioni o la perdita dei loro carichi può essere fonte di microplastiche. Ormai sono presenti in tutti i mari e gli oceani, lungo le coste e in acque profonde. Arrivano persino ai circoli polari. Sono le correnti marine, infatti, a veicolare le microplastiche anche molto lontano dal luogo di produzione o rilascio nell’ambiente. Al contrario, le mareggiate le riportano verso le spiagge. Anche la pianta marina Posidonia oceanica riporta sulle spiagge le microplastiche intrappolate nelle sue seaballs.

Bibliografia:

  • Zhang, Y., Gao, T., Kang, S., & Sillanpää, M. (2019). Importance of atmospheric transport for microplastics deposited in remote areas. Environmental Pollution, 254, 112953. Https://doi.org/10.1016/j.envpol.2019.07.121
  • Koelmans, B., Pahl, S., Backhaus, T., Bessa, F., van Calster, G., Contzen, N., Kalcikova, G. (2019). A scientific perspective on microplastics in nature and society. SAPEA.
  • Galgani, F., Giorgetti, A., Vinci, M., Le Moigne, M., Moncoiffe, G., Brosich, A., Molina, E., Lipizer, M., Holdsworth, N., Schlitzer, R., Hanke, G., & Schaap, D. (2017). Proposal for gathering and managing data sets on marine micro-litter on a European scale.

Crediti immagini:

  • Immagine in evidenza: https://pixabay.com/it/illustrations/inquinamento-ambiente-plastica-8252583/
  • Figura 1 : https://pixabay.com/it/photos/cestino-riciclaggio-recycle-bin-184994/
  • Figura 2 : Immagine creata con Canva da Elisabetta Cretella
Foto dell'autore

Elisabetta Cretella

Elisabetta Cretella Dopo la laurea magistrale in Genetica e Biologia molecolare conseguita presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza e l'abilitazione alla professione di biologo, si appassiona alla divulgazione scientifica. Consegue il Master in Giornalismo e Comunicazione istituzionale della Scienza presso l'Università degli studi di Ferrara e inizia a scrivere per il webmagazine 'Agenda17' del Laboratorio DOS (Design of Science) dell'Università di Ferrara. Intanto intraprende la strada dell'insegnamento. Ad oggi è docente di Matematica e Scienze presso le Scuole Secondarie di primo grado e di Scienze naturali alle Scuole Secondarie di secondo grado. Nel suo curriculum c'è anche un tirocinio svolto in un laboratorio di ricerca dell'Istituto di Biologia e Patologia molecolare del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IBPM-CNR) e due pubblicazioni su riviste scientifiche peer reviewed.

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