Gli attrezzi da pesca abbandonati, perduti o dismessi (Abandoned Lost Discarded Fishing Gear – ALDFG), contribuiscono all’inquinamento di mari e oceani. Gli ALDFG costituiscono circa un decimo di tutti i rifiuti oceanici. Non solo sono responsabili della morte di molti animali marini ma il loro accumulo sui fondali ha ricadute negative sugli habitat marini e costieri, sulla fauna e di conseguenza sulla sicurezza alimentare. Ad esempio, possono danneggiare piante marine, come la Posidonia oceanica, e le alghe alterando gli habitat marini e compromettendone la biodiversità. Tra gli attrezzi abbandonati, perduti o dismessi ci sono anche le reti da pesca fantasma, chiamate ghost gear.
Gli attrezzi da pesca sono persi con una certa frequenza soprattutto quando le condizioni meteorologiche sono avverse, come durante i temporali e le mareggiate.
Anche se la loro perdita causa un danno economico ai pescatori, è l’ambiente a pagarne le conseguenze peggiori. Una volta in mare, gli strumenti utilizzati normalmente per la pesca continuano a svolgere il loro compito, intrappolando le specie marine. Quest’ultime così diventano l’esca per altri animali.
L’ultimo report dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Food and Agriculture Organization of the United Nations – FAO) e del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (United Nations Environment Programme – UNEP) stima la presenza di circa 640.000 tonnellate di reti da pesca fantasma negli oceani.
Gli attrezzi da pesca persi o abbandonati continuano a pescare
Gli ALDFG continuano a ‘pescare’ passivamente intrappolando pesci, tartarughe e persino grandi cetacei. Questi animali, non potendosi più muovere, muoiono di fame oppure a causa delle lacerazioni prodotte dagli attrezzi stessi. Inoltre, diventano anche esche per predatori più grandi che a loro volta vi restano intrappolati.
Gli attrezzi da pesca abbandonati che restano a galla o poco sotto la superficie dell’acqua possono creare problemi alla navigazione impigliandosi nelle eliche delle imbarcazioni.
Gli attrezzi da pesca persi o abbandonati sono fonte di inquinamento marino
Se una volta gli attrezzi da pesca erano realizzati con materiali biodegradabili, come il cotone e la canapa, oggi il materiale più utilizzato è una fibra sintetica derivante dalla plastica. Questa impiega centinaia di anni per decomporsi. Nel tempo, gli attrezzi da pesca, in particolare le reti, si frammentano e rilasciano microplastiche che i pesci scambiano per plancton e se ne nutrono. Una volta ingerite le microplastiche diminuiscono il senso di fame con la successiva riduzione dell’accumulo di grasso, essenziale per gli animali che devono affrontare lunghe migrazioni.
Le microplastiche possono causare anche blocchi intestinali, ulcere, necrosi e lesioni. Tutti questi effetti portano nella maggior parte dei casi alla morte dell’animale. Le specie marine che si nutrono inconsapevolmente di plastica sono poi pescate o predate da pesci più grandi che a loro volta possono essere catturati dalla pesca commerciale. In questo modo le microplastiche entrano nella catena alimentare ed arrivano fino alle nostre tavole.
Le organizzazioni internazionali, tra cui la FAO e l’Organizzazione marittima internazionale e il Programma ambientale delle Nazioni Unite, hanno sviluppato misure legislative per prevenire e ridurre l’accumulo di reti da pesca fantasma. Tra le iniziative ci sono la marcatura e il monitoraggio degli attrezzi, le segnalazioni e il recupero di quelli persi e il miglioramento delle strutture portuali di raccolta. Ad oggi, però, mancano informazioni complete sulla quantità di attrezzi da pesca persi negli oceani. La carenza di dati limita lo sviluppo di interventi mirati. Di conseguenza risulta difficile trovare soluzioni realmente efficaci, sia su scala locale che globale.
Strategie mirate per la protezione degli oceani: è necessaria una stima delle reti da pesca persi ogni anno
Per colmare questo vuoto, un gruppo di ricercatori dell’Università della Tasmania, in Australia, ha cercato per la prima volta di stimare la quantità e la distribuzione spaziale degli attrezzi da pesca abbandonati. Lo studio, pubblicato su Science Advances, è basato sull’intervista a 451 pescatori di sette diversi paesi (Africa, Asia, Caraibi, Europa, Nord America, Oceania e Sud America). A loro è stato chiesto quanti e quali attrezzi da pesca perdono ogni anno. I dati ottenuti dalle interviste sono poi stati messi in relazione con il volume di pesca globale. Si è tenuto conto anche dei diversi metodi di pesca e delle dimensioni delle imbarcazioni così da ottenere una stima dei tassi globali di perdita degli attrezzi da pesca.
Da questo modello sembra che quasi il 2% di tutti gli attrezzi da pesca è abbandonato in mare. Una quantità equivalente a circa 2.963 chilometri quadrati di reti da posta, 739.583 chilometri di palangari, 218 chilometri quadrati di reti a strascico e più di 25 milioni di nasse e trappole.
Le reti da pesca che operano sui fondali si perdono più facilmente
Tra tutti, i palangari sono considerati i più pericolosi. Sono formati da circa 13 miliardi di ami nei quali gli animali marini restano incastrati. I pescherecci più piccoli sono quelli che perdono più attrezzi. Probabilmente perché le imbarcazioni più grandi dispongono di attrezzi di qualità superiore e tecnologie più avanzate sia per la pesca che per la navigazione. Al contrario, per i palangari le perdite maggiori si riscontrano nelle navi di dimensioni maggiori. Analisi precedenti avevano già evidenziato che le perdite più elevate si registrano tra gli attrezzi che entrano in contatto con il fondo rispetto a quelle che operano a mezz’acqua.
Tuttavia, i numeri riportati potrebbero essere delle sottostime della reale quantità di attrezzi rilasciati negli oceani. Questo studio, infatti, fa riferimento solo a quelli persi dalla pesca commerciale. Al contrario, non sono considerati tutti quelli derivanti dalla pesca illegale o ricreativa.
Ogni anno a queste cifre si sommano quelle degli anni precedenti. I dati raccolti da questo studio potranno essere utili ai pescatori e ai governi e anche ai ricercatori. Ai primi servirà per avere un quadro aggiornato sui rischi degli attrezzi da pesca fantasma. Ai secondi, invece, per quantificare l’impatto che la loro perdita ha sulla fauna marina e sulla salute degli ecosistemi. In questo modo potranno essere sviluppate strategie mirate e veramente efficaci per la protezione di mari e oceani.
Le reti da pesca fantasma non risparmiano neppure i mari italiani
Se il fenomeno degli attrezzi da pesca fantasma ci sembra un problema inesistente, o molto lontano dai nostri territori, ci stiamo sbagliando di grosso.
Nel 2021 una rete da pesca lunga 500 metri è stata rimossa dai fondali dell’Isola del Giglio. L’anno successivo sono stati recuperati 3000 metri di ghost gear dai fondali di San Vito Lo Capo. Nello stesso anno una rete fantasma di circa 300 metri, per un peso di 450 chilogrammi, è stata ripescata nelle secche di Vada, un’area nel mar Ligure a sei miglia dalla costa a sud di Livorno. Lo scorso anno, una rete strascicante, lunga circa 200 metri, è stata localizzata e rimossa a largo di Civitavecchia. La rete, adagiata sui fondali a circa 30 metri di profondità, opprimeva rami di coralli che crescono sulla roccia. Tra gli animali marini liberati dalla parte di rete da pesca fantasma posata sul fondale sabbioso ci sono paguri, polpi, uova di calamaro, astici e granchi.
Come contrastare il fenomeno delle reti da pesca fantasma?
A livello locale mediante una collaborazione costante tra la comunità e le istituzioni. Ad esempio, invitando pescatori e cittadini a segnalare lo smarrimento di una rete o l’avvistamento di una abbandonata. Riportando alla guardia costiera la posizione GPS si renderanno le operazioni di recupero tempestive e più facili così da evitarne l’accumulo in mare.
Su scala globale, invece, si possono seguire i consigli della FAO.
Sei possibili soluzioni suggerite dalla FAO
Di seguito sono indicate le sei strategie da adottare, secondo la FAO, per ridurre il numero di ghost gear in mare.
- Tracciare gli attrezzi da pesca, con una marcatura che consente di risalire al proprietario. Conoscendone la provenienza si possono restituire.
- Migliorare la segnalazione e il recupero. Poiché molte imbarcazioni non sono in grado di effettuare i recuperi è necessario incentivare programmi adeguati. Ad esempio, le imbarcazioni attrezzate per il recupero potrebbero ripescare tutti gli attrezzi smarriti, non solo i propri
- Fermare la pesca illegale.
- Incentivare la prevenzione. Poiché, a volte, gli attrezzi da pesca potrebbero non valere molto dal punto di vista monetario, i pescatori non sono incentivati a prendersene cura in modo appropriato o a recuperarli. Sarebbero utili degli incentivi economici per la restituzione degli attrezzi ad appropriati impianti di smaltimento o riciclaggio.
- Investire nelle nuove tecnologie basate sul Global Positioning Systems (GPS) per rendere più facile il recupero delle reti da pesca fantasma.
- Migliorare gli schemi di raccolta, smaltimento e riciclaggio. Ad esempio, si possono dotare i porti di strutture a basso costo per lo smaltimento e/o il riciclaggio degli attrezzi da pesca. Molti prodotti, tra cui abbigliamento, costumi da bagno e attrezzature sportive possono essere realizzati con attrezzi da pesca riciclati.
La rimozione delle ghost gear (o reti da pesca fantasma) è l’unica soluzione praticabile per proteggere la vita e l’ambiente marino. Senza interventi di eliminazione, il loro numero crescerà sempre di più con ricadute negative sugli ecosistemi marini e sulla salute dell’uomo.
Bibliografia:
- Kelsey Richardson et al. Global estimates of fishing gear lost to the ocean each year.Sci. Adv.8,eabq0135(2022).DOI:10.1126/sciadv.abq0135
Crediti immagini:
- Immagine in evidenza: https://pixabay.com/it/photos/reti-da-pesca-rete-da-pesca-pesca-101992/
- Figura 1 : https://pixabay.com/it/photos/cipro-liopetri-potamos-pesca-reti-1157758/
- Figura 2 : Kelsey Richardson et al., 2022