Da un ricercatore italiano un innovativo ed efficiente bioprocesso di coltivazione delle microalghe

L’ottimizzazione della mixotrofia ha permesso un aumento della crescita della Chlorella sorokiniana senza scambi gassosi

Potenzialità ambientali ed industriali delle microalghe

L’utilizzo delle microalghe come nuova frontiera per la produzione ecosostenibile di prodotti e combustibili a base biologica è un tema molto attuale e di grande interesse scientifico e tecnologico.

Questi microrganismi presentano elevate capacità di rimozione d’inquinanti e sostanze tossiche dalle acque di scarico, contenuti lipidici interessanti per la produzione di biocarburanti e polimeri biodegradabili, e una produzione metabolica di molecole d’interesse per i settori farmaceutico ed alimentare (es. proteine, carotenoidi, probiotici).

Inoltre, molte specie di microalghe trovano interessanti applicazioni dirette nel settore alimentare. Esempi di questo tipo sono le specie appartenenti al genere Chlorella, tra cui la Chlorella sorokiniana (Fig. 1).

Immagine al microscopio di Chlorella sorokiniana
Figura 1 – Fotografia al microscopio ottico di cellule della microalga Chlorella sorokiniana.

I limiti dello scale-up industriale

L’approccio più comune per coltivare le microalghe è rappresentato dalla foto-autotrofia, o più semplicemente autotrofia, nella quale si utilizza la luce come fonte di energia e l’anidride carbonica (CO2) come fonte di carbonio. In questa tipologia di bioprocesso, l’ossigeno (O2) viene rilasciato come sottoprodotto del metabolismo. Questo approccio ha il vantaggio di utilizzare il rifiuto principale del maggior numero delle attività antropiche, ossia la CO2 atmosferica, come materia prima per la produzione di biomassa algale e, successivamente, di prodotti a più alto valore aggiunto. Pertanto, tale bioprocesso, su scala industriale, contribuirebbe alla rimozione di un gas serra dall’atmosfera, a vantaggio dell’ambiente e della sostenibilità.

Tuttavia, la crescita in autotrofia presenta delle forti limitazioni per il passaggio da scala laboratorio a scala industriale. Una di queste consiste nel fatto che per far sì che buona parte delle cellule ricevano sufficiente radiazione luminosa, e quindi sufficiente energia per il proprio metabolismo, nei fotobioreattori (Fig. 2) si mantengono concentrazioni di biomassa bassa, garantendo quindi una penetrazione ottimale della luce all’interno del bioreattore.

Differenti configurazioni di fotobioreattori per la coltivazione di microlaghe
Figura 2 – Differenti configurazioni di fotobioreattori per la coltivazione su piccola scala di microalghe.

Queste basse concentrazioni di microalghe determinano un aumento dei costi energetici del processo, legati al mantenimento dell’agitazione costante, del controllo della temperatura e della racconta della biomassa algale. Inoltre, è necessario areare il mezzo di coltura per rimuovere l’O2 prodotto durante la fotosintesi e per insufflare la CO2 necessaria alla crescita.

Una prima parziale soluzione al problema

Per ridurre i costi di processo, un approccio di coltivazione alternativo è rappresentato dalla eterotrofia all’interno di classici bioreattori utilizzati nei più comuni processi fermentativi coinvolgenti batteri e/o lieviti. In questa tipologia di bioprocesso il substrato, ossia la fonte di carbonio, non è più rappresentato dalla CO2 ma da zuccheri o acidi organici. L’utilizzo di materia organica consente di produrre biomassa algale in assenza di irraggiamento luminoso.

Inoltre, in eterotrofia si consuma O2 anziché produrlo e si produce CO2 anziché consumarla. Anche in questo caso è necessario garantire l’agitazione e l’aerazione del sistema al fine di allontanare la CO2 e insufflare O2. Ovviamente, tutto ciò si traduce in una diminuzione dei costi energetici di impianto, in una maggiore produzione di biomassa algale ma in una minore sostenibilità ambientale del processo, soprattutto se la fonte di carbonio utilizzata non deriva da biomasse di scarto o non edibili.

Tuttavia, tale configurazione di processo presenta un ulteriore svantaggio. Ossia, solitamente, circa la metà della fonte di carbonio viene persa sottoforma di CO2, diminuendo quindi la resa del processo pur assicurando maggiori concentrazioni e produttività di biomassa algale rispetto all’autotrofia.

L’idea innovativa e il suo sviluppo

Questi due modi di coltivare le microalghe si possono combinare nella cosiddetta mixotrofia. In questo approccio, sia la luce sia il carbonio organico sono utilizzati simultaneamente e la presenza di due fonti di energia permette di ottenere maggiori produttività e maggiori concentrazioni di biomassa rispetto all’autotrofia. Inoltre, l’O2 prodotto nella fotosintesi può essere consumato dal metabolismo eterotrofo, e viceversa la CO2 prodotta dalla respirazione può essere fissata dalla fotosintesi, creando un processo che non richiede scambi gassosi.

In mixotrofia, per avere un processo che non richieda scambi gassosi, la fotosintesi e la respirazione cellulare devono procedere simultaneamente alla stessa velocità e non ci devono essere interferenze tra i due metabolismi.

Il Dott. Fabian Abiusi, giovane ricercatore italiano presso l’Università di Wageningen in Olanda, ha sviluppato ed ottimizzato un processo innovativo di mixotrofia (Fig. 3) basato sulla variazione della quantità di carbonio fornita alla coltura, sotto forma di acido acetico, in funzione della quantità di ossigeno disciolto nel mezzo di coltura.

Fotobioreattore per mixotrofia di microalghe
Figura 3 – Fotobioreattore utilizzato per l’ottimizzazione del bioprocesso di coltivazione della microalga Chlorella sorokiniana in condizioni di mixotrofia.

Secondo l’autore di questa ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica ACS Sustainable Chemistry & Engineering, “in questo modo è stato creato un processo senza produzione netta di O2, dove tutto l’O2 prodotto dalla fotosintesi viene consumato nella respirazione”.

A seguito di un lavoro di ottimizzazione del bioprocesso, il Dott. Abiusi e i suoi collaboratori sono riusciti nel loro intento ed hanno ottenuto un processo che non richiede scambi gassosi ed in cui quasi tutto il substrato (il 94%) viene convertito in biomassa di C. sorokiniana, riducendo quasi a zero le emissioni di CO2.

Le prospettive future dello studio

Lo studio condotto da Abiusi e co-autori è stato realizzato illuminando le macroalgae 24 ore al giorno con luce artificiale. Secondo l’autore: “Prima di applicare questo processo all’aperto, utilizzando luce solare, è necessario sapere cosa succede alla coltura durante la notte. Il prossimo lavoro sarà quello di esporre la coltura a cicli di luce/buio al fine di studiare il metabolismo durante la notte”.

Inoltre, ha aggiunto: “Una ulteriore sfida prima di poter applicare questo processo all’aperto su scala industriale, è quella di studiare strategie per evitare le contaminazione batteriche. Uno degli approcci più promettenti per evitare contaminazioni, è l’utilizzo di microalghe acidofile, ossia ceppi in grado d crescere a bassi valori di pH, ai quali la crescita batterica è inibita”.

Grazie a questo studio sarà possibile scalare i bioprocessi con microalghe su scala maggiore assicurandone la sostenibilità economica, tecnologica ed ambientale.

Nicola Di Fidio

Sitografia:

Bibliografia:

  • Abiusi, F., Wijffels, R. H., & Janssen, M. (2020). Doubling of microalgae productivity by oxygen balanced mixotrophy. ACS Sustainable Chemistry & Engineering.

Crediti immagini:

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Francesco Centorrino

Sono Francesco Centorrino e sono il creatore di Microbiologia Italia. Mi sono laureato a Messina in Biologia con il massimo dei voti ed attualmente lavoro come microbiologo in un laboratorio scientifico. Amo scrivere articoli inerenti alla salute, medicina, scienza, nutrizione e tanto altro.

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