Il team di ricercatori dell’Istituto di Scienza dei Materiali di Barcellona, guidati dal Dottor Mariano Campoy-Quiles, ha sintetizzato grazie ai batteri una speciale cellulosa termoelettrica che potrebbe permettere a piccoli dispositivi elettronici di funzionare senza bisogno di alcuna forma di alimentazione che non sia il calore disperso.
Tutti a scuola abbiamo studiato in Fisica il cosiddetto ”Effetto Joule”: quando una corrente elettrica passa in un circuito, parte della sua energia viene dissipata inevitabilmente sotto forma di calore e va persa.
Si tratta, del resto, un fenomeno cui assistiamo nella vita di tutti i giorni: basti pensare ad esempio al nostro computer che tende a scaldarsi quando è acceso o al nostro cellulare che diventa progressivamente più caldo quando lo mettiamo a caricare.
L’effetto Joule è anche il responsabile del cosiddetto “abbattimento del rendimento delle macchine elettriche”: a causa sua non siamo capaci di sfruttare in modo efficiente l’energia dell’elettricità, con conseguente spreco di parte di essa e perdita del suo pieno potenziale.
Nel corso della seconda metà del Novecento sono stati scoperti tuttavia alcuni materiali dotati di proprietà termoelettriche. Essi sono cioè capaci di riconvertire il calore disperso da un circuito elettrico in energia nuovamente utilizzabile (in minima parte, ovviamente: non si possono violare le leggi della termodinamica!).
Tra questi interessanti materiali, quelli che più attirano l’interesse degli scienziati, per le loro promettenti potenzialità e caratteristiche, sono i materiali compositi a base di carbonio.
In questo contesto, il team di ricercatori guidati dal Dottor Mariano Campoy-Quiles ha pensato di studiare in particolare le proprietà delle cellulose sotto l’ottica di una loro possibile applicazione termoelettrica. Queste sono infatti i biopolimeri a base di carbonio più abbondanti in natura e come tali facilmente reperibili, reciclabili e biodegradabili,
I risultati della loro ricerca sono apparsi sulla prestigiosa rivista di settore “Energy and Environmental Science” della Royal Society of Chemistry e sono molto promettenti.
In particolare, lo studio si è concentrato sulle nanocellulose, cioè cellulose in cui sono incorporati, mediante uno speciale processo, nanotubuli di carbonio dotati di elevata conducibilità elettrica. Queste vengono già intensamente sfruttate sia come componente attiva che passiva nell’elettronica, tuttavia il team di Campoy-Quiles ha prodotto un nuovo tipo di materiale termoelettrico innovativo a base di nanocellulosa che è completamente di origine batterica.
L’idea del team spagnolo è stata quella di sfruttare i biofilm di natura esopolisaccaridica normalmente prodotti dal metabolismo di vari microrganismi, tra cui quelli del genere Komagataeibacter, Pseudomonas ed altri ancora (Fig.1).
Questi biofilm sono formati da una rete intrecciata di fibre cellulosiche con porosità fine e composta da fibrille aventi diametri di poche decine di nanometri, molto più sottili perciò della comune cellulosa vegetale.
Rispetto a quest’ultima, inoltre, essi sono caratterizzati da un grado più elevato di purezza chimica, maggiore resistenza a trazione (derivata da un più ampio grado di polimerizzazione) ed eccellente cristallinità.
Un particolare vantaggio è che la generazione di questi compositi può essere regolata direttamente in situ durante la biosintesi del polimero: in altre parole, i compositi possono essere coltivati e costruiti passo passo durante la loro sintesi ed infine raccolti (Fig.2).
Il Dottor Campoy-Quiles nella sua ricerca spiega che “i batteri, dispersi in un mezzo di coltura acquoso contenente zucchero e nanotubi di carbonio, producono le fibre di nanocellulosa che finiscono per formare il dispositivo in cui i nanotubi di carbonio sono incorporati”.
La nanocellulosa batterica costituisce cioè la matrice in cui vengono incorporati i nanotubuli già mano a mano che essa è sintetizzata dai batteri.
L’intero processo di produzione avviene ovviamente in ambiente acquoso ed a bassa temperatura: un ulteriore vantaggio rispetto a quanto normalmente richiesto per la produzione delle componenti elettroniche, che prevede di solito l’uso di solventi chimici difficili da trattare e smaltire.
La vera e propria “carta” termoelettrica che si ottiene alla fine è completamente pieghevole e facilmente lavorabile, può avvolgere le fonti di calore in modo conforme a sfruttarle per produrre elettricità ed è stabile anche oltre i 250 gradi Celsius, molto di più perciò rispetto ai polimeri conduttori e ai compositi tipici finora utilizzati e conosciuti.
Ultimo ma non meno importante vantaggio, essa può essere decomposta enzimaticamente, permettendo di recuperare così completamente i nanotubuli incorporati.
Si tratta pertanto sia di un materiale che di un processo di produzione dello stesso del tutto ecocompatibile.
L’applicazione pratica di questa tecnologia prevede la costruzione (per ora ancora sperimentale, ma che potrebbe un giorno diffondersi su larga scala fino ad entrare nelle nostre case) di fogli “isolanti” incorporati nei dispositivi elettronici di tutti i giorni, capaci di sfruttarne il calore residuo per generare elettricità in grado di far funzionare piccoli dispositivi quali sensori medici o sportivi.
Sitografia di riferimento
L’articolo originale pubblicato dai ricercatori dell’Istituto di Scienza dei Materiali di Barcellona è consultabile a questo link:
https://pubs.rsc.org/en/content/articlelanding/2019/ee/c8ee03112f#!divAbstract
Crediti per le immagini
Per l’immagine in evidenza: https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/01/31/elettricita-generata-dal-calore-grazie-a-una-speciale-carta-prodotta-dai-batteri/4938268/?fbclid=IwAR1-EgjWk1p3alvzEhESFwpie1Yyg4i0TejLgoMd07CThHQl66IfWyADV6w
Per la figura 1: https://www.imagenesmi.com/im%C3%A1genes/bacterial-cellulose-production-6d.html
Per la figura 2: https://en.wikipedia.org/wiki/Microbial_cellulose