Nanoparticelle: nuove terapie contro i patogeni

Impatto delle malattie infettive nella società tra il ventesimo e ventunesimo secolo

All’inizio del ventesimo secolo le malattie infettive rappresentavano la prima causa di morte al mondo e l’aspettativa di vita era in media di 47 anni.
Nel ventunesimo secolo, dove l’aspettativa di vita media in Italia ha raggiunto i 79.8 anni per gli uomini e gli 84,5 per le donne, sembra strano sottolineare come tra il 1700 ed il 1900 fossero già stati fatti passi avanti: erano migliorate le condizioni igieniche, abitative e nutrizionali. L’introduzione degli agenti antimicrobici a metà del Novecento e dei vaccini negli anni ’70 ha poi accelerato l’innalzamento dell’aspettativa di vita: tra il 1900 ed il 1997 è salita a 76 anni (un aumento di oltre il 60%). Alla fine del ventesimo secolo, infatti, nei paesi industrializzati le malattie infettive non erano più ai primi posti tra le cause di morte (Figura 1), superate dalle malattie cardiovascolari, infarti e cancro.
Ciò nonostante, la ricerca di terapie innovative contro le malattie infettive non si è mai arrestata; uno dei campi più promettenti è la nanomedicina che si propone di costruire nanoparticelle contro i patogeni al fine di rendere l’approccio terapeutico specifico e mirato.

Nanoparticelle contro i patogeni: Cause di morte (in percentuale): 1900 e 1997 a confronto
Figura1 – Cause di morte (in percentuale): 1900 e 1997 a confronto
Fonte: Mitchell L Cohen. Changing pattern of infectious disease. Nature 406, 762-767 (2000)

Perché è importante trovare terapie innovative contro le malattie infettive?

Nei paesi in via di sviluppo, come l’Africa e il sud est dell’Asia, le infezioni sono tutt’ora una grande minaccia. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che nel 1998 le morti per infezioni sono state 13 milioni (circa un quarto delle morti totali di quell’anno), il 50% delle quali solo in paesi sottosviluppati.

L’insorgenza di nuovi patogeni per l’uomo è un altro aspetto preoccupante. Il più noto oggi è sicuramente il Sars-CoV2, virus che causa il Covid-19, ma non è l’unico: molti focolai causati da agenti infettivi fino ad allora ignoti sono scoppiati negli ultimi anni (es: Sin Nombre orthohantavirus 1993; Hendra virus 1994; influenza aviaria 1997; Nipah virus 1998; SARS 2003) ed i dati sembrano evidenziare un trend in aumento, a causa della globalizzazione e della distruzione degli ecosistemi.

L’antibiotico-resistenza o AMR (Antimicrobial Resistance) è, infine, una minaccia concreta.
“In Italia la resistenza agli antibiotici” ci informa l’AIFA “si mantiene tra le più elevate in Europa e risulta, nella maggior parte dei casi, al di sopra della media europea. Nel nostro Paese ogni anno, dal 7 al 10 per cento dei pazienti va incontro a un’infezione batterica multiresistente con migliaia di decessi.”

Tutti questi fattori, dunque, suggeriscono l’esigenza dello studio e dello sviluppo di nuove terapie contro i patogeni, come ad esempio l’utilizzo delle nanoparticelle.

Cos’è la nanomedicina?

La nanomedicina sfrutta in campo biomedico le nanotecnologie, finalizzate allo studio, progettazione e realizzazione di oggetti su scala dimensionale nanometrica detti nanomateriali. Per avere un esempio delle dimensioni, basti pensare che le cellule umane sono grandi circa decine di micron (millesimi di millimetro), mentre i nanomateriali sono dell’ordine di decine di milionesimi di millimetri, pertanto circa 1000 volte più piccoli. Quest’ordine di grandezza conferisce ai nanomateriali peculiari caratteristiche fisiche che li distinguono dai sistemi macroscopici, per questo motivo vari nanomateriali biocompatibili sono stati sviluppati per scopi medici come imaging, chip microfluidici e nanoparticelle per il trasporto ed il rilascio controllato di farmaci. Proprio le nanoparticelle sono di particolare interesse in microbiologia per lo sviluppo di terapie mirate contro diversi patogeni.

Le nanoparticelle possono essere studiate ed ideate con vari scopi terapeutici e diversi target; una possibile applicazione, per esempio, è l’utilizzo di queste per uccidere il patogeno, coniugandole all’antibiotico oppure sfruttando proprietà antimicrobiche intrinseche allo stesso nanomateriale. Ulteriori applicazioni possono essere la perturbazione dei biofilm, il sequestramento delle tossine oppure l’alterazione della risposta infiammatoria dell’ospite. Ad ogni modo, lo scopo è ottenere una terapia mirata (targeted therapy), diretta al tessuto di interesse oppure al patogeno stesso.

Le nanoparticelle possono migliorare l’attività degli antibiotici

Nel caso in cui si coniughi l’antibiotico alla nanoparticella per uccidere il patogeno, uno dei vantaggi della terapia è l’aumento della concentrazione del farmaco nella lesione e quindi la diminuzione della dose efficace da somministrare.
La targeted therapy, inoltre, comporterebbe una minore esposizione all’antibiotico della naturale flora residente del paziente e pertanto ridurrebbe alcuni effetti collaterali, come i disturbi intestinali, ed abbasserebbe la probabilità di selezionare microrganismi resistenti al farmaco. Per di più, la preparazione nanoparticellare può cambiare le proprietà di solubilizzazione degli antibiotici, permettendone così nuove formulazioni e può anche alterarne la farmacocinetica, limitando quindi gli effetti avversi dati dai metaboliti.

Le nanoparticelle possono “disarmare” gli agenti infettivi

Come detto in precedenza, le nanoparticelle non solo permetterebbero di sviluppare terapie dirette verso il microrganismo, ma anche di superare i meccanismi di difesa e di patogenicità di esso.

Tra questi, il biofilm è una matrice creata dai batteri su superfici, come ad esempio i dispositivi medici, per riuscire ad eludere le difese dell’organismo. Per di più questa matrice riduce notevolmente l’attività degli antibiotici, i quali non riescono a penetrarvi e pertanto ad attaccare il patogeno. A tal proposito, è stato dimostrato che nanoparticelle più piccole di 350nm possono diffondere attraverso i pori del biofilm così da permettere il passaggio del farmaco.

Altro esempio sono le tossine, molecole che possono essere rilasciate attivamente (esotossine) o passivamente (endotossine) dal microrganismo e, come conseguenza, possono danneggiare i tessuti dell’ospite. In questo caso, nanoparticelle ingegnerizzate per legare specificatamente la tossina potrebbero neutralizzarne l’attività.

Per concludere, la risposta infiammatoria dell’ospite, talvolta, risulta essere più deleteria del microrganismo stesso. Per questo, nanoparticelle ideate per avere come target direttamente cellule del sistema immunitario, potrebbero indurne la morte o limitarne la secrezione di molecole pro-infiammatorie. In questo modo la risposta immunitaria dell’ospite viene moderata senza, d’altra parte, dare alcun vantaggio al patogeno.

Esistono particelle antimicrobiche già utilizzate in clinica?

Sebbene ancora non siano molte le terapie di questo tipo approvate per l’utilizzo clinico, vi sono molti studi al riguardo. Nanoparticelle metalliche, ad esempio, sono molto studiate per terapie contro alcuni patogeni, in quanto è noto che i metalli pesanti abbiano un’azione antimicrobica. In particolare, una ricerca ha dimostrato che nanoparticelle di argento della dimensione media di 77nm, se coniugate all’antibiotico Simvastin, danno un’attività battericida sinergica. Purtroppo però, è scarsamente probabile che esse possano superare i trial clinici a causa della tossicità dei metalli pesanti per l’uomo e dei processi di sintesi estremamente costosi.

Le uniche preparazioni nanoparticellari antimicrobiche ad oggi approvate da FDA e EMA sono AmBiosome e ARIKAYCE; in entrambi i casi si tratta di formulazioni liposomiali. I liposomi sono particelle che ricordano la struttura delle membrane cellulari e, similmente ad esse, sono formati da fosfolipidi. Queste molecole sono anfifiliche, hanno cioè una “testa” idrofila e una “coda” idrofoba, e questa proprietà fa sì che, in un ambiente acquoso, essi si organizzino in strutture che massimizzano il contatto con l’acqua delle teste e viceversa per le code. A causa di ciò, i fosfolipidi si riarrangiano in nanoparticelle formando strati concentrici, con dimensioni di 50-450nm. Al contrario, se la struttura sferica è composta da un solo strato di fosfolipidi parliamo di micelle (Figura 2).

Nanoparticelle contro i patogeni a confronto: Micella (sinistra) e liposoma (destra)
Figura 2 – Micella (sinistra) e liposoma (destra) a confronto
Fonte: “I liposomi come vettori per la somministrazione di farmaci specifici” CORDIS

Utilizzo dei liposomi nel “drug delivery”: gli esempi di AmBiosome e ARYKAYCE

Il microambiente acquoso delimitato dal doppio strato fosfolipidico può ospitare molecole idrofile e quindi, a condizione che il farmaco sia a sua volta idrofilo, i liposomi possono essere utilizzati per incapsularlo e permetterne il delivery, in altre parole il trasporto dal sito di somministrazione alla lesione. In aggiunta, la testa idrofila di alcuni fosfolipidi può essere funzionalizzata per dare maggiore specificità alla struttura e permetterne in tal modo il legame con i target di interesse.

Tornando quindi ai farmaci citati, AmBisome è un preparato per infusione endovenosa dove i liposomi contengono un antifungino chiamato Amfotericina B. Il trasporto del farmaco in queste strutture, di conseguenza, ne diminuisce l’accumulo renale e pertanto limita gli effetti collaterali senza però alterare l’efficacia antimicrobica.

ARIKAYCE è una dispersione per nebulizzatore che si assume per inalazione orale utilizzata per il trattamento delle infezioni polmonari da micobatteri non tubercolari. I liposomi, in questo caso, contengono l’antibiotico Amikacina ed hanno come specifico target i macrofagi alveolari. Di conseguenza queste cellule, che fanno parte del sistema immunitario del polmone, si “caricano” di farmaco grazie alle nanoparticelle e, in un secondo momento, potranno utilizzarlo per l’uccisione del patogeno.

In conclusione, al fine di saziare l’esigenza di nuove terapie contro i patogeni sono necessari ancora molte ricerche, certo è che le nanotecnologie e l’utilizzo delle nanoparticelle hanno generato un terreno fertile su cui lavorare.

Fonti

  • Mitchell L Cohen. Changing pattern of infectious disease. Nature 406, 762-767 (2000)
  • ISTAT. Indicatori demografici: speranza di vita alla nascita anno 2020
  • Ackerknecht, E. H. History and Geography of the Most Important Diseases (Hafner, London, 1965)
  • Davey S. Removing Obstacles to Healthy Development. WHO Report on Infectious Diseases (1999)
  • David Quammen. Spillover. GLI ADELPHI 527 (2012)
  • https://www.aifa.gov.it/-/antibiotico-resistenza-un-rischio-globale-che-richiede-strategie-condivise
  • https://www.iss.it/applicazioni-dei-nanomateriali-in-ambito-biomedico
  • Rubey, Kathryn M. Nanomedicine to fight infectious disease. Advanced Drug Delivery Reviews 179 (2021)
  • Thomas-Otavio Peulen, Kevin J. Wilkinson, Diffusion of nanoparticles in a biofilm, Environ. Sci. Technol. 45,3367–3373 (2011)
  • Brian D. Henry, Daniel R. Neill, Katrin Anne Becker, Suzanna Gore, Laura Bricio-Moreno, Regan Ziobro, Michael J. Edwards, Kathrin Mühlemann, Jörg Steinmann, Burkhard Kleuser, Lukasz Japtok, Miriam Luginbühl, Heidi Wolfmeier, André Scherag, Erich Gulbins, Aras Kadioglu, Annette Draeger, Eduard B. Babiychuk. Engineered liposomes sequester bacterial exotoxins and protect from severe invasive infections in mice Nat. Biotechnol. 33 (1) 81–88 (2015)
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  • G Bozzuto, A Molinari. Liposomes as nanomedical devices. International Journal of Nanomedicine (2015)
  • https://farmaci.agenziafarmaco.gov.it/aifa/servlet/PdfDownloadServlet?pdfFileName=footer_007212_028581_RCP.pdf&sys=m0b1l3
  • https://www.ema.europa.eu/en/documents/product-information/arikayce-liposomal-product-information_it.pdf

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Sara Brachelente

Sono una Biotecnologa Molecolare e la curiosità è la mia fedele compagna. Sono appassionata di divulgazione scientifica, sociologia della scienza e comunicazione. In un'era in cui è sempre maggiore la necessità di un'informazione accessibile ed affidabile, vorrei davvero fare la differenza.

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