Etnobotanica: la scienza che unisce botanica e antropologia

Un prato fiorito può essere ricco di piante utili all'uomo, almeno all'occhio esperto di chi ha conoscenze etnobotaniche

Figura 1 – Un prato fiorito può essere ricco di piante utili all’uomo, almeno all’occhio esperto di chi ha conoscenze etnobotaniche [Fonte: Pixabay.com]

Piante e Umani

L’etnobotanica è una scienza “fuori dal comune”. Infatti, la parola stessa ci rivela la sua natura duplice (etnos= popolo e botane= pianta).
Quindi, l’etnobotanica è il punto di congiunzione tra lo studio delle piante e gli aspetti antropologici e folklorici, anche se può sembrare assurda questa coppia. Eppure, bisogna riflettere che gli esseri umani hanno sempre sfruttato le piante. Oltretutto, Homo sapiens non sarebbe in grado di sopravvivere senza gli innumerevoli doni del Regno Vegetale. Non si può dimenticare che il 98% dell’ossigeno che respiriamo e l’80% del cibo di cui ci nutriamo provengono dalle piante. Ma entrando più nello specifico… È accertato da numerosi studi che gli umani hanno sempre conosciuto e raccolto piante spontanee (ben prima della scoperta dell’agricoltura) per fini alimentari, medicinali, magico-religiosi, tecnologici e non solo. Dunque, l’etnobotanica può essere considerata tra le scienze più antiche.

Esempi di Etnobotanica

Senza alcun dubbio, le popolazioni del passato avevano una profonda conoscenza del proprio territorio, delle risorse naturali e soprattutto delle piante. Per citare un esempio dall’Antichità, i Marsi, che abitavano sulle sponde dell’estinto lago Fucino in Abruzzo. Infatti, gli abitanti della Marsica erano conosciuti per la loro familiarità con le erbe spontanee e i veleni, da cui derivava la fama di essere dei maghi. Non a caso, i Marsi veneravano Angitia, la dea dei serpenti e della magia, sorella della maga Circe. In più, deve essere considerato l’aspetto floristico di ogni territorio. Innegabilmente, un territorio più ricco di biodiversità vegetale, fornisce più “materiale” ai suoi abitanti umani (come nel caso della Marsica). Così facendo, la flora locale favorisce l’insorgenza di pratiche etnobotaniche nella tradizione locale.

Molte piante spontanee vengono raccolte a fini alimentari, farmaceutici, tecnologici o magico-religiosi.

Figura 2 – Molte piante spontanee vengono raccolte a fini alimentari, farmaceutici, tecnologici o magico-religiosi. [Fonte: Pixabay.com]

Storia dell’Etnobotanica come disciplina

A buon diritto, il farmacista e botanico Pedanio Dioscoride(vissuto nel I secolo dopo Cristo) può essere considerato un antesignano dell’etnobotanica. Poiché, raccolse informazioni sull’uso culinario e medicinale delle piante (a Creta e in Egitto) nell’opera “De Materia Medica”. Perfino nell’Antico Testamento ci sono dei riferimenti etnobotanici.
Nonostante ciò, l’etnobotanica come disciplina a sé stante, comparve soltanto nella prima metà del XX secolo da studiosi come William Harshberger (coniatore del termine “etnobotanica) e soprattutto da Richard Evans Schultes. Infatti, Schultes compì numerosi viaggi lungo il Rio delle Amazzoni, per conoscere la flora locale e gli utilizzi che ne facevano gli indigeni.

Il presente dell’etnobotanica

Eppure, l’etnobotanica non è solo un retaggio del passato. Ancora oggi, ci sono persone che conoscono gli usi delle piante spontanee. Tuttora, queste conoscenze persistono, soprattutto nelle aree del mondo più remote. Allo stesso tempo, perdurano anche nei territori più isolati d’Italia (specialmente in montagna). Ancora oggi, molte piante vengono raccolte e utilizzate per fini alimentari, per produrre liquori o bevande tradizionali, realizzare strumenti da lavoro e altri utilizzi.
Purtroppo, queste conoscenze erano tramandate oralmente, di generazione in generazione e adesso rischiano di scomparire completamente. Nonostante l’impegno di appassionati studiosi e di anziani custodi dei saperi antichi, gran parte delle conoscenze popolari sono già andate perse. Per cui è necessario trascrivere le credenze etnobotaniche (almeno quelle rimaste), per tramandarle alle generazioni future. Non a caso, gli studi etnobotanici partono direttamente dalle “interviste” ai fruitori di queste pratiche tradizionali, per individuare le specie di maggior interesse.

Principalmente, l'etnobotanica studia i luoghi maggiormente ricchi di biodiversità, come la Foresta Amazzonica che celano una grande quantità di piante potenzialmente fonti di metaboliti utili alla Medicina

Figura 3 – Principalmente, l’etnobotanica studia i luoghi maggiormente ricchi di biodiversità, come la Foresta Amazzonica che celano una grande quantità di piante potenzialmente fonti di metaboliti utili alla Medicina. [Fonte: Pixabay.com]

L’Etnobotanica e le altre scienze

Nonostante ciò, lo studio dell’etnobotanica non è fine a sé stesso. Infatti le donne e gli uomini dei tempi passati hanno “scoperto” (in molti casi) proprietà medicinali, ignote alla scienza ufficiale, attraverso l’esperienza diretta. Infatti, l’acido acetil-salicilico, meglio noto come “aspirina”, derivato dalla corteccia di salice (Salix spp.), è utilizzato fin dall’Antichità. Soltanto nel diciottesimo secolo, il reverendo Edward Stone studierà gli effetti della corteccia di salice contro la febbre, scrivendo una relazione alla Royal Society. Inoltre, esistono altri saperi affini all’etnobotanica, complementari ad essa. Per esempio, l’Etnoecologia, che studia la gestione degli ambienti da parte delle popolazioni indigene. Inoltre, ogni ambito di studio si può avvalere di approcci multidisciplinari per approfondirne la comprensione, certamente l’etnobotanica non è un’eccezione! L’etnobotanica non è solo “figlia” del connubio tra botanica ed antropologia culturale, ma trae beneficio da biochimica, farmacologia, storia, linguistica… Così facendo, saperi diversi si arricchiscono l’uno con l’altro.

Il Futuro dell’Etnobotanica

Pertanto, sarebbe un peccato “bollare” l’etnobotanica, solamente come elemento folklorico. Effettivamente, in più di un caso, gli studi scientifici hanno avvalorato le credenze popolari. Bisogna puntualizzare: non sempre le conoscenze popolari sono corrette. Quindi, è sconsigliato affidarsi ciecamente a tali pratiche! Neppure si possono negare le potenzialità di individuare nuove sostanze attive, a partire dagli usi etnobotanici. Attraverso studi appositi, si potrebbero validare le conoscenze tradizionali degli Indios dell’Amazzonia, piuttosto che dei nostri anziani.
D’altro canto, il Regno delle Piante è una miniera inesauribile di composti chimici (soprattutto metaboliti secondari), da sempre utilizzati dagli Umani. Sarebbe assurdo pensare, che i nostri antenati non avessero riconosciuto le piante benefiche, almeno empiricamente. Nonostante ciò, questa riserva di conoscenze tradizionali è in pericolo, sia a causa della distruzione degli ambienti naturali, che dalla scomparsa delle comunità indigene. Purtroppo, sta scomparendo (irreversibilmente) un patrimonio naturale e “culturale” di inestimabile valore, che non potrà mai essere ricostituito.

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Orlando Innaurato

Laureato in "Scienze della Produzione e Protezione delle Piante" presso l'Università degli Studi di Milano, in precedenza ho conseguito la laurea triennale in "Scienze e Tecnologie Agrarie" presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore-Piacenza. Pervaso da una curiosità insaziabile e amante della Natura, specialmente del mio nativo Abruzzo.

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