La trapanazione cranica: i primi casi di chirurgia della storia

La trapanazione del cranio nella storia

L’operazione di trapanazione cranica è considerata come il più antico esempio di pratica chirurgica. I primi casi risalgono al Mesolitico e aumentano durante il Neolitico con una diffusione geografica globale a testimoniare una comune intenzionalità terapeutica. In alcuni casi, tuttavia, le caratteristiche del trauma inducono a pensare che vi fossero anche delle intenzionalità rituali.
Lo studio di questo trauma rientra nella paleopatologia, disciplina che studia le patologie del passato, in questo caso attraverso l’analisi scheletrica dei resti umani antichi.
A partire dall’epoca epoca greca e romana la presenza di fonti scritte ci permette di ricostruire meglio le patologie per cui si ricorreva a questo intervento. In tempi in cui i conflitti erano all’ordine del giorno, i traumi cerebrali erano spesso frequenti. Il sangue “stagnante” provocato da un ematoma intracranico avrebbe portato a complicazioni per cui era necessario farlo defluire creando un’apertura. Gli stessi traumi potevano comportare delle fratture, quindi era necessario rimuovere i frammenti ossei che potevano intaccare la Dura Madre. Ma vi si ricorreva anche per alleviare la pressione sanguigna o per curare le emicranie croniche, i tumori e tutte le anomalie correlate alla testa.
In diversi crani sono presenti anche più di un foro da trapanazione, eseguiti nella stessa operazione o in tempi diversi. Uno tra i numerosi esempi è un cranio dell’Età del Bronzo rinvenuto a Jericho, con quattro fori di cui uno completamente guarito.

Cranio da Jericho con 4 fori di cui uno guarito
Figura 1 – Cranio del 2200-2000 a.C. di uomo adulto da Jericho (Palestina) con quattro fori da trapanazione [Fonte: Wellcome Collection]

L’intervento: chi e come

I pazienti interessati da questo intervento erano in gran parte adulti con un’incidenza considerevole nel sesso maschile, mentre più raramente si trattava di bambini.
L’intervento era eseguito sull’individuo vivente con una preferenza per l’osso parietale e frontale, evitando le suture. Venivano prima rimossi i tessuti esterni per poi procedere alla perforazione del tavolato cranico esterno, diploe e tavolato interno. Quando interessa solo il tavolato esterno e non anche quello interno, la perforazione è incompleta. Ciò poteva essere dovuto a un ripensamento, a complicazioni, alla morte del soggetto o a un’intenzionalità rituale.

L’operazione avveniva tramite una delle seguenti tecniche (a volte anche miste):

  • Raschiamento tramite una selce. Pierre P. Broca aveva sperimentato la tecnica con un frammento di vetro affermando che in 50 minuti la perforazione era completa su un cranio adulto. Era un metodo piuttosto comune e risultava ancora in uso nell’Italia rinascimentale (1 nella Figura 2).
  • Taglio circolare e asportazione della porzione ossea tagliata. Anche questo metodo era largamente utilizzato e in Kenya è attestato fino a tempi recenti (2).
  • Foro tramite trapano o bulino. Potrebbe essere l’evoluzione della tecnica precedente. Il suo uso viene descritto dettagliatamente da Ippocrate ed era attestato anche presso i Romani.
  • Taglio e asportazione di rondelle ossee su un perimetro circolare. Questo metodo era più frequente nei secoli medievali, ma già raccomandato dal medico romano Celso e registrato anche in Perù. In Nord Africa era un tipo di intervento impiegato fino a poco tempo fa (3).
  • Incisione quadrangolare eseguita mediante ossidiana o selce, in seguito anche con strumenti in metallo. Esempi di questa tecnica provengono dal Perù, Francia, Palestina, Africa (4).
Illustrazione con le diverse tecniche di trapanazione
Figura 2 – Illustrazione con le diverse tecniche di trapanazione [Fonte: The Mit Press Reader]

La guarigione post trapanazione

Osservando i crani che riportano questo tipo di trauma è possibile stabilire se l’individuo fosse sopravvissuto o meno all’intervento. L’assenza di rimodellamento osseo e quindi la caratterizzazione dei margini della ferita più netti e frastagliati indica che il soggetto non è sopravvissuto. La presenza di neoformazioni ossee è dovuta all’attività cellulare osteoclastica e osteoblastica, determinata dalla buona riuscita dell’operazione. Lo stadio di avanzamento del rimodellamento riflette il tempo intercorso tra l’operazione stessa e la morte del paziente, da pochi giorni a settimane o mesi. La morte può essere dovuta a complicazioni successive, a un’infezione della ferita o a cause esterne. Una completa guarigione, infine, è evidente dall’obliterazione del tessuto diploico che può anche portare a una completa chiusura del foro. La chiusura completa è pressoché rara, ma comunque attestata, come nel caso del cranio di Jericho.
Le percentuali dei sopravvissuti a questo intervento tanto complesso quanto delicato sono in generale oltre il 50%. Si tratta di una quantità piuttosto elevata se pensiamo che ciò avveniva senza poter fare ricorso ad anestesia, antibiotici, asepsi ed altri accorgimenti igienico-sanitari. I tassi di sopravvivenza variano poi in base alla regione e al periodo storico.

Trapanazioni craniche in Italia

In Italia i casi di trapanazione rilevati e pubblicati sinora sono 54. Essi coprono un arco cronologico che va dal V millennio a.C. al XIX secolo d.C. con una percentuale di individui sopravvissuti quasi del 90%.
Un cranio proveniente da Gravina di Puglia risalente al periodo ellenistico presenta sul parietale sinistro il foro da trapanazione cranica e un foro molto più piccolo. Si è ipotizzato che la trapanazione fosse stata eseguita a seguito di una ferita al cranio causata da una punta di freccia. Osservando i margini della lesione, l’individuo sarebbe sopravvissuto per più di un anno dopo la trapanazione.

Cranio da Gravina di Puglia (BA) con foro da trapanazione e secondo foro provocato da un'arma appuntita
Figura 3 – Cranio da Gravina di Puglia (BA) con foro da trapanazione e secondo foro provocato da un’arma appuntita [Fonte: ResearchGate]

I casi in cui alla diagnosi si accompagnano anche le fonti storiche sono più rari e solitamente associati a personaggi importanti, come per Vespasiano Gonzaga. Il chirurgo di corte Antonio Amici aveva eseguito una craniotomia per trattare la sifilide, patologia attestata sia dalle lesioni luetiche sul cranio che dai documenti. L’operazione aveva avuto luogo nel 1578 e, come dimostra anche la data di morte del duca nel 1581, era andata a buon fine.

Il cranio di Vespasiano Gonzaga con evidenza di lesioni luetiche e perforazione da trapanazione
Figura 4 – Il cranio di Vespasiano Gonzaga con evidenza di lesioni luetiche e perforazione [Fonte: Wiley Online Library]

Trapanazioni craniche in Perù

In Perù troviamo i “guru” delle trapanazioni craniche, con oltre 800 casi attestati a partire dal 400 a.C.
Pierre Paul Broca (1824-1880) fu tra i primi a studiare questo particolare aspetto della traumatologia antica. Da antropologo e chirurgo si interessò alla questione esaminando alcuni crani degli antichi peruviani caratterizzati perlopiù dalla tipologia di perforazione quadrangolare. Boca presentò i casi alla comunità scientifica dimostrando come anche le culture precolombiane fossero capaci in pratiche avanzate di chirurgia. I suoi studi si rivelarono illuminanti in un periodo storico in cui era forte la convinzione della superiorità dei colonizzatori europei sui “selvaggi” delle Americhe.
Uno studio degli ultimi anni ha riguardato l’intero campione, dal 400 a.C. al XIX secolo. Il tasso di sopravvivenza risulta più alto durante l’epoca precolombiana con il 91% di pazienti sopravvissuti tra il 1000 e il 1400 d.C. La percentuale cala al 46-56% durante la Guerra Civile Americana (1861-1865), dimostrando ancora una volta le notevoli abilità dei chirurghi delle culture pre-Inca e Inca.
Una peculiarità delle trapanazioni peruviane è l’utilizzo delle placche metalliche, una vera e propria cranioplastica impiegata per chiudere fori di grandi dimensioni.

Crani dal Perù con trapanazione e cranioplastica con placca metallica, in oro nell'immagine a destra
Figura 5 – Crani dal Perù con trapanazione e cranioplastica con placca metallica, in oro nell’immagine a destra [Fonti: Wiley Online LibraryReddit]

Epilessia e altri disturbi

Tra le cause che inducevano a optare per la trapanazione cranica c’era anche l’epilessia, convinzione risalente ai tempi greci e protrattasi fino al XIX secolo.
Naturalmente, all’epilessia si accompagnano tutti i casi legati a disturbi mentali, seppur non sempre questo scopo era considerato privo di criticità. Il dipinto di Bosch, L’estrazione della pietra della follia è uno dei più celebri esempi. Un uomo è rappresentato nell’atto della perforazione cranica per farsi estrarre la “pietra della follia” da parte di un ciarlatano nelle vesti di un medico.

Hieronymus Bosch, Estrazione della pietra della follia (part.), 1494 circa, Museo del Prado, Madrid
Figura 6 – Hieronymus Bosch, Estrazione della pietra della follia (part.), 1494 circa, Museo del Prado, Madrid [Fonte: Wikipedia]

Fonti

  • Lillie MC. Cranial surgery dates back to Mesolithic. Nature. 1998 Feb 26;391:854.
  • Giuffra V, Fornaciari G. Trepanation in Italy: a Review, Int. J. Osteoarchaeol. 2017 Mar 16;27: 745-67.
  • Charles G. Gross, A Hole in the Head. More Tales in the History of Neuroscience, The Mit Press, ISBN 9780262291590.
  • Kurin DS. Trepanation in South-Central Peru during the early late intermediate period (ca. AD 1000–1250). Am. J. Phys. Anthropol. 2013 Oct 21;152: 484-94
  • Kushner DS, Verano JW, Titelbaum AR. Trepanation Procedures/Outcomes: Comparison of Prehistoric Peru with Other Ancient, Medieval, and American Civil War Cranial Surgery. World Neurosurg. 2018 Jun;114:245-51.
  • Sublimi Saponetti S, Scattarella V, Volpe G. Cranial trepanation in an individual of the Hellenistic age (III century BC) from the necropolis of Contrada Santo Stefano (Gravina-Bari, Italy). J.o.P. 1998 Jan;10 (3): 121-5.

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Miria Ciccarone

Quasi laureata in Archeologia con studi che vertono sulla bioarcheologia e sui metodi scientifici applicati ai beni culturali. Sono appassionata dello studio della morte nel Medioevo, mi perdo nei luoghi antichi, nei musei, nei libri. Mi trovate su Instagram con storie curiose dal passato @historiaebagordae

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