Inclusioni citoplasmatiche

Cosa si intende per inclusione

Il termine inclusione deriva dal latino inclusio onis, l’atto, il fatto di includere, cioè di inserire, di comprendere in una serie, in un tutto (spesso contrapposto a esclusione, ma non sempre perché il termine si traduce anche con imprigionamento). Nel vocabolario Treccani si leggono vari esempi del significato ed utilizzo della parola inclusione, dalla teoria degli insiemi  matematici, alla mineralogia (sostanza solida, liquida, gassosa o mista inglobata nell’interno di minerali; a tali inclusioni si devono gli speciali effetti di luce di molte pietre per esempio, asteria, occhio di gatto), alla botanica, e qui, cominciamo ad avere degli esempi di cosa ci accingiamo ad investigare nel mondo cellulare: sostanza non vivente che si trova nei vacuoli, di natura liquida (per es., goccioline di oli, o le soluzioni complesse racchiuse nei  vacuoli) oppure solida (per es.,i granuli di aleurone e i cristalli di ossalato di calcio).

Cosa sono le inclusioni citoplasmatiche

Quando giungiamo all’esempio trattante proprio l’argomento di questo articolo, le inclusioni citoplasmatiche, la Treccani stecca un po’: corpiccioli di grandezza, aspetto e affinità tintoriali diverse, che si osservano nel citoplasma cellulare in determinate malattie virali, come la rabbia, il vaiolo, il tracoma e alcune congiuntiviti. In tale ottica le inclusioni citoplasmatiche  dovrebbero essere focalizzate solo “negativamente” come markers di malattie, quindi segnalazioni patologiche cellulari. Ciò non può essere corretto, in quanto non esaustivo.  

Le inclusioni citoplasmatiche in cellule possono essere anche dei markers di malattie, come i corpi del Negri ma possono anche avere dei ruoli “positivi”, cioè avere delle funzioni utili per le cellule, in particolar modo nei batteri. 

Figura 1 - organelli e inclusioni citoplasmatiche
Figura 1 – organelli e inclusioni citoplasmatiche

Le inclusioni citoplasmatiche nelle cellule procariote

L’elenco dei vari tipi di inclusioni citoplasmatiche (dette di seguito i.c.) nel mondo dei procarioti non è esiguo: inclusioni citoplasmatiche di polifosfati, granuli di volutina, inclusioni citoplasmatiche di poliglucosidi, ficobilosomi. Tutti  tipi di i.c. aventi in comune il non essere delimitate da membrane. Eppoi ancora: i carbossisomi, i clorosomi, le vescicole gassose, i globuli di zolfo, i.c. delimitate da una propria membrana semplice. 

Quindi nel mondo procariota le prime differenziazioni tra i vari tipi di i.c. si  osservano dal tipo di materiale che le rappresenta e se queste siano o meno delimitate da una membrana semplice. 

Le prime osservazioni delle inclusioni citoplasmatiche

Le prime osservazioni di i.c. furono osservate probabilmente dal danese Otto Friedrich Muller (1730-1784) uno dei primi naturalisti ad investigare e studiare i microrganismi. Da allora potenziando strumenti e conoscenze siamo giunti al numeroso elenco e diversificazione di i.c. a quelle già citate possiamo aggiungere ancora le inclusioni lipidiche, i magnetosomi,  cromatofori, granuli di ferro, granuli di cianoficina, e tralasciando al momento tutte le i.c. afferenti a malattie o stati patologici su cui faremo degli accenni in seguito. La compartimentazione dei processi specializzati è una caratteristica fondamentale in tutti i domini della vita. Spesso denominate organelli, queste strutture sono classificate come legate alla membrana, che possiedono una membrana semipermeabile comprendente lipidi e proteine, o  prive di membrana (definita in fase), dette anche condensati biomolecolari.

Organelli cellulari

Storicamente il termine “organelli” è stato strettamente attribuito agli organismi eucarioti; tuttavia, ora sappiamo che anche i batteri possiedono tali strutture, inclusi gli anammossosomi, i magnetosomi, i cromatofori, i clorosomi, i microcompartimenti batterici (BMC), e nanocompartimenti  (indicati anche come encapsuline). Sta inoltre diventando evidente che i batteri hanno una varietà di organelli privi di membrana coinvolti in diversi  processi biologici che si formano attraverso la separazione della fase liquido liquido, o LLPS. Tra questi organelli batterici, il BMC fissante il carbonio chiamato carbossisoma è uno dei più studiati fino ad oggi, in particolare per quanto riguarda i meccanismi di autoassemblaggio e organizzazione  subcellulare. 

All’interno del citoplasma di alcune specie batteriche possono essere quindi presenti i.c. di differente composizione in rapporto alle condizioni di crescita di tali batteri. Polimeri dell’acido beta-idrossibutirrico (granuli di lipidi), glicogeno e amido (granuli di polisaccaridi), granuli di zolfo, granuli di polifosfati, i.c. utili alla vita di determinate specie batteriche (nei solfobatteri, ad es. ritroviamo i granuli di zolfo) a cui compete una funzione di materiale di riserva. In Pseudomonas aeruginosa possiamo osservare grandi granuli di polifosfato, riserve intracellulare di  fosfato, detti anche granuli metacromatici o granuli di volutina o corpi di  Babes-Ernest (si colorano di rosso con i coloranti blu come il blu di  metilene o di toluidina). 

In Pseudomonas, ma anche Bacillus, Azotobacter, Spirillum, Alcaligenes, possiamo ritrovare anche i granuli di poli-beta-idrossibutirrato (PHB), figura B, depositi di natura lipidica utili come riserva di carbonio ed  energia. 

I poliidrossibutirrati

I poliidrossibutirrati (PHB) negli ultimi anni sono stati oggetto di studi come materiale plastico biodegradabile, essendo biodegradabili al 100%. Le materie plastiche di origine petrolchimica causano seri problemi ambientali a causa della loro natura non degradabile. Tali polimeri prodotti sinteticamente sono generalmente poco costosi, ma la loro persistenza ha un impatto ambientale  significativo. La crisi dei combustibili fossili, l’impatto ambientale associato ai  prodotti, rende essenziale ridurre la dipendenza dell’umanità dalle risorse non rinnovabili. I PHB sono macromolecole sintetizzate dai batteri e sono corpi di inclusione accumulati come materiale di riserva quando i batteri crescono in diverse condizioni di stress.

PHB: polimeri biologici estremamente versatili

Sono polimeri che possiedono proprietà simili a vari materiali termoplastici sintetici come il polipropilene. Questo li rende utili per applicazioni estese e per la futura produzione commerciale di massa di plastiche biodegradabili che possono sostituire le materie plastiche attualmente ottenute da basi petrolifere come investigato nell’articolo. Pertanto, l’obiettivo dello studio citato era isolare i batteri produttori di PHB e studiarne la produzione dai materiali di scarto agricoli. 

Un’altra fonte differente di carbonio ed energia sono invece i granuli di amido, disseminati in modo uniforme nel citoplasma. L’amido è un altro polimero, ramificato e formato da unità di glucosio unite da legami α 1-4  (catene lineari, amilosio) e β 1-6 (catene ramificate, amilopectina). Analoga  funzione dei granuli di glicogeno, altro polimero ramificato ad alta  concentrazione di unità di glucosio unite da legami α 1-4, osservabili in cellule epatiche ad esempio. 

Figura 2 - Struttura del poliidrossibutirrato (PHB)
Figura 2 – Struttura del poliidrossibutirrato (PHB)

Le altre funzioni delle Inclusioni citoplasmatiche

Le i.c. possono avere anche strutture più complesse ed inoltre la funzione di materiale di riserva non è l’unica annoverabile alla presenza di i.c. nel mondo procariota, le vescicole gassose, osservabili in batteri fotosintetici e acquatici, utili per il galleggiamento di tali batteri, sono caratterizzate da una compartimentazione esagonale, Come descritte brillantemente nella  review Gas Vesicles di ANTHONY E.WALSBY, Microbiological Reviews, Mar. 1994, p. 94-144, dei molti tipi di i.c. e di strutture subcellulari che si sono evolute in organismi  procarioti, solo una, la vescicola gassosa, contiene uno spazio di deposito di gas. Sono state rinvenute in oltre 150 specie di procarioti da almeno 5 degli 11 phyla di batteri e 2 dei phyla di archaea descritti da Woese.

Vescicole di gas

In tutti gli  organismi studiati, le vescicole di gas hanno una morfologia simile e sono costruite a partire da proteine omologhe. Esse mostrano una notevole diversità, tuttavia, in un aspetto, la loro larghezza. Le vescicole gassose sono strutture inerti, cave, a gas, formate solo da proteine. I principali costituenti sono piccoli sistemi lineari cristallini di una proteina (GvpA), più piccola, idrofobica, lungo le nervature che formano la calotta cilindrica e i cappucci conici.

GvpC

Una seconda proteina (GvpC), più grande, che ha una sequenza di un aminoacido ripetuto, aderisce all’esterno delle nervature e stabilizza la struttura. I geni che codificano per queste proteine, circa 14,  sono stati isolati e sequenziati, prima in cianobatteri e alobatteri. Le  vescicole di gas risultano permeabili ai gas ma non possono essere gonfiati dal gas. Lo spazio gassoso deve essere formato dal modo in cui le proteine sono assemblate; e rapidamente si riempie di gas per diffusione. L’acqua liquida, e le stesse due classi di proteine, indicano che le aree sono tenute fuori dalla tensione superficiale sulla superficie idrofobica.

Carbossisomi

I carbossisomi, contenenti l’enzima ribulosio-1,5-difosfato carbossilasi, di batteri nitrificanti tiobacilli e cianobatteri, rappresentano il sito di fissazione dell’anidride carbonica. La compartimentazione enzimatica organizza spazialmente le reazioni metaboliche e aumenta l’efficienza. I BMC confinano una vasta gamma di reazioni anaboliche o cataboliche sensibili incapsulando enzimi chiave all’interno di un guscio proteico selettivamente permeabile. Questo metodo di compartimentazione può aumentare localmente la concentrazione di enzimi e  substrati, prevenire la fuoriuscita di intermedi tossici e creare microambienti distinti dalle condizioni nel citoplasma, come pH, stato redox e pool di  cofattori.

In breve, i BMC consentono una biochimica specializzata che sarebbe meno efficiente o del tutto impossibile senza la compartimentazione. I geni che codificano per le proteine e gli enzimi del guscio BMC sono raggruppati genomicamente e organizzati in operoni coregolati. L’estrazione  di genomi batterici sequenziati ha rivelato 23 diversi tipi di BMC in 29 phyla batterici, compresi quelli trovati nel microbioma intestinale umano. È stato dimostrato che alcune BMC svolgono ruoli critici nella patogenesi e nella salute umana, ma tra la varietà di tipi di BMC identificati, relativamente pochi  hanno ottenuto supporto sperimentale per le loro funzioni proposte nella cellula e sono stati suddivisi metabolicamente in carbossisomi anabolici e  metabolosomi catabolici.

Figura 3 - Modello strutturale dei Carbossisomi
Figura 3 – Modello strutturale dei Carbossisomi

Metabolosomi

I metabolosomi che sono stati caratterizzati  sperimentalmente utilizzano propandiolo (PDU), etanolamina (EUT), fucosio e ramnoso, 1-amino-2-propanolo e colina. Nonostante la loro diversità  funzionale, tutti i metabolosomi creano, sequestrano e disintossicano gli intermedi di aldeidi volatili che possono uccidere la cellula. Nel 2010, una  GTPase simile a Ras chiamata PduV è stata segnalata in grado di svolgere un ruolo nel posizionamento della PDU BMC tramite un meccanismo sconosciuto basato sul filamento. A parte questo singolo studio, non è chiaro come i metabolosomi siano organizzati spazialmente nelle cellule batteriche. I carbossisomi incapsulano l’enzima più abbondante sulla Terra, la ribulosi 1,5-bisfosfato carbossilasi/ossigenasi (Rubisco), e rappresentano il modello più studiato per comprendere la biologia della BMC, in particolare, l’assemblaggio e l’organizzazione nella cellula. Il carbossisoma, insieme all’enzima coincapsulato anidrasi carbonica che converte il bicarbonato in CO2 (il substrato per Rubisco), aumenta la concentrazione locale di CO2, che migliora l’efficienza e la selettività del Rubisco.

Organelli responsabili di circa la metà della fissazione globale del carbonio

Insieme al suo equivalente eucariotico nelle alghe, il pirenoide, questi organelli a base di proteine sono responsabili di circa la metà della fissazione globale del carbonio. Poiché i BMC svolgono un ruolo critico nella fissazione del carbonio, nell’utilizzo della fonte di carbonio e nella patogenesi, le loro funzioni sono di  grande interesse ecologico, biotecnologico e medico. Nonostante la loro  importanza, poco si sa sui meccanismi usati dai batteri per regolare l'”omeostasi” della BMC, un termine che usiamo qui per comprendere  l’equilibrio dinamico tra gli aspetti correlati dell’assemblaggio, della composizione, delle dimensioni, del numero di copie, della manutenzione  della BMC, posizionamento e, in definitiva, funzione nella cellula.

Mcd

In questa mini rassegna, menzioniamo l’unico sistema di posizionamento BMC noto fino ad oggi: il sistema di mantenimento del sistema di distribuzione dei carbossisomi (Mcd), che organizza spazialmente i carbossisomi, tramite il sistema a due componenti McdAB e il meccanismo a cricchetto di diffusione proposto per il posizionamento del carbossisoma. Differenti studi dimostrano che i sistemi McdAB sono diffusi tra i batteri contenenti carbossisoma. 

Il modello BMC

I carbossisomi sono organelli batterici essenziali, comunemente descritti come struttura icosaedrica che compartimentalizzano il processo di fissazione del carbonio sensibile all’ossigeno utilizzando un guscio proteico semipermeabile. In particolare, poiché CO2 e O2 competono per legare Rubisco, la coincapsulazione di Rubisco e anidrasi carbonica all’interno di un guscio proteico selettivamente permeabile genera un ambiente interno ad alto contenuto di CO2 che guida le reazioni di Rubisco verso il ciclo di Calvin Benson-Bassham (substrato di CO2) e lontano dal processo di fotorespirazione (substrato O2). Attraverso questo meccanismo, i carbossisomi contribuiscono a più del 35% della fissazione globale del carbonio attraverso l’assimilazione della CO2 atmosferica. 

Ad oggi sono stati caratterizzati due tipi di carbossisomi, a e b. gli a carbossisomi incapsulano la forma 1A Rubisco e i b-carbossisomi incapsulano la forma 1B Rubisco. Nonostante questa differenza, gli a- e b carbossisomi hanno una cinetica di Rubisco simile. Tutti i cianobatteri  possiedono a- o b-carbossisomi, mentre diversi proteobatteri che fissano il carbonio e alcuni actinobatteri possiedono solo a-carbossisomi. Si ritiene che gli a-carbossisomi siano emersi nei proteobatteri e siano stati successivamente trasferiti orizzontalmente ai cianobatteri all’inizio della loro evoluzione, creando così i due distinti lignaggi di cianobatteri: a-cianobatteri che possiedono a-carbossisomi e b-cianobatteri che possiedono b-carbossisomi.

a- e b-carbossisomi

Sebbene a- e b-carbossisomi possiedano funzioni simili, sono composti da componenti proteici strutturalmente e fileticamente distinti. La stragrande maggioranza dei geni correlati al carbossisoma a e b tende a formare operoni  con i rispettivi enzimi incapsulati. Infatti, nel modello b-cyanobacterium Synechococcus elongatus PCC 7942 (qui, S. elongatus) l’operone core ccm (meccanismo di concentrazione del carbonio) è localizzato genomicamente  accanto ai geni che codificano per Rubisco, rbcL e rbcS (voci di accesso Pfam  PF02788/PF00016 e PF00101 ).

CcmK2, CcmL, CcmM

Il primo componente dell’operone ccm è la proteina esamerica del guscio CcmK2 (PF00936), che si assembla lateralmente per formare le facce dell’icosaedro (55, 56). Il componente  successivo, la proteina del guscio pentamerico CcmL (PF03319), ricopre i vertici icosaedrici. Successivamente, il componente carbossisomiale interno CcmM (PF00132/PF14602/ PF00101), che è espresso come una forma lunga (58 kDa) e una forma corta (35 kDa), aggrega Rubisco per formare un “procarbossisoma” e questo complesso è collegato al CcmK2 guscio tramite  la proteina CcmN (PF00132).

CcmO

L’ultimo componente dell’operone ccm è la proteina del guscio tandem CcmO (PF00936), che è stato ipotizzato che funzioni come una “cerniera lampo” che collega i bordi delle facce CcmK2. I restanti componenti del carbossisoma sono tutti distanti dall’operone ccm. Le proteine minori del guscio esamerico, CcmK3 e CcmK4 (PF00936), formano eteroesameri e si ritiene che modulino la permeabilità del carbossisoma per aumentare o diminuire il rimescolamento del metabolita con il citoplasma. L’anidrasi carbonica, CcaA (PF00484), è reclutata nel procarbossisoma da CcmM, posizionato in prossimità di Rubisco e incapsulata. Infine, la proteina del guscio pseudoesamerica CcmP (PF00936) contiene un grande poro  entrale che si apre e si chiude in risposta al legame del ligando.

Halothiobacillus neapolitanus come organismo modello

Il proteobatterio chemioautotrofico Halothiobacillus neapolitanus c2 (qui, H.  neapolitanus) è l’organismo modello per lo studio degli a-carbossisomi. Il core a-carboxysome cso operon (CarboxySOme) è molto più altamente conservato nella struttura rispetto all’operone ccm ed è anche localizzato genomicamente accanto ai geni che codificano per le subunità grandi e  piccole di Rubisco, cbbL e cbbS (PF02788/PF00016 e PF00101 ). L’operone cso differisce significativamente dall’operone ccm in diversi modi. In primo luogo, mentre le proteine CcmM e CcmN sono necessarie per aggregare Rubisco e anidrasi carbonica in un procarbossisoma e legare questo complesso al guscio dei b-carbossisomi, il primo gene dell’operone cso, csoS2  (PF12288), svolge esclusivamente questi ruoli in a-carbossisomi ed è quasi sempre seguito genomicamente dall’anidrasi carbonica, csoS3. Successivamente, si pensa che le proteine del guscio paralog pentamerica, CsoS4A (PF03319) e CsoS4B (PF03319), funzionino in modo simile al b carbossisoma CcmL, coprendo i vertici.

Gli ultimi componenti dell’operone cso

Le proteine del guscio esamerico CsoS1A (PF00936), CsoS1B e CsoS1C, terminano il tradizionale operone cso e formano la faccia della forma  icosaedrica, una funzione simile al componente b-carbossisoma CcmK2, e interagiscono anche con la componente principale di aggregazione di Rubisco CsoS2. I componenti dell’a-carbossisoma rimanenti si trovano tipicamente all’esterno dell’operone cso ma rimangono comunque in stretta vicinanza genomica. Tra questi componenti, la proteina del guscio trimerico a doppio stacking CsoS1D (PF00936) si trova solitamente a valle dell’operone cso e possiede pori gated analoghi al componente b-carbossisoma CcmP. Infine, sebbene non sia presente in H. neapolitanus, la proteina del guscio esamerica CsoS1E (PF00936) precede spesso l’operone cso negli a-cianobatteri adattati alla scarsa illuminazione. 

Una piena comprensione dell’interattoma proteico e dell’organizzazione interna di entrambi i tipi di carbossisoma è a portata di mano, ma dato il  numero di componenti autoassemblanti, perché i carbossisomi, o le BMC in  generale, non si aggregano nella cellula? Lo studio dell’organizzazione del carbossisoma e del suo sistema antiaggregante recentemente identificato è agli albori.

Ricordiamo, proseguendo oltre, clorosomi e ficobilosomi, che si differenziano in complessità, per la presenza o assenza di una membrana di rivestimento oltre che dalle proteine che adempiono la funzione della specifica i.c., e rappresentano entrambi i.c. con funzione di centri di assorbimento dell’energia luminosa. 

Inclusioni citoplasmatiche come marker patologici

Per rigore di menzione accenniamo nel presente articolo anche alle i.c. come markers patologici, ad esempio: i virus dell’influenza A inducono l’accumulo  di inclusioni dense di elettroni nel citoplasma delle cellule infette durante le ultime fasi del ciclo di replicazione. Studi sul frazionamento cellulare hanno mostrato che queste inclusioni citoplasmatiche potrebbero essere recuperate in frazioni subcellulari contenenti ribosomi e polisomi. L’isolamento di queste inclusioni  è stato ottenuto mediante procedure che prevedono il trattamento con RNasi  di queste frazioni seguito da ripurificazione, o mediante estrazione con fluorocarbone e centrifugazione a gradiente. La microscopia elettronica ha indicato che le inclusioni isolate mostravano una periodicità maggiore di 8 nm con periodicità minore di 4 nm. L’analisi mediante elettroforesi su gel di sodio dodecil solfato-poliacrilammide ha rivelato che la proteina non strutturale codificata dal virus dell’influenza era l’unica componente proteica presente nelle inclusioni citoplasmatiche isolate. 

Accumulo di inclusioni paracristalline

Una delle principali alterazioni morfologiche indotte dal virus nelle cellule infettate da virus influenzali di tipo A è la comparsa e l’accumulo di inclusioni paracristalline nel citoplasma durante gli ultimi stadi dell’infezione. Queste inclusioni sono state osservate in vivo durante l’infezione dell’epitelio bronchiale e del cervello di topo e di colture cellulari infettate. Nonostante la loro invarianza di tipi infetti da virus influenzali, non sono state ottenute informazioni sulla loro composizione o sul loro possibile significato nel ciclo di replicazione virale.

Condizione rara

Sebbene si tratti di una condizione rara, la malattia da inclusione dei microvilli sembra essere una causa frequente di diarrea familiare secretoria intrattabile. La diagnosi si basa sul riscontro ultrastrutturale delle inclusioni citoplasmatiche riempite da microvilli intatti. Quindi in questo caso, addirittura, ci sono intere strutture racchiuse in i.c. (la malattia è riconosciuta dal SSN con codice di esenzione RI0070). Queste inclusioni sono presenti  nella superficie assorbente delle cellule epiteliali dell’intestino tenue e crasso e si associano a scarso sviluppo della superficie con orletto a spazzola dei microvilli. La prognosi è sfavorevole e non è al momento disponibile una terapia. Poiché la malattia da inclusione dei microvilli sembra essere una malattia ereditaria, e essenziale la consulenza genetica delle famiglie affette. 

Appare chiaro che le inclusioni citoplasmatiche non rappresentano un argomento da poter trattare in due righe, inoltre sarebbe interessante investigare anche le i.c., che molto probabilmente, anche il tristemente famoso coronavirus responsabile di SARS-covid 2 ha causato.

Fonti

  • Treccani 
  • Microbiologiaitalia 
  • Wikipedia 
  • Unina 
  • Getachew and Woldesenbet BMC Res Notes (2016) 9:509 DOI 10.1186/s13104-016-2321-y  Production of biodegradable plastic by polyhydroxybutyrate (PHB) accumulating bacteria  using low cost agricultural waste material Anteneh Getachew and Fantahun Woldesenbet 
  • Microbiological Reviews, Mar. 1994, p. 94-144 Gas Vesicles ANTHONY E.WALSBY • May/June 2021 Volume 12 Issue 3 e02519-19 American Society for microbiology Positioning the Model Bacterial Organelle, the Carboxysome  Joshua S. MacCready, Anthony G. Vecchiarelli 
  • JOURNAL OF VIROLOGY Feb. 1978, p. 608-615 Vol.25, Copyright©)1978  AmericanSocietyforMicrobiology PrintedinU.S.A. Isolation and Characterization of Cytoplasmic Inclusions from InfluenzaA Virus InfectedCells MICHAEL W. SHAW AND RICHARD W. COMPANS 
  • Bell et al. Microvillous inclusion disease. The importance of electron microscopy for  diagnosis. Am-J-Surg-Pathol. 1991 Dec
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Francesco Centorrino

Sono Francesco Centorrino e sono il creatore di Microbiologia Italia. Mi sono laureato a Messina in Biologia con il massimo dei voti ed attualmente lavoro come microbiologo in un laboratorio scientifico. Amo scrivere articoli inerenti alla salute, medicina, scienza, nutrizione e tanto altro.

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