Le microplastiche si legano alla superficie degli organismi acquatici

Le prime ricerche sperimentali sulla presenza di microplastiche nell’ambiente risalgono agli anni ’70 del secolo scorso. Tuttavia, solo nell’ultimo decennio sono diventate un vero problema globale. Non a caso si trovano ovunque: negli ambienti marini e di acqua dolce, negli impianti di trattamento delle acque reflue e anche nell’uomo, dal sangue alla placenta. La loro diffusione fa sì che le microplastiche si possano legare alla superficie degli organismi acquatici. Inizialmente lo studio delle interazioni tra organismi e microplastiche si è concentrato sulla loro ingestione, come via principale di assorbimento. Per questo motivo sono stati analizzati gli effetti della loro distribuzione e accumulo all’interno degli organismi, le modalità di escrezione e il trasferimento trofico.

Studi recenti hanno messo in evidenza che, oltre ad essere ingerite, le microplastiche possono aderire alla superficie degli organismi acquatici, sia vegetali che animali. Questo fenomeno è chiamato bioadesione. Alcune ricerche, effettuate sia in laboratorio sulle macrofite acquatiche che mediante campagne di monitoraggio in ambiente naturale, hanno confermato che le microplastiche possono aderire ad un tessuto biologico.

Le microplastiche aderiscono agli organismi vegetali acquatici

Secondo dati recenti, la bioadesione è il processo di interazione principale tra macrofite acquatiche e microplastiche. Queste ultime, infatti, possono sia aderire alla loro superficie che galleggiare sopra di esse trattenendo la luce che serve loro per la fotosintesi.

All’alga marina Thalassia testudinum aderiscono le microplastiche soprattutto sotto forma di fibre. Quest’alga cresce in aree sabbiose o fangose e poco profonde come le zone costiere del Belize, da cui provengono i campioni esaminati. Inoltre, è il cibo preferito delle tartarughe marine e di molti pesci che a loro volta finiscono per nutrirsi delle microplastiche presenti su di essa.

Le microplastiche si legano alla superficie di organismi acquatici vegetali come l'alga Thalassia testudinum
Figura 1 – Le microplastiche si legano alla superficie di organismi acquatici vegetali come l’alga Thalassia testudinum [Fonte: commons.wikimedia.org].

L’alga Cymodocea rotundata, campionata in Indonesia, è ricoperta di microplastiche per il 78% della sua superficie e più del 90% sono fibre.

Altri studi, condotti in Cina e nel mar Baltico, hanno confrontato la quantità di microplastiche presenti nelle praterie di alghe marine con quelle ritrovate in aree sabbiose prive di vegetazione. Nel primo caso la quantità di microplastiche campionate è maggiore di circa 2-3 volte.

Adesione delle microplastiche agli animali acquatici

La bioadesione delle microplastiche agli animali acquatici è più comune di quello che si pensa. Questa riguarda alcune specie più di altre, come i crostacei e le meduse. Nei coralli la bioadesione è di circa 40 volte maggiore rispetto alla sua ingestione. Un recente studio ha messo in evidenza che all’epidermide del corallo Zoanthus sociatus aderiscono un numero elevato di microplastiche, molte di più di quelle che si ritrovano nel suo intestino. In particolare, si tratta del polivinilcloruro (PVC) e del polietilene (PE) le cui dimensioni sono comprese tra i 63 e 125 micrometri (µm). Anche nel bivalve Mytilus edulis e nella medusa Aurelia aurita (conosciuta come medusa a quadrifoglio) è noto il fenomeno della bioadesione. In quest’ultima le microplastiche vengono assorbite soprattutto lungo i tentacoli orali. Nei pesci pelagici, invece, le microplastiche aderiscono in particolar modo ai tessuti delle branchie.

Le microplastiche si legano alla superficie di organismi acquatici come la medusa Aurelia aurita
Figura 2 – Le microplastiche si legano alla superficie di organismi acquatici come la medusa Aurelia aurita [Fonte: unsplash.com]

La bioadesione delle microplastiche è influenzata dalla morfologia degli organismi acquatici

Il verificarsi o meno della bioadesione dipende principalmente dalle proprietà delle particelle di microplastica e della superficie biotica, cioè della superficie esterna dell’organismo a cui aderiscono. L’interazione iniziale è di tipo elettrostatico: le microplastiche cariche positivamente sono attratte dalle superfici biotiche cariche negativamente. Per questo motivo, sostanze come la cellulosa e il legno non vi aderiscono perché hanno la stessa carica degli organismi viventi.

Anche la morfologia della superficie esterna degli organismi gioca un ruolo importante. La presenza di peli e siti di legame favorisce la bioadesione. Le macrofite con foglie strutturalmente più complesse catturano e trattengono più microplastiche rispetto a quelle con strutture fogliari semplici. Inoltre, una superficie esterna più viscosa, ad esempio a causa della secrezione di muco o di biofilm naturali, aumenta la capacità di adesione delle microplastiche.

Le microplastiche ingerite sono di dimensioni minori perché devono attraversare la cavità orale dell’organismo, al contrario, quelle che aderiscono alla superficie biotica non hanno limiti di grandezza.

E la forma? Da esperimenti condotti in laboratorio sembra che anche la forma delle microplastiche influenzi la bioadesione. Le microplastiche sferiche, infatti, aderiscono più debolmente alle macrofite. Tuttavia, sono necessari ulteriori studi per capire se la forma delle microplastiche possa effettivamente influenzarne la bioadesione.

Le conseguenze ambientali della bioadesione delle microplastiche

Secondo alcuni studi, quando le microplastiche aderiscono alla superficie delle macrofite causano una riduzione della crescita, stress ossidativo e riduzione della fotosintesi. Altre ricerche, al contrario, non hanno evidenziato conseguenze importanti alle concentrazioni di microplastiche presenti nell’ambiente, anche quando l’esposizione è prolungata nel tempo. In ogni caso, le macrofite catturando le microplastiche, le rimuovono dall’ambiente circostante e ne riducono la biodisponibilità. Sembrerebbe un fatto positivo se non fosse per i pesci erbivori che, nutrendosene, ingeriscono anche le microplastiche adese alla loro superficie che in questo modo entrano nella rete trofica acquatica. 

Nei coralli delle barriere coralline la bioadesione delle microplastiche causa abrasione dei tessuti ed altera anche l’espressione genica.

Inoltre, la forza ionica, il pH e il movimento dell’acqua e la presenza di fattori di stress antropici sembrano influenzare la bioadesione delle microplastiche agli organismi acquatici ma non si hanno ancora dati sufficienti a disposizione. 

Anche se non sono del tutto noti i meccanismi attraverso cui le microplastiche si legano alla superficie degli organismi acquatici, questo non è un fenomeno da trascurare. Infatti, è importante studiare il suo contributo per comprendere appieno gli effetti e il destino delle microplastiche nell’ambiente.

In conclusione, per ottenere un’analisi completa sul destino delle microplastiche e sui rischi dell’inquinamento ambientale da esse generato è necessario considerare anche la bioadesione delle microplastiche agli organismi acquatici e non solo la loro ingestione.

Bibliografia:

Crediti immagini:

Foto dell'autore

Elisabetta Cretella

Elisabetta Cretella Dopo la laurea magistrale in Genetica e Biologia molecolare conseguita presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza e l'abilitazione alla professione di biologo, si appassiona alla divulgazione scientifica. Consegue il Master in Giornalismo e Comunicazione istituzionale della Scienza presso l'Università degli studi di Ferrara e inizia a scrivere per il webmagazine 'Agenda17' del Laboratorio DOS (Design of Science) dell'Università di Ferrara. Intanto intraprende la strada dell'insegnamento. Ad oggi è docente di Matematica e Scienze presso le Scuole Secondarie di primo grado e di Scienze naturali alle Scuole Secondarie di secondo grado. Nel suo curriculum c'è anche un tirocinio svolto in un laboratorio di ricerca dell'Istituto di Biologia e Patologia molecolare del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IBPM-CNR) e due pubblicazioni su riviste scientifiche peer reviewed.