Occhio di pavone

Olio

L’olio è ottenuto mediante estrazione meccanica, e quindi per pressione delle olive, o mediante processi fisici come la filtrazione, decantazione o centrifugazione, quest’ultimo classico principio dei moderni impianti a ciclo continuo.

Secondo l’ISMEA la produzione mondiale di olio nel 2022 si attesta sui 3 milioni di tonnellate di cui 208 mila in Italia. La produzione nel Bel paese si concentra principalmente al sud Sicilia, Calabria e soprattutto Puglia che fornisce il maggior contributo (e dove viene definito oro verde, ndr). Per quanto riguarda il nord Toscana e Liguria recitano un ruolo da protagonista.

Olea europea sativa

Le origini dell’ulivo non sono ben definite, si pensa possa provenire dalla zona dell’Asia minore sebbene molti la considerino la specie mediterranea per eccellenza (Italia, Spagna, Grecia, Tunisia e alcuni paesi mediorientali che si affacciano sul Mediterraneo, da non sottovalutare). La specie è suddivisa in due sottospecie la sativa, quella coltivata, e la oleaster.

I caratteri botanici che contraddistinguono l’olivo sono:

  • foglie di forma lanceolata disposte in maniera alternata sul ramo, di colore verde scuro la pagina superiore e verde sbiadito tendente al grigio la pagina inferiore che è anche provvista di peluria.
  • gemme di tipo ascellare, tra ramo e picciolo della foglia, possono essere a legno per generare altri rami e anche miste per le infiorescenze.
  • fiori ermafroditi, piccoli e di colore bianco costituiti da 4 sepali (calice) e 4 petali (corolla). 
  • il frutto è una drupa anche se l’olivo, come specie, non appartiene alla famiglia botanica delle Drupacee (unica eccezione per quanto riguarda le colture arboree) di forma ovoidale può arrivare a pesare 4-5 g. Si divide in esocarpo (buccia), mesocarpo (polpa) che contiene l’olio sottoforma di goccioline in cellule chiamate vacuoli ed endocarpo legnoso (nòcciolo).

L’impollinazione avviene tramite vento che funge da vettore per il trasporto del polline (anemofila)

Occhio di pavone o cicloconio

Una delle fitopatologie più diffuse che colpisce l’ulivo è l’occhio di pavone. L’agente eziologico responsabile è un fungo dal nome Spilocea oleagina, individuato per la prima volta a Marsiglia, da Castagne, nel 1845.

E’ un fungo deuteromicete che si sviluppa dall’autunno sino alla primavera ed è soggetta ad una quiescenza estiva nell’Italia meridionale ed insulare, arida d’estate. Nell’Italia centro settentrionale si riscontra una lunga stasi invernale.

occhio di pavone
Figura 1 – L’occhio di Pavone

Informazioni sulle infezioni dell’Occhio di pavone

L’inoculo per le infezioni primarie proviene principalmente dalle foglie infette che rimangono attaccate sui rami durante l’inverno o l’estate. L’unica forma di riproduzione asessuata del fungo è quella mediante produzione di conidiospore che sviluppano il micelio costituito da ife.

Affinché avvenga l’infezione i conidi hanno bisogno di una umidità relativa prossima al 100% e di una prolungata bagnatura delle foglie. L’intervallo di temperatura ottimale per la germinazione è di 18-20 °C e la vitalità dei conidi si può protrarre per mesi se non si staccano dal conidioforo.

Proprio con le ife, il patogeno perfora la cuticola fogliare e avvia una colonizzazione sub-cuticolare dove trova l’ambiente ideale per svilupparsi, nutrimento che ricava dai componenti della parete cellulare (cere, cellulosa, pectine) in più è protetto dalla disidratazione e dall’azione delle radiazioni luminose più nocive. 

L’accrescimento sub-cuticolare determina nei tessuti fogliari più prossimi un aumento di sostanze fenoliche, quali l’aglicone dell’oleuropeina a cui è stata attribuita un’importante funzione difensiva agendo da inibitore degli enzimi del patogeno impedendo l’avanzamento al mesofillo fogliare.

A completamento del suo sviluppo sub-cuticolare, il fungo differenzia nuovi rami micellari che fuoriescono dalla cuticola e danno luogo a nuovi conidiofori che vengono disarticolati dalla pioggia e rimessi in circolo sospesi, in gocce d’acqua, grazie al vento.

Foglie colpite dalla fitpatologia occhio di pavone
Figura 2 – Foglie colpite dalla fitpatologia occhio di pavone

Incubazione

Il periodo d’incubazione varia da 1-3 mesi fino a 8-10 mesi, ma in condizioni particolarmente favorevoli si riduce a 2 settimane. Il danno alla pianta si realizza attraverso tre vie filloptosi anticipata, con conseguente riduzione della superficie assimilante, scarsa fioritura e allegagione; maggiore traspirazione e quindi maggior consumo di sostanza organica e riduzione delle funzionalità del floema con conseguente scarsa migrazione dei nutrienti.

Sintomatologia

I sintomi che si manifestano in seguito all’attacco di Spilocea oleagina sono molteplici e colpiscono vari organi dell’albero:

  • foglie: è l’organo maggiormente colpito, si ha la comparsa sulla pagina superiore di macchie tondeggianti (da qui deriva il nome occhio di pavone, ndr) di 10 mm costituite da cerchi concentrici policromatici dal giallo al brunastro seguito da parziale clorosi e necrosi della lamina fogliare. Sulla pagina inferiore i sintomi sono meno frequenti e per di più mascherati dalla fitta peluria; quando si verificano è possibile osservare delle striature necrotiche sulla nervatura mediana.

Il principale effetto dell’infezione non è solo la compromissione della fotosintesi clorofilliana ma la defogliazione che può raggiungere una notevole intensità tale da determinare riduzioni nella differenziazione delle gemme a fiore e di conseguenza della produzione.

Più in generale, la defogliazione porta ad un indebolimento dell’albero fino ad un possibile disseccamento dei rami.

  • rami: le macchie sono localizzate sulle parti più tenere del germoglio e ricordano lontanamente quelle delle foglie.
  • frutti: presentano piccole macchie brunastre, depresse; pur non compromettendone le caratteristiche organolettiche dell’olio ne viene ridotta la resa in olio.

Lotta all’Occhio di pavone

La lotta all’Occhio di pavone è prettamente di tipo chimico con fungicidi a base di rame (poltiglia bordolese). La prima nel periodo febbraio-marzo e la seconda nel periodo settembre-ottobre.              

Tuttavia alcune tecniche culturali sono utili ad una attività di prevenzione come favorire l’arieggiamento della chioma e sesti d’impianto non troppo fitti riducono l’umidità. Effettuare concimazioni equilibrate per controllare la vigoria ed infine utilizzare cultivar resistenti come la leccino e l’ascolana.

Interventi chimici vengono effettuati solo dopo aver diagnosticato la presenza con la diagnosi precoce (metodo Loprieno-Tenerini). Il metodo consiste nell’immergere un campione di foglie in una soluzione acquosa di NaOH al 5% ad una temperatura di 50-60 °C. Sulle foglie infette compariranno macchie scure rotondeggianti, solo se il 30% è infetto viene giustificato il trattamento.

Fonti:

  • www.ismea.it
  • www.agraria.org
  • www.agrimag.it
  • Elementi di patologia vegetale
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Francesco Centorrino

Sono Francesco Centorrino e sono il creatore di Microbiologia Italia. Mi sono laureato a Messina in Biologia con il massimo dei voti ed attualmente lavoro come microbiologo in un laboratorio scientifico. Amo scrivere articoli inerenti alla salute, medicina, scienza, nutrizione e tanto altro.

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