L’uso eccessivo o inappropriato di antibiotici è tra i fattori principali che contribuiscono alla comparsa e alla diffusione dell’antibiotico-resistenza, oltre ad aumentare il rischio di infezione da Clostridioides difficile e di eventi avversi al trattamento.
Per rendere più rapido il percorso diagnostico nei pazienti con sospetta infezione batterica e ottimizzare l’utilizzo degli antibiotici, negli ultimi anni sono stati studiati diversi biomarcatori diagnostici.
Tra questi, la procalcitonina (PCT) è senza dubbio quella che ha suscitato più interesse tra i ricercatori.
Che cos’è la procalcitonina
La PCT è un piccolo peptide costituito da 116 amminoacidi, precursore dell’ormone calcitonina, sintetizzata dalle cellule C della tiroide in risposta a stimoli ormonali. Normalmente, i livelli sierici di PCT sono molto bassi (≤ 0,1 ng/mL); tuttavia la sintesi di PCT può aumentare fino 1000 volte.
Infatti la produzione della PCT è stimolata da tossine microbiche e da alcune citochine rilasciate in risposta alle infezioni batteriche, in particolare l’interleuchina-1 beta (IL-1β), l’interleuchina-6 (IL-6) e il fattore di necrosi tumorale alfa (TNFα). In questo caso, la PCT viene prodotta anche all’esterno della ghiandola tiroidea da molti organi (come fegato, pancreas, rene, polmone e intestino) e quindi è rilasciata in grandi quantità nel circolo sanguigno, dove può essere misurata.
Al contrario, la produzione di PCT è bloccata dall’interferone-gamma (IFγ), una citochina prodotta in risposta alle infezioni virali.
Negli adulti la concentrazione di PCT nel sangue aumenta immediatamente, in un intervallo compreso tra le 4 e le 6 ore dopo la stimolazione delle citochine e il suo andamento temporale riflette la gravità dell’infezione.
Quando l’infezione batterica viene controllata dal sistema immunitario e da una terapia antibiotica efficace, la PCT diminuisce del 50% nell’arco di 24 ore. Al contrario, se l’infezione non risponde alla terapia, i livelli di PCT non diminuiscono.

Valido supporto nel percorso diagnostico
Quindi, considerando queste premesse, la PCT rappresenta un biomarcatore interessante.
Quando un paziente presenta una sintomatologia riconducibile ad un’infezione, è fondamentale giungere immediatamente ad una diagnosi, cercando di identificare quanto prima possibile il microrganismo responsabile, e impostare una terapia corretta.
Il dosaggio della PCT supporta il medico nella diagnosi differenziale tra infezioni virali e quelle batteriche, essendo specifico per le infezioni batteriche rispetto ad altri marcatori infiammatori, come per esempio la proteina C reattiva.
In base allo scenario clinico (sepsi, shock settico, polmonite, infezione post-operatoria, solo per fare alcuni esempi) e al setting (paziente in Pronto Soccorso o in Terapia Intensiva) è stabilito un livello di cut-off della PCT da utilizzare. In generale è compreso tra 0,1 e 0,5 ng/mL, mentre livelli di PCT inferiori a 0,1 ng/mL consentono di escludere un’infezione batterica.
La PCT fornisce anche un’indicazione sulla gravità dell’infezione. Infatti con l’aumento della concentrazione di PCT, aumenta anche la probabilità che il paziente abbia un’infezione batterica grave. Al contrario, se la concentrazione di PCT rimane bassa, è più probabile una causa alternativa.
Tuttavia è necessario precisare che la PCT non sostituisce i test di diagnosi microbiologica. Infatti, questi sono e restano di importanza basilare: permettono di identificare e caratterizzare l’agente patogeno responsabile della malattia e suggeriscono un appropriato trattamento antibiotico, attraverso i risultati forniti dall’esecuzione dell’antibiogramma.
Ruolo importante nella gestione ottimale degli antibiotici
Il dosaggio della PCT permette quindi anche di stabilire la necessità di una terapia antibiotica e di monitorare la risposta del paziente al trattamento, attraverso misurazioni ripetute con frequenza stabilita.
A tale scopo, sono stati sviluppati diversi algoritmi, differenziati in base allo scenario clinico e il setting, per determinare se e quando iniziare la terapia antibiotica e quando interromperla. Quindi questi algoritmi consentono di ridurre l’uso complessivo di antibiotici, ottimizzando così la gestione di questi farmaci in un’ottica di antimicrobial stewardship.
Infine, l’entità dell’aumento della PCT ha anche un valore prognostico, potendo identificare quali pazienti siano a maggior rischio di esiti avversi, come mortalità o ricovero in Terapia Intensiva.
Conclusioni
Di fronte a un’infezione grave, giungere a una diagnosi tempestiva è fondamentale, per iniziare immediatamente un trattamento adeguato.
Essendo iper-prodotta in risposta a infezioni batteriche ma non virali, la PCT permette di differenziare le infezioni batteriche da quelle causate da altri microrganismi. Inoltre, fornisce informazioni aggiuntive sulla risposta del paziente all’infezione e permette di valutare rapidamente l’inizio e la successiva interruzione del trattamento antibiotico, evitando l’uso eccessivo o inappropriato di questi farmaci.
In conclusione, la PCT ha dimostrato di essere un biomarcatore promettente per aiutare il medico nella diagnosi e nella gestione dei pazienti con infezione batterica. Ulteriori ricerche saranno necessarie per scoprire nuove potenzialità della PCT e per studiare il suo ruolo sul miglioramento degli esiti dei pazienti.
Fonti
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- Müller B, White JC, Nylén ES, et al. Ubiquitous expression of the calcitonin-i gene in multiple tissues in response to sepsis. J Clin Endocrinol Metab. 2001;86(1):396-404.
Fonti immagini
Figura in evidenza e Figura 1. Un termometro, strumento di misura della temperatura corporea, e alcune capsule di farmaci. Fonte: Pixabay. Disponibile a: https://pixabay.com/it/photos/termometro-temperatura-febbre-833085/