La fermentazione è il cuore pulsante del processo di produzione di alimenti come vino, birra, prodotti da forno e una vasta gamma di derivati del latte abitualmente presenti nella dieta delle famiglie italiane, europee e di larga parte della popolazione mondiale. La trasformazione è di tipo biologico ed è condotta da microrganismi che, laddove la loro presenza è desiderata e nella gran parte dei casi indotta mediante inoculo, in determinate matrici possono essere indispensabili, in altre costituiscono decisamente un pericolo.
La birra, bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione operata da lieviti fermentanti e in rari casi anche da batteri (lambic), viene preparata con l’aggiunta di un ingrediente prezioso come il luppolo che, assieme alle naturali barriere innalzate nel prodotto per evitare contaminazioni, costituisce un valido alleato contro i microrganismi spoilage.
Il luppolo nella birra: aggiunta e funzioni
Quasi tutti i luppoli coltivati al mondo finiscono nella birra e, al di fuori di questo contesto, esso appare per lo più come una novità all’interno di liquori, caramelle, germogli serviti in ristoranti e in negozi specializzati in cure omeopatiche, in particolare viene venduto da più di un secolo come deterrente per combattere l’insonnia.
Documenti scritti indicano che il luppolo era ben conosciuto nell’ottavo secolo ed era coltivato negli orti dei monasteri dei Paesi Bassi, nella Germania del nord e nella Repubblica Ceca e anche se i vantaggi dell’utilizzo di questo germoglio risultarono subito chiari, ci vollero secoli affinché le birre contenessero stabilmente luppolo nelle preparazioni. A titolo esemplificativo, la lenta accettazione del luppolo da parte di birrai e bevitori inglesi ed europei si rende manifesta nella distinzione rispettivamente nei due contesti tra ale e birra o, come in Germania, tra ale di gruit (quest’ultimo è un infuso di spezie utilizzato in tempi antichi per aromatizzare le birre) e birre luppolate.
L’ingresso in pianta stabile del luppolo nella formulazione degli ingredienti della birra si deve dunque a vari fattori: le proprietà amaricanti permettono la creazione di un equilibrio in virtù della contrapposizione al sapore dolce dei malti e, più in generale, il tocco esotico dato da luppoli americani di nuova concezione stanno letteralmente creando un inedito segmento di consumatori. In più, ma in realtà si tratta di una necessità storica di primissima importanza, il luppolo è un antimicrobico estremamente efficace.
Proprietà antimicrobiche del luppolo
I birrai dei secoli scorsi, in particolare nell’epoca dell’avvento di castelli e monasteri, si resero conto dell’efficacia di questa pianta nel combattere infezioni che costringevano a gettare interi “lotti” di produzione. Il luppolo contiene al suo interno molecole a carattere acido come umulone, adumulone, coupulone, post e pre-umulone tra i più comuni, note come α e β-acidi, che, se aggiunti in bollitura, subiscono un processo chimico noto col nome di isomerizzazione.
Oltre a far sì che si possa aggiungere il prefisso –iso a tutte le molecole precedentemente citate, questa conversione rende gli iso α e β-acidi componenti amare e antibatteriche. Il meccanismo operato da queste molecole è tanto semplice quanto efficace: alterando l’equilibrio di cariche sulla membrana di microrganismi sensibili, ad opera di un gruppo prenilico vengono disattivate le pompe protoniche che permettono i trasporti attivi all’interno della cellula di nutrienti e verso l’esterno di scarti del metabolismo, causando una progressiva morte cellulare.
Dunque gli iso acidi amari del luppolo (umuloni e lupuloni su tutti) hanno mostrato attività contro i batteri Gram-positivi cioè Lactobacillus, Streptococcus, Staphylococcus, Listeria, Clostridium e Bacillus e su batteri Gram negativi come Helicobacter pylori e Brucella spp., nonché su alcuni funghi come Candida, Trichophyton, Fusarium e Mucor. Gli stessi elementi flavonoidi sono responsabili di parte dell’attività antimicrobica; i prenilflavonoidi mostrano attività antibatteriche, specialmente contro alcuni Gram-positivi: lo xantumolo e la 6-prenilnaringenina inibiscono la crescita di Staphylococcus aureus e di alcuni patogeni del cavo orale appartenenti al genere Streptococcus. Ad ogni modo, i microrganismi più colpiti nella birra risultano essere batteri, in particolare i lattici: ampiamente noti come contaminanti all’interno del contesto brassicolo, questi ultimi godono di pessima reputazione associata ad alterazioni della birra dovute ad off-flavour ed opacità del mezzo; tra i più pericolosi, solo 12-13 specie appartenenti al genere Lattobacillus spp. sono responsabili di alterazioni e possiedono le capacità di resistere alla barriera offerta dal luppolo.
Luppolo-resistenza: la difesa dei batteri
Fra i lattobacilli contaminanti, il più comunemente riscontrato è Lactobacillus brevis, eterofermentante che cresce in maniera ottimale a 30 °C e pH 4- 6, mentre Lactobacillus lindneri è il secondo più frequentemente riscontrato. Entrambi sono altamente resistenti ai composti del luppolo e devono questa particolarità alla presenza di una modifica dei geni horA e horC: grazie a tale mutazione, questi batteri sono in grado di attivare un numero maggiore di pompe protoniche che rendono insufficiente lo squilibrio protonico causati dagli iso acidi.
Queste molecole a carattere acido possiedono un valore di pka (cifra logaritmica della costante acida di dissociazione) medio di 3,1; questo offre un’idea di come il basso pH di una birra può concorrere ad aumentare l’efficacia degli α e β-acidi del luppolo, ma ciò può comunque non essere sufficiente, considerando anche il forte impatto sul sapore di una birra dato da un pH sensibilmente basso. I birrai, per avere un’idea di quanto possa essere amara una birra, utilizzano come unità di misura l’IBU (International Bitterness Unit), il cui valore è calcolabile nella birra finita grazie a formule precedentemente ricavate da diverse equipes di scienziati (le formule più usate sono quelle di Tinseth). A 3-4 IBU vengono già inibiti una considerevole parte del vasto genere dei batteri acidolattici, mentre Lattobacillus brevis resiste anche oltre 80 IBU e Lattobacillus lindneri fino a 50-60 IBU (valori raggiunti solo in determinati stili di birra).
Prospettive future
L’aumento complessivo della multiresistenza di virus, funghi e batteri ai farmaci sottolinea la necessità di cercare nuove strategie per controllare la proliferazione dei microrganismi e per arginare le infezioni associate. Al giorno d’oggi, la scoperta di nuovi antibiotici è un processo lungo e costoso e la capacità dei batteri di sviluppare resistenza è imprevedibile e veloce. Per questi motivi, sono stati proposti estratti naturali come agenti antimicrobici alternativi o coadiuvanti e a tal proposito, l’estratto di luppolo merita sicuramente di essere approfondito.
Complessivamente i test in vitro allestiti da vari autori, oltre a confermare la biocompatibilità degli estratti, hanno escluso ogni citotossicità che spesso si manifesta con estratti di erbe, soprattutto ad alte concentrazioni (1.000 μg / mL). E’ stato inoltre scoperto che l’estratto di luppolo ha influenzato negativamente la formazione di biofilm di numerosi batteri Gram-positivi testati. I biofilm formati in presenza di concentrazioni subinibitorie dell’estratto di luppolo vengono significativamente ridotti con la presenza di cellule meno raggruppate; questo può essere di particolare interesse sempre per l’industria della birra, in ispecie per la filiera artigianale che maggiormente risente dell’influenza negativa di tali formazioni in punti critici come macchine riempitrici e tappatrici.
Nell’ambito della panoramica delle proprietà antimicrobiche in bevande come la birra e in ottica di revisione delle potenzialità di questa infiorescenza e dei suoi estratti e/o sottoprodotti derivati, restano da approfondire le applicazioni nel trattamento e nella gestione delle infezioni causate da batteri Gram-positivi e la citotossicità su cellule epiteliali umane e fibroblasti.
Fonti
- S. Hieronymus, Gli ingredienti della birra “Il Luppolo”, Edizioni LSRW, 2016
- Di Lodovico et Al, Hop Extract: An Efficacious Antimicrobial and Anti-biofilm Agent Against Multidrug-Resistant Staphylococci Strains and Cutibacterium acnes, Front. Microbiolog., 2020
- Orlando G. et Al, Qualitative chemical characterization and multidirectional biological investigation of leaves and bark extracts of Anogeissus leiocarpus, Antioxidants 8:343, 2019
- A. Gressner, Manuale del birraio pratico, Fachverlag Hans Carl, 2014
- https://www.giornaledellabirra.it/produzione/contaminanti-della-birra-quali-sono-i-principali-spoiler-di-cui-dovremmo-preoccuparci/