Microbiologia della birra: le alterazioni che influenzano intermedi e prodotti finiti

La produzione della birra, bevanda millenaria che ha attraversato periodi storici e rivoluzioni anche e soprattutto dal punto di vista produttivo, da sempre presuppone presenza e attività microbica in ogni fase, dalla realizzazione di materie prime (ad esempio la maltazione) al confezionamento.

La maggior parte di queste attività sono auspicabili, in quanto la microbiologia della birra riguarda in larga parte un processo fermentativo comune a moltissimi prodotti alimentari; altre però rappresentano minacce alla qualità del prodotto finale e devono essere controllate attivamente attraverso un’attenta gestione, compito quotidiano di malterie e birrifici in qualsiasi scala e a livello globale. L’obiettivo dell’articolo è, dunque, quello di allestire una panoramica dei principali fenomeni di alterazione e dei microrganismi che di essi sono responsabili nel prodotto birra e nei suoi intermedi di lavorazione.

Orzo

Mentre la microbiologia della birra ruota attorno ad un fenomeno microbico monocolturale (con poche eccezioni), il processo completo di produzione della bevanda coinvolge una successione di attori microbici che influenzano notevolmente il prodotto finale; ne conviene che la conoscenza e la gestione di questi componenti in tutte le fasi hanno portato a notevoli aumenti della qualità della birra.

La birra può a tutti gli effetti essere definita come un prodotto agricolo e la sua microbiologia inizia dall’orzo, dove le interazioni microbiche nella pianta e lo stato microbiologico del grano, sia prima che dopo la raccolta, possono avere gravi implicazioni per la lavorazione in birrificio e per la qualità finale.

Sebbene i microrganismi in questione non sopravvivano ai processi di maltazione e produzione, i metaboliti possono persistere, influenzando la qualità a valle. Sul campo è presente una vasta gamma di batteri e funghi, proveniente dall’ambiente circostante, da insetti infestanti e animali. Il tempo e altre condizioni ambientali influenzano naturalmente la comunità microbica che cresce sull’orzo e annate particolarmente umide possono favorire la crescita e la patogenesi.

Maltazione dell'orzo in Microbiologia della birra
Figura 1 – tipico impianto di trasformazione dell’orzo in malto

Dopo la raccolta, l’orzo può essere conservato per un periodo precedente alla maltazione per superare la dormienza. Durante questo periodo, i microrganismi possono continuare a crescere e interagire con l’orzo vivo e le condizioni devono essere monitorate attentamente per garantire che la materia prima sia conservata in un ambiente alla giusta umidità e a bassa temperatura per ridurre al minimo la germinazione, che può essere estremamente dannosa per la qualità della birra. Un insieme diversificato di organismi è stato rilevato sull’orzo, ma solo alcuni funghi fitopatogeni rivestono una notevole rilevanza per la qualità della birra.

Fusarium spp. e molti altri patogeni fungini dell’orzo e di altri cereali sono in grado di produrre micotossine che sopravvivono al processo di fermentazione e che quindi possono essere rilevate nella birra finita: a tale scopo, nell’ambito di diverse ricerche sull’orzo, sono state rilevate numerose micotossine, compreso il deossinivalenolo (più celebre con l’acronimo di DON, noto anche come “vomitoxin”), nivalenolo, tossina T-2 e tossina HT-2. Il DON è stato riconosciuto come micotossina più abbondante e comunemente prodotta nei cereali affetti da Fusarium: i suoi effetti tossicogenici e delle relative micotossine sono ben stabiliti per gli animali e gli esseri umani, il che ha portando all’adozione di rigorosi standard di qualità per il DON nel malto. Oltre a minacciare la salute umana, è stato dimostrato che alte concentrazioni di queste micotossine inibiscono la crescita del lievito durante la fermentazione della birra, causando ulteriori problemi dal punto di vista produttivo.

Malto

Il processo di maltazione comprende da un punto di vista tecnologico tre fasi principali: macerazione, germinazione e essiccazione. I cicli in successione di macerazione ed aerazione promuovono la nascita del malto ma, sebbene l’essiccazione riduca il numero vitale di microrganismi, a giovare delle condizioni ambientali essenziali per la produzione è anche l’attività microbica, che durante la germinazione può influenzare la qualità della birra a valle.

Dopo l’essiccazione, devono essere mantenute le condizioni di bassa umidità attentamente al fine di evitare il deterioramento microbico, soprattutto perché il malto è lievemente igroscopico e ricco di sostanze nutritive solubili in questa fase. Dopo l’immersione, le cellule microbiche si moltiplicano rapidamente sul grano e nell’acqua libera, stimolate dai nutrienti disciolti, dall’umidità, dal calore e dall’aerazione. In generale, la crescita microbica durante la germinazione dei grani è deleteria per la qualità del malto e gli organismi che risiedono sulla superficie dei semi d’orzo possono competere per l’ossigeno con l’embrione, inibendone la germinazione e diminuendone la crescita delle radici, nonché l’attività alfa-amilasica indispensabile nella fase successiva di ammostamento.

Ammostamento

Durante l’ammostamento (fase in cui il malto viene idratato e portato a temperature ottimali per l’attivazione delle α e β-amilasi saccarificanti), la carica microbica diminuisce drasticamente, ma i microrganismi termotolleranti, in particolare i LAB omofermentanti, rimangono attivi nell’ambiente ricco di nutrienti e ad alto contenuto idrico. La crescita batterica durante l’ammostamento può avere conseguenze benefiche e l’acidificazione del mosto da parte dei batteri lattici può migliorare l’estrazione, la fermentabilità e la resa di azoto del mosto e la stabilità della schiuma, il colore e il sapore della birra.

Non è infatti una novità per quel che concerne gli effetti benefici dell’acidificazione del mosto: di prassi, il pH del mosto nella maggioranza dei birrifici si ottiene mediante aggiunta diretta di acido (solitamente lattico), ma l’acidificazione microbica rimane l’unico mezzo accettabile per l’acidificazione del mosto nei birrifici che aderiscono alla legge tedesca sulla purezza della birra nota come Reinheitsgebot. È altresì noto che la crescita batterica può anche causare seri problemi durante l’ammostamento prolungato: ad esempio, organismi appartenenti al genere Bacillus spp. possono causare un’acidificazione eccessiva formando nitrosammina mediante riduzione del nitrato in nitrito. Inoltre, la potenziale crescita di Clostridium nel mosto può produrre alti livelli di acido butirrico, conferendo alla birra un aroma simile al formaggio.

Bollitura

Dopo l’ammostamento, il prodotto filtrato viene sottoposto a bollitura per un periodo prolungato, producendo in effetti un trattamento termico efficace sul mosto. Tuttavia, quest’ultimo è un terreno ricco di sostanze nutritive e con un pH elevato (5,5), quindi una volta abbandonata la caldaia di bollitura, esso è vulnerabile agli agenti di deterioramento opportunistici se non vengono prese precauzioni appropriate per garantire una fermentazione rapida, che serve a stabilizzare il mosto contro la maggior parte dei contaminanti. Gli alterativi del mosto più diffusi risultano essere gli enterobatteri Gram-negativi, in particolare le specie di Klebsiella, Citrobacter, Enterobacter, Obesumbacterium ed Escherichia.

Nel mosto, questi batteri producono DMS (acronimo con cui è noto il dimetilsolfuro), acidi organici e 2,3-butandiolo in abbondanza, conferendo alla birra uno sgradevole aroma fruttato o vegetale e inibendo la crescita dei Saccharomyces. Gli enterobatteri sono organismi aerobici o anaerobi facoltativi e non sono sensibili agli antimicrobici derivati ​​dal luppolo, quindi possono prosperare nell’ambiente ossigenato ad alto contenuto di zucchero e ad alto pH del mosto, ma sono inibiti dall’etanolo e dal pH basso, quindi in condizioni normali non si trovano nella birra finita. Tuttavia, alcuni enterobatteri, in particolare Obesumbacterium ed Enterobacter sono contaminanti tipici del lievito di birra e ciò costituisce un serio pericolo di inoculazione nella fase fredda di produzione.

Birra

Il mosto raffreddato e ossigenato viene trasferito nei fermentatori, dove vengono inoculati ceppi di Saccharomyces per convertire rapidamente il mosto in birra attraverso la fermentazione di maltosio e altri zuccheri in etanolo e anidride carbonica. Le condizioni risultanti sono ostili alla crescita della maggior parte dei microrganismi: la birra è ricca di etanolo e anidride carbonica, contiene composti antimicrobici derivati ​​dal luppolo e ha un basso contenuto di pH, ossigeno e nutrienti residui. Le rigorose condizioni della fermentazione della birra hanno selezionato gruppi unici di lieviti e batteri specializzati per la crescita nella birra, i quali sono di seguito elencati.

Batteri alterativi al microscopio Microbiologia della birra
Figura 2 – lattobacilli e pediococchi alterativi al microscopio
  • Batteri Gram-positivi: i batteri dell’acido lattico sono prevalenti in natura, associati alla materia vegetale (compresi orzo e malto) e agli esseri umani, tra gli altri ambienti. Pertanto, il loro ingresso nel birrificio è sia frequente che inevitabile e la loro diffusa dispersione in polvere di malto, flussi di aria e attrezzature è assolutamente inevitabile. Fortunatamente, alla maggior parte dei LAB viene impedito di crescere nella birra a causa dell’attività antibatterica dei composti derivati ​​dal luppolo. Tuttavia, quelli che si sono adattati alle condizioni rigorose della birra (vale a dire per lo più tolleranza al luppolo sviluppata) sono i microrganismi che alterano la birra più diffusi dei giorni nostri. Questi includono, L. brevis e P. damnosus e rappresentano probabilmente la più grande minaccia per la birra, essendo i contaminanti più comunemente segnalati delle birre finite. La maggior parte delle specie di LAB mostra alti gradi di tolleranza all’etanolo, ma la tolleranza a questa molecola è conservata all’interno delle specie e la resistenza al luppolo gioca un ruolo più prevalente nel conferire capacità di deterioramento della birra. Pertanto, i LAB coinvolti in altre fermentazioni di alimenti e bevande, come Leuconostoc, Oenococcus, Lactococcus, Streptococcus ed Enterococcus, non sono stati isolati frequentemente dalla birra. I LAB deteriorano la birra attraverso l’acidificazione, la formazione di torbidità e / o la produzione di diacetile, che conferisce alla birra un intenso aroma di burro artificiale. Molti ceppi possono anche produrre esopolisaccaridi (EPS) nella birra, conferendo una consistenza oleosa o, in casi estremi, la formazione di depositi sgraditi. I batteri Pediococcus spp., in particolare, sono noti per la produzione di diacetile ed EPS e, poiché mostrano una forte crescita a basse temperature, sono contaminanti comuni sia dei birrifici lager che di quelli ale. A parte i LAB, nella birra sono stati segnalati pochissimi organismi Gram-positivi. Kocuria kristinae (precedentemente Micrococcus kristinae) è stato segnalato come uno spoiler di birra, ma con basso potenziale a causa della sua sensibilità al luppolo, all’etanolo e al pH. Le Bacillaceae non sono state tradizionalmente considerate capaci di deterioramento della birra, ma quattro specie contenenti il ​​gene horA di resistenza al luppolo – Bacillus cereus, Bacillus licheniformis, Staphylococcus epidermidis e Paenibacillus humicus – sono state isolate da birra alterata prodotta in casa e ha mostrato una crescita quando reinoculata nella birra (prove di adattabilità).
  • Batteri gram-negativi: i batteri dell’acido acetico gram-negativo (AAB) aerobici erano in tempi non recenti una seria minaccia per la produzione di birra, ma la loro attività è oggi trascurabile, poiché l’esposizione all’ossigeno può essere evitata, in ispecie negli impianti che operano in isobarico. In epoche passate, quando la birra veniva invecchiata in botti senza le tecnologie dei moderni birrifici (ad esempio, fermentatori troncoconici in acciaio con spazio di testa controllato), l’AAB era una minaccia più diffusa e si trova ancora comunemente nelle birre invecchiate in botte. Questi AAB includono Acetobacter aceti, Acetobacter pasteurianus e Gluconobacter oxydans, che rovinano la birra attraverso l’ossidazione dell’etanolo in acetato, trasformando efficacemente la birra in aceto. Nuovi contaminanti sono rappresentati da organismi appartenenti alle Veillonellaceae anaerobici obbligati, tra cui Pectinatus, Megasphaera, Selenomonas e Zymophilus. I membri di questa famiglia appartengono al phylum Gram-positivo Firmicutes ma al test di Gram si colorano di rosa-rosso e possiedono un doppio strato lipidico. La maggior parte degli organismi Veillonellaceae si trova nei sedimenti acquatici o negli intestini dei mammiferi, ma quelli sopra menzionati sono stati segnalati solo per la birra, dove causano il deterioramento attraverso la formazione di torbidità, la produzione ingente di acido propionico, acido acetico, idrogeno solforato e mercaptani, con conseguente inibizione del lievito nella crescita e produzione di alcol.
  • Lieviti selvaggi: la principale forma di contaminazione da lievito selvatico nella birra proviene da ceppi indesiderati di Saccharomyces cerevisiae. Questi possono alterare la birra attraverso la produzione di esteri o di sapore fenolico (POF), la formazione di torbidità o sedimenti o con un’attenuazione eccessiva, portando ad una carbonatazione al di sopra degli standard e alla riduzione del corpo. I composti prodotti da questi alterativi conferiscono alla birra un insolito aroma medicinale o speziato di chiodi di garofano e sono atipici per la maggior parte delle birre, sebbene siano considerati un tratto caratteristico delle birre di frumento tedesche e di alcune ale belghe, poiché i lieviti utilizzati in queste birre sono POF positivi. I lieviti Brettanomyces (teleomorph Dekkera), inclusi Brettanomyces bruxellensis, Brettanomyces custersii e Brettanomyces anomalus, sono contaminanti indesiderati nella maggior parte delle birre e di altre bevande alcoliche, sebbene la loro presenza sia spesso incoraggiata in altri tipi di birra (fermentazioni alternative). Questi lieviti rovinano la birra attraverso la produzione dei composti fenolici altamente volatili come 4-etilguaiacolo e 4-etilfenolo, conferendo aroma di sudore e fumo. Un certo numero di altri metaboliti, inclusa un’abbondante produzione di acetato in presenza di ossigeno, produce un’ampia gamma di aromi sgradevoli prodotti da questi lieviti. Nonostante la sua reputazione, Brettanomyces è un componente desiderato di alcune birre, in particolare lambic belga e birre alla frutta, in cui la sua attività beta-glicosidasica esalta l’aroma della frutta. In un’epoca passata, il carattere di Brettanomyces era persino considerato un elemento indispensabile delle vere e proprie birre inglesi di magazzino, e fu descritto per la prima volta per la birra inglese, dando a questo lievito il suo nome (fungo britannico). Un gran numero di altri lieviti non Saccharomyces sono in grado di crescere nella birra, ma il loro potenziale di deterioramento è limitato in condizioni di conservazione ottimali, a causa dei fattori combinati di limitazione dell’ossigeno, tossicità dell’etanolo e competizione con Saccharomyces. Questi includono Pichia anomala, Pichia fermentans, Pichia membranifaciens, Pichia guilliermondii, Candida tropicalis, Candida boidinii, Candida sake e Candida parapsilosis.
Botti di Cantillon
Figura 3 – botti di fermentazione e maturazione della celebre Brasserie Cantillon

Considerazioni finali

Il confezionamento e la distribuzione della birra rappresentano le due maggiori sfide alla stabilità microbica della birra. Durante tutti i precedenti processi di fermentazione, dall’ebollizione del mosto al condizionamento a freddo, il mosto e la birra sono contenuti all’interno di recipienti di acciaio inossidabile senza saldatura e perfettamente pulibili (assumendo che vengano impiegate attrezzature e pratiche igieniche all’avanguardia). Al momento del confezionamento, tuttavia, il prodotto vergine viaggia attraverso superfici complesse nell’attrezzatura di riempimento, viene esposto brevemente all’atmosfera e viene trasferito in piccoli recipienti.

Si possono formare biofilm sulle superfici delle teste e nelle aree di riempimento, aumentando il rischio di contaminazione microbica: in particolare, i fusti rappresentano un rischio particolare, in quanto vengono riutilizzati costantemente, spesso circolano tra birrifici diversi e contengono superfici chiuse e complesse. Un gruppo enormemente diversificato di microrganismi può contribuire alla produzione e alla qualità della birra; per la maggior parte di questi organismi, non è possibile definirli categoricamente come contributi negativi, poiché dipende strettamente dalla birra o dal ruolo che ci si aspetta che l’organismo svolga.

Pertanto, sebbene i batteri dell’acido lattico siano spesso indesiderabili come agenti deterioranti, possono svolgere le funzioni necessarie, come l’acidificazione dei mash secondo le pratiche birrarie germaniche tradizionali o come elementi chiave nella produzione di birre acide. Il pregiato ceppo di birra di un’azienda produttrice di birra rappresenta un lievito selvaggio per un birraio concorrente, dunque solo il raggiungimento di una buona padronanza sui diversi attori microbici costituisce una valida arma per combattere contaminazioni e alterazioni in birrificio.

Fonti

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Francesco Centorrino

Sono Francesco Centorrino e sono il creatore di Microbiologia Italia. Mi sono laureato a Messina in Biologia con il massimo dei voti ed attualmente lavoro come microbiologo in un laboratorio scientifico. Amo scrivere articoli inerenti alla salute, medicina, scienza, nutrizione e tanto altro.

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