Accade quasi sempre così. Si puntano sforzi, ed intelligenza, su un obiettivo, e cammin facendo, si ricevono profferte altre, inaspettate, provvidenziali. Sfaccettature, dell’oggetto tra le proprie mani, illuminate all’improvviso dal raggio di un’idea. Stupore, sollevante soddisfazione, e studi. Molti altri studi, a seguire. Coffea L., meglio, Coffea arabica, è quell’oggetto, ed il suo immenso mercato. La ricerca, che si prodiga nel trovar la quadra su nuove associazioni microbiche, che scongiurino ulteriore inquinamento chimico, dell’ambiente in agonia. E poi, quei consorzi di funghi, come velo sulle foglie delle piante, il micobiota, che intaglia anche profili metabolici unici, delle sue ospiti. Le frontiere della micologia nel biocontrollo sono, dunque, benevolmente aperte, al nostro sguardo.
Coffea arabica, e l’irresistibile bevanda del diavolo
Il caffè, vino d’Arabia, ha origini avvolte in densissima oscurità: pari solo al suo tono atro, di terra impastata di sole. Il nome, Coffea, dell’albero, intanto. Provincia a sud ovest della regione etiopica, Kefa, teatro della leggenda agreste, secondo cui un pastore notò la durevole vivacità, nei capi del suo gregge, che si erano cibati, in pascolo, delle sconosciute bacche. Raccolte, tostate, tritate, e poste in infusione, l’alchemico demiurgo, sorseggiò, per primo, il conturbante estratto.
Dalle terre d’Etiopia, dunque, tra XIII e XIV secolo, campagne militari, pare, condussero coltura e bevanda in Yemen, poi più a nord: costa orientale del Mar Rosso, La Mecca, Medina. Qui, il nome qahwa fissò, definitivamente, la sua caratteristica, di strabiliante rinvigorente. L’intreccio umano, ancora, di culti e credenze, pose il caffè tra le mani porgenti dell’arcangelo Gabriele, in un sogno del profeta Maometto, fiaccato, in quel momento, della sua epica esistenza, da una perniciosa sonnolenza. La nera, sacra, pozione, rimediò il disturbo: chiara opera di Allah. Dopo averla assunta, inoltre, il De saluberrima potione cahue, di Mahre Ibn Nimrûm, assicurò: il «Messaggero di Dio», « disarcionò in battaglia ben quaranta cavalieri e rese felici sul talamo addirittura quaranta donne » .
Spezia della sapienza e della sedizione: il caffè, amore proibito.
Con una ridondanza tipica delle puntellature simboliche di tutte le religioni, il numero quaranta riverbera, innanzitutto, dall’età in cui Maometto fu mosso ad una profonda crisi spirituale, che lo indusse così a viaggi frequenti. Ricercando, in essi, luoghi dell’anima, nei quali ottenere risposte, intime ed universali. Sul Monte Ḥirā, per esempio, egli accolse l’apparizione del detto arcangelo, il quale gli trasmise « la scienza» . Incardinata, certo, sull’unicità del Dio, e che gli valse, poi, nelle sue prime predicazioni pubbliche, la taccia di « invasato dai Jinna » (figura 1).
Il jinn, genio, goblin, fino alla Geènna, tutto dentro un chicco: reso oscuro da mani umane. La bevanda del diavolo, fu l’estratto di Coffea, nei secoli in cui giunse sotto giurisdizione cattolica. Il diavolo, l’ingannatore, l’aveva condotta all’uomo, per il suo ontologico ruolo, scissorio dell’Io: raddoppiandolo, rafforzandolo, eccitandolo, fino alle estreme conseguenze. Tenacia delle membra, agilità della ragione, ficcanza del verbo. Temuto, e proibito alle donne da alcuni sultani, il caffè, venne tuttavia diffuso dall’Impero Ottomano in espansione, che lo sospinse fino alle soglie di Vienna.
La vulgata, riporta il caffè esser giunto in Europa nel 1683, dopo, cioè, il secondo assedio turco della città austriaca. Sconfitti gli ottomani, il loro accampamento restituì, tra vari tesori, anche sacchi di misteriosi chicchi tostati, del tutto sconosciuti. Fu, qui, Franz Koltschitzky (figura 2 ), turco viennese, di origine polacca e poliglotta, a riconoscere in quei chicchi, gli stessi provati nelle caffetterie di Istanbul. Affare facile: come ricompensa per i servigi resi, in ambito di intelligence militare ante litteram, ottenne in dono i sacchi colmi di semi di caffè, dall’imperatore asburgico, e diede vita alla prima bottega in città, in cui inebriarsi di “vino d’Arabia”.
Già nel XVI secolo, tuttavia, sostengono alcuni, i semi di Coffea arabica, erano ben reperibili a Venezia, presso speziali che li vendevano a prezzi stellari, come esotico medicamento.
Mondiale piacere, la cui coltura si veste di funghi: il micobiota
Coffea L., afferente alla famiglia delle Rubiaceae, è un genere che annovera 130 specie, estendendosi dall’Africa tropicale, al Madagascar, ed Isole Mascarene. Ed in questa nutrita schiera, le cultivar predilette dalla produzione di caffè sono Coffea arabica (figura 3) e Coffea canephora. La varietà arabica è endemica di Etiopia, Sudan e nord del Kenya; la canephora, invece, si riscontra in tutta la fascia tropicale dell’Africa. Altre specie come la racemosa, in Africa orientale, e la stenophilla, in Sierra Leone, Liberia, Costa d’Avorio e Guinea, son pur sempre ampiamente coltivate, ma su scala decisamente ridotta. Fa testo, sempre, la salienza economica del prodotto finito. Eppure, queste profumate cenerentole, rifulgono di notevole resistenza naturale, a patologie e stress abiotici.
Ma l’interesse crescente per lo studio dei microrganismi associati alle piante di caffè, affonda i piedi in un terreno variegato, e promettente: da un lato, la scoperta di microbi impiegabili nel biocontrollo, di infezioni e infestazioni; dall’altro, la decifrazione del codice d’influenza, del microbiota sull’ospite, e viceversa. Ermetici, remoti modelli di pervicacia, di quello sconfinato concetto, cui diamo il nome di vita, i funghi, sono oggetto di studio per numerosi gruppi di ricerca. Si sommano, regolarmente, negli anni, dati che ne colgono i diversi generi, su foglie di Coffea arabica.
Caffeina ed acido clorogenico: effetti sul micobiota di Coffea arabica. Lo studio
In quest’ultimo lavoro, i ricercatori, guidati da L. P. de Sousa, confrontano il micobiota fogliare della coltura arabica, con quello di racemosa e stenophylla. Piante di caffè adulte, sono state fornite dalla banca del germoplasma dell’Instituto Agronômico de Campinas, di San Paolo del Brasile. I campioni, prelevati lo scorso luglio, al fine di contenere, nella stagione secca, i livelli di umidità entro il 20%. Banale ma efficace interferente, il dilavamento della fillosfera, da parte dell’umidità atmosferica. Gli esemplari protagonisti delle prove sperimentali sono:
- Coffea arabica cv Catuaí Vermelho IAC 81,
- C. stenophylla IAC 1090,
- C. racemosa IAC 1193-3-2.
Allestimenti e prelievi preliminari: foglie, e funghi del micobiota
Le loro foglie, raccolte da tre esemplari di ogni cultivar: foglie di seconda generazione, ad 1.2 m dal suolo, e provenienti da rami differenti, senza, inoltre, alcun guasto da parassiti. La raccolta, naturalmente, condotta in sterilità: guanti e idonee buste; subito prima delle successive analisi.
Le cellule fungine, prelevate, invece, dalla superficie fogliare delle specie di Coffea: tamponi dalla punta in cotone sterile, inumidita da soluzione di NaCl 0.9%. Quindi, estrazione del DNA, a mezzo biglie magnetiche (MagMax® ThermoFisher Scientific, Waltham, MA, USA), e riconoscimento delle sequenze geniche ottenute, mediante analisi ad alta risoluzione delle regioni ITS1. Le risposte nucleotidiche migliori, ovvero le sequenze di alta qualità (superiori a 200 bp di lunghezza, score oltre 25, secondo i parametri QIIME), correlate a modelli di popolazioni microbiche, detti OTUs, con una identità pari al 97%.
Differenze di abbondanza dei gruppi tassonomici, i ricercatori, le hanno ottenute su grafici NMDS, e grazie all’indice di Bray-Curtis. Per verificare, inoltre, correlazioni tra reciproche, accoppiate, larghezze dei generi di funghi, il coefficiente di Spearman, si è rivelato, come sempre, fondamentale. Tuttavia, la rilevazione quantitativa ha richiesto Real Time- PCR, in grado di restituire la profusione totale di funghi, sui campioni fogliari. I prodotti genici ottenuti, ed ascrivibili al DNA da colture pure di Trichoderma harzianum, hanno subìto, clonaggio in plasmide (pGEM-T), per assurgere poi a standard. Il tutto, in triplicato.
Dosaggio dei metaboliti di Coffea arabica, racemosa e stenophylla: correlazione con le popolazioni di funghi
Prima di fornire matrice di estrazione genomica, le foglie di Coffea hanno subìto disidratazione ad 80°C, e polverizzazione, con mortaio e pestello, per rispettare l’integrità chimicofisica dell’intimo profilo biochimico, delle piante. L’estrazione di caffeina ed acido clorogenico, dunque, i ricercatori l’hanno conseguita, mediante opportune soluzioni di metanolo 80% (a 60°C), ed etanolo 70% (a 50°C), rispettivamente. A tale tappa sperimentale, è poi seguita l’analisi con HPLC. Fase mobile, di eluizione, per entrambi gli estratti, una miscela di acetonitrile ed H3PO4 0.2 M (in rapporto 11 : 89 v/v). Filtrazione di calibro 0.20 μm, corsa totale da 15 minuti, a 50°C. E, gli estratti, valutati tra 190 e 400 nm.
Micobiota: i generi fungini, che potranno preservare Coffea in tazzina, ed ambiente
La popolazione micobiotica, così, risulta altamente variabile, e statisticamente dissimile, tra una specie di Coffea e l’altra. Tuttavia, Coffea stenophylla si aggiudica la palma della più affollata, con larghe popolazioni di funghi, rispetto a quelle che si riscontrano su Coffea arabica. I phyla fungini sono Ascomycota e Basidiomycota, con classi dominanti:
- Dothideomycetes,
- Wallemiomycetes,
- Tremellomycetes;
emerge, inoltre, un core fungino del micobiota composto da:
- Hannaella,
- Cryptococcus,
- Erythrobasidium,
- Cladosporium,
- Alterna.
Selvatico batte coltivato: i funghi, asso nella manica delle Coffea “minori”
Coffea racemosa e Coffea stenophylla, hanno espresso un più alto numero di funghi specie-specifici: 13 generi in racemosa, 17 generi in stenophylla; a confronto, Coffea arabica, ne porta solo 2: Phoma e Lectera.
Tuttavia, l’analisi con HPLC ha rilevato la preminenza della specie arabica, quanto a contenuto di caffeina ed acido clorogenico, metaboliti preziosi, rispetto alle altre due specie minori. Caffeina ed acido clorogenico, hanno, si sa, ruolo protettivo e competitivo, secondo diversi studi che riconoscono loro, anche:
- di favorire, la caffeina, il parassitismo antipatogeno di Trichoderma nel suolo,
- ed inibire, l’acido clorogenico, la germinazione di spore, e crescita di miceli di Sclerotinia sclerotiorum, Fusarium solani, Verticillium dahliae, Botrytis cinerea e Cercospora sojina.
Se ne deduce, quindi, una selezione micotica, operata dagli stessi metaboliti, i quali, dai funghi persistenti, sulle foglie di Coffea, sono non solo tollerati, ma addirittura sfruttati, da vere e proprie fonti di azoto e carbonio. Il dato certo, che incorona la specie Coffea arabica, quale suprema produttrice di caffeina (in concentrazione 35 volte superiore alle specie cadette), proviene tuttavia dalla semplice eredità della congenere C. canephora. Tale alto profilo biochimico, incide però su quello microbiologico, pur soccorrendo nelle evenienze patogene, con mezzi biochimici propri; piuttosto che giovarsi delle doti dei funghi. E, marciando con tale principio, i ricercatori hanno riscontrato coerente controprova, sotto forma di micobiota più ricco nelle specie di Coffea, che, come detto, producono quote di metaboliti secondari inferiori.
Domesticazione e speciazione: seconda chiave di lettura
La contenuta rappresentanza di funghi, nel micobiota di Coffea arabica, può anche leggersi come frutto della domesticazione, e recente speciazione, inferenti, entrambe, un sensibile abbattimento della diversità microbica, in confronto alle specie selvatiche. Con quale incisività funzionale, tali due fattori agronomici differenziali, alterino il volto del micobiota, non è ancora noto; si richiedono passi sperimentali ulteriori, nella stessa direzione.
Resta, pur sempre, la nuova cognizione, che va prendendo sostanza e credito, ogni giorno di più, per la quale i funghi siano, sulle nostre contingenti esigenze produttive, dei solerti δαίμονες. I diavoli, invece, sono tutti nel caffè.