Trichoderma reesei: sinergia tra ricerca di base ed applicazione tecnologica

Durante la Seconda Guerra Mondiale, i soldati americani d’istanza presso le Isole Salomone indossavano delle comode divise cucite principalmente in fibra di cotone. Ben presto tuttavia si accorsero che su di esse cresceva facilmente, grazie anche al clima di quella zona, una sorta di sottile muffa filamentosa, che ne degradava il tessuto e sembrava anzi quasi nutrirsene: avevano appena fatto conoscenza con Trichoderma reesei.

Caratteristiche di Trichoderma reesei

Chiamato anche col nome comune di Fungo del marciume del legno, T. reesei (Fig.1) è stato classificato come un membro del gruppo degli Ascomiceti, cioè di quei funghi che si riproducono formando una caratteristica struttura a forma di clava o sacco (chiamata:”asco”) entro la quale si accumulano più spore.

E’ inoltre un fungo dimorfo: può esistere sia in forma di singola cellula (per lo più in condizione di scarsi nutrienti ) che come micelio (quando i nutrienti sono abbondanti e le condizioni ambientali sono ottimali per la sua crescita).

In quest’ultimo caso si presenta come una serie di cellule contigue lunghe, filiformi e ramificate ( le ife) che si strutturano in un ammasso intricato simile ad un tessuto vero e proprio (chiamato appunto “Micelio”).(Fig.1)

Il micelio può inoltre crescere fino ad arrivare alle dimensioni di un vero e proprio corpo vegetativo, il cosiddetto tallo. 

Trichoderma reesei - ife
Figura 1 – Particolare delle ife filamentose di Trichoderma reesei osservate al microscopio elettronico a scansione

T. reesei è un mesofilo: la crescita ottimale si ha a temperature moderate, tipicamente comprese tra 20 e 45 gradi Celsius e predilige inoltre gli ambienti umidi.(Fig.2)

Trichoderma reesei in piastra
Figura 2 – Coltura di T.reesei realizzata in piastra agarizzata

Fa parte della naturale microflora del suolo, specie in quei terreni in cui abbondano residui di corteccia, resti di alberi morti e materiale in decomposizione in generale. E’ comunque potenzialmente ubiquitario, essendo stato isolato anche da corsi d’acqua dolce e dall’aria stessa.

Il ruolo ecologico dei funghi

I funghi nel terreno hanno un ruolo ecologico molto importante. Essi sono infatti eterotrofi e per lo più saprofiti: si assicurano cioè il nutrimento a partire dalla materia organica morta e sono perciò decompositori naturali. Producono e secernono infatti nell’ambiente esterno particolari enzimi capaci di degradare materiali organici complessi. Questi ultimi, altrimenti quasi sempre insolubili, sono così trasformati in molecole organiche più semplici, piccole e solubili che utilizzano poi appunto come nutrienti. Nel fare questo, inoltre, liberano anche eventuali elementi inorganici (come l’azoto) che dei composti originari facevano parte.

Attraverso questo processo carbonio, azoto, fosforo ed altri costituenti fondamentali vengono resi nuovamente disponibili come nutrienti anche per altri organismi e microrganismi. Possono così rientrare nei cicli della materia.

I funghi hanno perciò sviluppato, nel corso dell’evoluzione, un corredo genetico che comprende numerosi e diversi enzimi specifici che sono di alto interesse applicativo dal punto di vista industriale per il loro potenziale impiego nello smaltimento e nella degradazioni di materiali altrimenti difficili da trattare.

La decomposizione della cellulosa

Gli studi di caratterizzazione ecologica di T. reesei, all’inizio considerato nient’altro che una semplice curiosità d’interesse tassonomico, hanno rivelato ben presto che esso è in realtà un ottimo decompositore della cellulosa, il maggior componente della biomassa delle piante. Infatti, questo fungo ha la sua capacità di produrre in alte quantità due particolari classi d’enzimi: le cellulasi e le emicellulasi. (Fig.3)

cellulosa
Figura 3 – Tipo di legame chimico esistente tra due molecole di glucosio nella cellulosa

La cellulosa è un polimero, cioè una lunga macromolecola formata dal susseguirsi di gruppi di molecole più piccole (dette monomeri) uguali o diverse tra loro in ripetizione ed unite secondo un particolare legame chimico.

La cellulosa in particolare è formata da un gran numero di singole molecole di glucosio (in genere dalle 300 alle 3000 unità) articolate a formare lunghe catene. Ogni molecola di glucosio è unita all’altra da un tipo di legame chimico detto legame Beta (1,4 ) glicosidico.

Essa è il costituente della parete cellulare, la struttura che racchiude la membrana plasmatica delle singole cellule vegetali.

Senza entrare nei dettagli del meccanismo biochimico, ai fini del discorso basti sapere che T. reesei è capace di scindere (idrolizzare) tale legame e liberare cosi’ le singole unità di glucosio della cellulosa proprio grazie ai suoi speciali enzimi.

Utilizzo nelle biotecnologie

In seguito alla scoperta di questa sua capacità, Trichoderma reesei è diventato in brevissimo tempo oggetto d’interesse del settore tecnologico ed è uscito dall’ambito strettamente accademico per approdare nel fervente mondo dell’industria. Di particolare interesse è stato in particolare in quella dei biocarburanti: essa sfrutta proprio la biomassa vegetale di scarto come materiale di partenza per ricavare, in seguito anche ad ulteriori trasformazioni, prodotti finali ad uso energetico quali ad esempio di bioetanolo.

Nonostante esistano specie fungine (e non solo) che producono enzimi cellulasici anche migliori di T. reesei, esso possiede alcune caratteristiche che l’hanno trasformato in breve tempo nel paradigma e modello di studio più utilizzato in questo settore particolare dell’industria. Infatti, questo fungo è facilmente coltivabile, produce le sue cellulasi già naturalmente in quantità considerevoli e rilevabili e secerne tali enzimi all’esterno della cellula.

Come spesso accade, tutto questo è stato uno stimolo che ha spinto ad approfondire ulteriormente le conoscenze di base di T. reesei. Ciò ha portato al sequenziamento completo del suo genoma ed è stato rilevato che i geni che codificano per le cellulasi non sono distribuiti casualmente in esso. Infatti, sono raggruppati in cluster ben definiti e conservati anche nell’ambito di altre specie diverse che li possiedono, quali Neurospora crassa e Fusarium graminearum.

Allo stesso modo, i geni che codificano per le proteine coinvolte nella secrezione degli enzimi risultano essere omologhi di geni aventi la stessa funzione secretoria ( ma per proteine ed enzimi diversi) in molti lieviti.

La riproduzione di Trichoderma reesei: una sinergia fra studi di micologia e utilizzo industriale

L’aspetto forse più interessante di come gli studi di micologia di base su T. reesei abbiano aiutato ad ottimizzare sempre di più nel corso degli anni il suo utilizzo a livello industriale riguarda però i suoi meccanismi di riproduzione.

In seguito infatti all’avvento delle metodiche delle biotecnologie, i microrganismi utilizzati per le produzioni industriali sono stati quasi tutti ingegnerizzati. In particolare, tramite il clonaggio in essi di geni per lo più eterologhi (provenienti da altre specie) che potenziassero opportunatamente il loro metabolismo e la loro biochimica. Per ottenere un ceppo realmente utilizzabile è però necessario non solo che esso sintetizzi il prodotto desiderato e nella giusta quantità, ma anche, tra gli altri requisiti, che le sue caratteristiche genetiche che lo rendono idoneo siano stabili. Cioè, che esse si conservino intatte attraverso le varie generazioni cellulari che si susseguono.

Questo può non essere semplice per i funghi, che possono riprodursi in vari modi diversi e sia per via asessuata (ad esempio per semplicedivisione cellulare) che sessuata (e possono cosi’ andare incontro a ricombinazione dei caratteri genetici). Occorre pertanto avere una piena conoscenza dei loro meccanismi riproduttivi.

All’alba della sua scoperta T. reesei fu scambiato per una specie diversa: Trichoderma viride. Questa appartiene comunque sempre al genere Trichoderma, ma è un anamorfo (cioè una forma di riproduzione che avviene tramite spore asessuate) dell’allora già noto Hypocrea rufa.

Fu solo alcuni anni dopo, nel 1976, che Elwyn T. Reese riusci’ ad isolarlo e studiarlo approfonditamente, identificandolo come una diversa specie a parte vera e propria e che non c’entrava affatto con Trichoderma viride. Esso fu perciò in rinominato ”Reesei” proprio in onore di Elwyn T. Reese.

La Micologia è una scienza complessa ed in continuo divenire: la classificazione dei funghi in particolare, che fino a tempi abbastanza recenti si basava soprattutto su attente analisi morfologiche fenotipiche comparate delle strutture fungine, oggi si può avvalere delle più recenti scoperte della genetica molecolare basate sul sequenziamento del DNA e sugli studi della filogenesi evolutiva che da esso derivano. Grazie a queste, T. reesei si è rivelato essere sì un anamorfo ma in realtà di Hypocrea jecorina.

Tuttavia, per ragioni storiche e pratiche esso è ancora chiamato in letteratura e dalla maggioranza della comunità scientifica col nome che gli attribui’ Elwyn T. Reese.

Nonostante tali studi, per lungo tempo si è però continuato a pensare che T. reesei si riproducesse esclusivamente per via asessuata.

Dalla ricerca micologica di base, una svolta per le biotecnologie

Una relativamente recente ricerca del 2009 ad opera di V. Seidl, C. Seibel ed altri scienziati dell’Università di Vienna ha invece posto le basi per rivedere completamente queste conoscenze che si davano ormai per consolidate. Infatti, ha mostrato che T. reesei sarebbe capace anche di riproduzione sessuata, secondo un meccanismo di mating type simile a quello riscontrato nei lieviti (in base al quale la presenza di una delle due diverse forme alleliche del gene MAT nel proprio genoma determina il genere sessuale) e che dà origine alla presenza di veri e propri eterotalli sessualmente diversamente caratterizzati. Andrebbe perciò riformulato l’intero paradigma che vorrebbe T. reesei un semplice anamorfo di Hypocrea Jecorina. Bisognerebbe, piuttosto, parlare di forme sessualmente diverse di un unico fungo che può in ogni caso, a prescindere dalla forma stessa, decidere se riprodursi per via asessuata oppure sessuata.

Grazie ai risultati di queste scoperte, che potrebbero sembrare a prima vista più semplici curiosità accademiche che portatori di esiti applicativi veri e propri, in questi ultimi anni si è invece messa a punto una serie di metodiche che hanno potenziato l’uso delle biotecnologie per il miglioramento dei ceppi di T.reesei d’interesse industriale, dimostrando una volta di più come la ricerca di base possa avere un ruolo spesso decisivo anche in ambito tecnologico…persino quando coinvolge un campo così specialistico (e tutto sommato di nicchia) come potrebbe apparire la micologia.

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Francesco Centorrino

Sono Francesco Centorrino e sono il creatore di Microbiologia Italia. Mi sono laureato a Messina in Biologia con il massimo dei voti ed attualmente lavoro come microbiologo in un laboratorio scientifico. Amo scrivere articoli inerenti alla salute, medicina, scienza, nutrizione e tanto altro.

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