Probiotico Escherichia coli Nissle

Escherichia coli Nissle vs E.coli enteropatogena

Iniziamo a narrare questa battaglia, descrivendo i due attori; il probiotico Escherichia coli Nissle e E.coli enteropatogena.

In modo analogo allo scontro fra Davide e Golia, le due specie batteriche si sfidano e combattono, ma in questo caso la “Arena di battaglia” è rappresentata dalla nicchia ecologica del tratto gastrointestinale.

L’Escherichia coli enteropatogeno (EPEC) causa frequentemente diarrea acuta negli animali e nell’uomo. L’infezione da EPEC colpisce soprattutto suini svezzati, arrecando ingenti danni agli allevatori.

Recenti studi, hanno evidenziato una stretta relazione tra gli isolati EPEC umani e quelli animali, suggerendo un possibile potenziale zoonotico dei ceppi EPEC animali che potrebbero fungere da serbatoio per le infezioni umane.

La persistenza del patogeno nel gastro tratto intestinale, è dovuta e l’espressione di geni per pilli che si organizzano in fasci.

Da l’altra parte il ceppo non patogeno di E. coli Nissle 1917 (EcN) è un microorganismo ampiamente utilizzato con un promettente probiotico nell’uomo e negli animali, dato che è impiegato nel trattamento della diarrea acuta, cronica o ricorrente e delle malattie infiammatorie intestinali.

Effetti di EnN sull’adesione di EPEC

Utilizzando la microscopia confocale, si è visto che il probiotico EcN, riduceva le micro-colonie del patogeno EPEC, inibendone l’aderenza e la crescita; ma non previene le lesioni a l’epitelio intestinale.

Andamento crescita E. coli enetropatogena a contatto col probiotico Escherichia coli Nissle
Figura-1-Andamento crescita E. coli enetropatogena a contatto col probiotico Escherichia coli Nissle
[Fonte:https://journals.asm.org/doi/full/10.1128/iai.01431-13]

Effetto inibitorio delle fimbrie e flagelli del probiotico Escherichia coli Nissle

Le capacità aderenti del probiotico Escherichia coli Nissle , sono garantite dalle fimbrie FiC1, tale teoria è stata confermata ottenendo ceppi deleti per il gene responsabile dell’espressione delle fimbrie.

E’ stato oltre dimostrato che le fimbrie FiC1 svolgono un ruolo importante nella formazione del biofilm EcN, nell’adesione alle cellule epiteliali intestinali in vitro e nella colonizzazione intestinale oltre che avere effetto probiotico contro l’invasione della Salmonella.

La microscopia elettronica a scansione e ad epifluorescenza ha mostrato che EcN formava una rete filamentosa, costituita da flagelli in monostrato, sulle cellule dell’epitelio intestinale.

L’aggancio flagellare, è promosso durante il processo di adesione e crescita dei batteri, sulle cellule intestinali.

La lunghezza e il numero dei flagelli aumentavano con l’aumentare dei tempi di incubazione.

Creando dei ceppi deleti per il gene fliA (codificante il fattore sigma flagellare 28), si è visto una riduzione dell’adesione del 50%, con conseguente inefficacia del probiotico ad inibire E. coli enteropatogena.

Dalle affermazioni fatte pocanzi, possiamo dedurre che i componenti fimbiariali espressi da EcN possono essere dei potenziali ligandi per le cellule ospiti. Così facendo il probiotico va a competere con il ceppo patogeno creando uno strato protettivo sulla mucosa intestinale impedendone l’adesione.

Conclusioni

Possiamo concludere col dire che numerosi studi hanno indicato che l’EcN è efficace contro una serie di batteri patogeni che possiedono numerose strategie di infezione diverse con i più disparati meccanismi per aderire alle cellule ospiti.

In questo caso come abbiamo brevemente osservato che Escherichia coli Nissle, svolge un attività di “competior” aderendo meglio alle pareti intestinali, redentosi così elettivo in questa particolare “nicchia ecologica”.

Guardando con un occhio al futuro possiamo vedere la varie applicazione di questo probiotico, interessato nel miglioramento della salute degli animali allevati in zootecnina (e non solo) garantendo una maggior sicurezza alimentare, dato che si evita il passaggio di molti patogeni zoonotici.

Oltretutto utilizzare probiotici come strategia preventiva, riduce fortemente l’uso di antibiotici in zootecnia, evitando quindi eventuali comparse di resistenze.

Fonti:

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Giampiero Federici

Attuale studente di biotecnologie, presso il dipartimento di: Scienze Chimiche, della Vita e della Sostenibilità Ambientale (Università degli studi di Parma)

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