Varroa destructor

Caratteristiche

Se chiedete ad un apicoltore quale sia la malattia delle api maggiormente temuta, siamo certi che vi risponderà la varroasi. Questo perché Varroa destructor, l’acaro parassita agente della malattia, è la causa di ingenti perdite di colonie di api non solo in Europa, ma anche nel resto del mondo. La sua diffusione avvenuta tra il 1950 e il 1990 ha avuto un notevole impatto negativo sulla gestione e redditività dell’apicoltura. Dal suo ospite originario, l’ape asiatica (Apis cerana), la varroa si è spostata anche sull’ape europea (Apis mellifera), specie diffusa in gran parte del mondo per l’impollinazione e la produzione di miele e altri prodotti.

Figura 1: Varroa destructor su ape adulta [photo: www.flickr.com].
Figura 1: Varroa destructor su ape adulta [photo: www.flickr.com].

I principali fattori che contribuiscono a rendere l’attacco di Varroa destructor così preoccupante per le api mellifere sono da ricercarsi nell’alimentazione di varroa a spese delle api mature e della covata, la presenza quasi ubiquitaria di varroa nelle arnie, e il fatto che varroa rappresenta un vettore per 5 virus e, potenzialmente, per ulteriori 13 virus.

Filogenesi di Varroa destructor

PhylumArthropoda
SubphylumChelicerata
ClasseAracnida
SottoclasseAcari
OrdineParassitiformi
SottordineMesostigmata
FamigliaVarroidae
GenereVarroa
SpecieVarroa destructor
Tabella 1: Tassonomia di Varroa destructor.

Morfologia di Varroa desctructor

La varroa è un acaro parassita di dimensioni millimetriche, caratterizzata da un marcato dimorfismo sessuale che consente di distinguere i maschi e le femmine al microscopio ottico.

Morfologia della femmina

La femmina di varroa presenta una forma ellittica, lunga circa 1 mm e larga 1,5 – 1,6 mm. La porzione dorsale del corpo è formata da placche brunastre. Queste sono ricoperte di setole e sono articolate tra loro. È molto veloce nei movimenti, ed è dotata di 4 paia di zampe, distinguibili come segue:

  • 3 paia adibite al movimento;
  • 1 paio, posizionate anteriormente, in cui risiedono gli organi di senso.
Figura 2: Individuo adulto di Varroa destructor. Si notino le zampe: il primo paio, posto anteriormente, è la sede degli organi di senso; le altre tre paia servono per il movimento [photo: www.flickr.com].
Figura 2: Individuo adulto di Varroa destructor. Si notino le zampe: il primo paio, posto anteriormente, è la sede degli organi di senso; le altre tre paia servono per il movimento [photo: www.flickr.com].

Lo gnatosoma (apparato boccale degli acari) della femmina è dotato di cheliceri (stiletti salivari) con cui forano la cuticola delle larve e delle pupe e la membrana intersegmentale delle api adulte. Questi stiletti sono ben sviluppati e servono per mescolare il fluido salivare con il tessuto ospite interno. Il tratto intestinale ha una struttura semplice, simile a un tubo, ed è priva di attività enzimatica nell’intestino medio. Tale struttura indica che questo acaro ha un’alimentazione costituita da tessuto semisolido al contrario di quanto si crede, poiché mancano gli adattamenti necessari per un’alimentazione a base di emolinfa. Infatti, Varroa destructor è filogeneticamente correlata a molti acari predatori e parassiti che si alimentano mediante digestione extra-orale, e perciò possono cibarsi di tessuti semisolidi vicino al proprio punto di attacco all’ospite.

In particolare, la varroa sfrutta il grasso corporeo delle api per il proprio sostentamento, e non emolinfa come molti credono. Infatti, la sua struttura non è paragonabile a quella di un acaro ad alimentazione fluida diluita, poiché necessiterebbe di una riduzione del contenuto di sclerotina nel corpo per consentire al parassita di allungarsi per accogliere un grande volume di alimento liquido. Oltre a questo, richiederebbe una ristrutturazione del sistema digerente con una camera filtrante necessaria per una dieta ricca in acqua e povera in nutrienti.

Varroa presenta una vita media di circa 3 mesi, tempo in cui possono avvenire fino a tre accoppiamenti.

Morfologia del maschio

Il maschio di varroa si distingue visivamente dalla femmina per la sua forma sferica, le dimensioni più piccole e la colorazione bianco perlacea della cuticola. Non può nutrirsi in quanto i suoi cheliceri sono trasformati in organi copulatori. Inoltre, rispetto alla femmina ha un corpo molle ed è molto lento; ha una vita più breve, che trascorre all’interno delle celle.

Aspetti genetici

Varroa destructor è un acaro geneticamente labile, con numerosi fenomeni di ibridazione e dispersione. In particolare, questo parassita è passato con successo da Apis cerana a Apis mellifera almeno due volte, determinando discendenze identificate come ceppi giapponesi e coreani. Tra questi, il ceppo coreano appare quello più diffuso, in quanto si è spinto in Asia, Europa, America e Nuova Zelanda. Al contrario, la diffusione del ceppo giapponese è stata riscontrata a basse frequenze, ad indicare un minore successo riproduttivo per gli individui di questo ceppo. Non è nota l’entità della “mescolanza” tra questi ceppi. Ricerche sperimentali hanno mostrato che il parassita varroa ha una ridotta diversità genetica per questa specie invasiva di così rapida diffusione. Nonostante ciò, le sequenze nucleotidiche mostrano differenze tra i ceppi.

Patogenesi

Generalmente, Varroa destructor ha due principali ospiti: quello naturale e originario, Apis cerana, e il nuovo ospite Apis mellifera, acquisito dopo che le colonie dell’ape sono state trasportate in Asia nordorientale. Le colonie di Apis cerana non subiscono particolarmente gli attacchi di varroa, in quanto nel tempo tra ape e acaro si è stabilita una relazione ospite-parassita su lunga scala evolutiva. Situazione diversa per Apis mellifera, che non possiede meccanismi di difesa come quelli dell’ape asiatica, in grado di limitare lo sviluppo della popolazione del parassita. Per questo motivo, in una popolazione di Apis mellifera varroa è in grado di massimizzare le sue capacità produttive determinando una crescita esponenziale del numero di acari fino a raggiungere livelli letali per la specie ospite.

Il ciclo vitale di varroa è costituito da due distinte fasi, che avvengono in diversi stadi di vita dell’ospite:

  • Fase foretica, in cui il parassita attacca l’ape adulta, sfruttandola principalmente per il trasporto;
  • Fase riproduttiva, in cui l’acaro invade la covata. In questa fase varroa è completamente dipendente dalle api, in quanto il ciclo riproduttivo è sincronizzato per effettuare lo sviluppo della pupa all’interno delle celle di covata.
Figura 3: Ciclo vitale di Varroa destructor [photo: Cecilia Panzetti].
Figura 3: Ciclo vitale di Varroa destructor [photo: Cecilia Panzetti].

Fase foretica

La fase foretica vede come protagonista l’acaro femmina, che entra in contatto con l’ape adulta durante l’impollinazione e la utilizza come fonte di cibo e vettore per spostarsi verso le celle di covata e diffondersi all’interno della colonia. Per questo motivo gli acari si troveranno soprattutto sulle api nutrici. Varroa rimane ancorata ad un’ape adulta da 1 a 13 giorni (con una media di 7 giorni). Per alimentarsi in questo periodo effettua una ferita intersegmentale con il proprio gnatosoma per arrivare alle cellule adipose dell’ape. Quest’area mostrerà quindi una degradazione compatibile con una digestione extra-orale. Inoltre, in prossimità della ferita si può riscontrare la presenza di batteri.

Fase riproduttiva

La fase riproduttiva ha inizio nel momento in cui varroa entra in una cella di covata non sigillata, in cui una larva di ape al quinto stadio sta attraversando il periodo di metamorfosi. Qui l’acaro depone le uova, da cui derivano individui che si nutriranno del tessuto adiposo della larva.

È stato osservato che un acaro femmina vergine può invadere una cella di covata, deporre un uovo non fecondato e accoppiarsi con la sua prole maschile. Ciò testimonia il fatto che una femmina di questo acaro non necessita di accoppiamento per deporre uova, ma può adottare la partenogenesi.

L’acaro madre depone le uova femminili una volta ogni 30 ore. Per sopravvivere, le figlie devono arrivare alla fase adulta quando l’ospite termina la metamorfosi ed emerge dalla cella. A differenza di Apis cerana, Apis mellifera richiede un giorno in più per completare lo sviluppo ed emergere dalla cella, periodo che consente a più acari femminili di raggiungere la maturità. Nonostante ciò, A. mellifera capensis e A. mellifera scutellata, due sottospecie originarie dell’Africa occidentale, richiedono tempi di sviluppo più brevi rispetto alla sottospecie europea (A. mellifera carnica), ottenendo così una maggior resistenza al parassita.

L’associazione varroa – virus

Varroa è un efficiente vettore di virus delle api, che in assenza dell’acaro persisterebbero nelle colonie sottoforma di infezioni nascoste. Vista la natura opportunistica di questi virus, la crescita esponenziale della popolazione di varroa determina il diffondersi di epidemie che possono determinare la moria della colonia di api in 2 o 3 anni.

Pur essendo associato a diversi virus, varroa è stato descritto come vettore di due particolari ceppi: il Deformed Wing Virus (DWV) e Acute Bee Paralysis Virus (ABPV). Il vettore varroa consente ai virus efficaci vie di trasmissione di tipo orizzontale. Inoltre, nuove varianti e specie virali sono state descritte, come VDV-5, VDV-3 e VDV-2 che possono replicarsi nell’acaro e non nell’ape.

Identificazione

Quali sono le caratteristiche che consentono all’apicoltore di riconoscere la presenza di varroa nelle arnie?

  • Covata irregolare, con larve liquefatte nella celletta e colorazione bruna;
  • Riduzione del numero di api adulte;
  • Difficoltà delle api nel volo;
  • Sostituzione della regina;
  • Abbandono dell’arnia;

Questi sintomi si possono notare soprattutto in tarda estate. A prima vista, si possono notare gli acari sul corpo degli adulti (capo, torace, addome) e delle larve nelle celle.

Metodi di controllo

L’acaro ectoparassita Varroa destructor può essere definito come la minaccia patologica più importante per Apis mellifera, tanto da portare alla moria delle colonie se non trattata. Preoccupanti osservazioni sono state fatte in merito all’aumento della resistenza agli acaricidi da parte del parassita, e all’abbassamento delle soglie di trattamento. Questo testimonia che acari e i virus di cui sono vettore stanno diventando più virulenti, e la loro diffusione verso famiglie sane è facilitata dalle colonie infestate.

Al giorno d’oggi le famiglie di ape europea allevate dipendono dai trattamenti effettuati dagli apicoltori per il controllo dell’acaro. Si tratta, però, di trattamenti che possono lasciare residui nei prodotti e per cui gli individui di varroa possono sviluppare resistenza in tempi brevi. Inoltre, questi trattamenti riducono la possibilità di un processo coevolutivo tra ospite e parassita, che potrebbe portare ad una situazione di stabilità.

Selezione

Un approccio alternativo ai trattamenti consiste nel selezionare nelle api i tratti ereditari di resistenza o tolleranza a varroa. Questo può essere effettuato mediante programmi di allevamento o selezione di colonie non trattate, ovvero in grado di sopravvivere naturalmente al parassita, un processo che si basa su comportamenti geneticamente difficili da fenotipizzare. La selezione naturale ha contribuito a produrre popolazioni di api in Europa, Nord e Sud America e in Africa in grado di sopravvivere a varroa senza trattamenti. I meccanismi che hanno consentito ciò non sono tutti conosciuti e variano tra le diverse popolazioni di api nonostante abbiano subito simili pressioni selettive.

La più grande popolazione di Apis mellifera in grado di sopravvivere naturalmente agli attacchi del parassita sono le api africanizzate in Sud America, America centrale e Stati Uniti meridionali. Le popolazioni resistenti a varroa possono però non essere adatte all’apicoltura commerciale su larga scala, per via di caratteristiche indesiderabili come la sciamatura frequente e una bassa produttività. Sono comunque da ritenere importanti per via della diversità genetica.

Un approccio rischioso chiamato Bond Test è stato sviluppato in Francia e in Svezia con successo, e consiste nel non trattare e selezionare gli individui sopravvissuti per la riproduzione. Le colonie hanno così sviluppato una resistenza naturale o una tolleranza all’acaro, e non è stato necessario alcun intervento dell’uomo.

Recenti studi hanno ribadito l’importanza dei comportamenti mostrati dalle popolazioni resistenti al parassita. Tra questi, il comportamento igienico mirato alle cellule di covata infestate da varroa (VSH) è ritenuto uno dei principali metodi che contribuiscono a diminuire lo sviluppo della popolazione di acari nell’arnia. Oltre a questo, meccanismi riconosciuti come importanti per la resistenza sono grooming e ricapitolazione. La sciamatura può migliorare la resistenza nelle popolazioni che si trovano in natura. Riguardo la covata, i tratti utili sono da ricercarsi nell’ipersensibilità della covata: questa porta alla morte accelerata e ad una più rapida velocità di rimozione delle larve parassitate per impedire la diffusione e riproduzione dell’acaro. Tali tratti contribuiscono a diminuire la crescita di popolazione di varroa e consentono all’apicoltore di selezionare le colonie basandosi sui caratteri di resistenza.

Controllo chimico

I trattamenti possono essere effettuati con composti di sintesi o di origine organica. Tra i prodotti di sintesi è disponibile un numero limitato di molecole, come piretroidi fluvalinato e flumetrina, la formamidina, etc. I prodotti acaricidi agiscono però solo sugli individui presenti sulle api adulte, un limite dovuto al fatto che i prodotti non possono arrivare ai soggetti presenti nelle celle opercolate (coperte). La soluzione consiste in strisce su cui si trova il prodotto che rilasciano il composto nel lungo periodo, agendo anche sugli acari che emergono dalle celle di covata. Nonostante ciò, l’acaro sviluppa in breve tempo la resistenza mediante mutazioni genetiche. Inoltre, tali prodotti possono accumularsi sottoforma di residui nei prodotti delle api.

L’impatto negativo sui prodotti delle api porta molti apicoltori ad optare per l’uso di prodotti organici, come oli essenziali (timolo) e acidi organici (ac. ossalico e formico). Si tratta di prodotti meno efficienti rispetto a quelli sintetici, ma che hanno comunque un buon effetto sugli acari. Inoltre, hanno un rischio inferiore di provocare la resistenza in varroa. Gli affetti negativi che possono però essere riscontrati nelle api sono la diminuzione del numero di operaie, un aumento della rimozione della covata chiusa, minore qualità dello sperma nei fuchi.

L’utilizzo di prodotti organici, utilizzati meno frequentemente di quelli sintetici, necessita di una colonia senza covata per migliorare la sua efficacia sulla varroa in fase foretica. Per questo motivo vengono spesso abbinati a metodi meccanici che consentono di escludere la covata. Tra questi metodi, l’ingabbiamento della regina o la rimozione della covata permettono di creare una colonia che mantiene la varroa sulle api adulte e quindi raggiungibili dagli acaricidi.

Ulteriori metodi

Esistono altre tecniche per limitare l’infestazione da varroa:

  • Tecnica del pettine di cattura;
  • Divisione delle colonie, un’imitazione della sciamatura che consente di controllare la crescita dell’acaro;
  • Utilizzo di funghi parassiti, metodo ancora in fase di sperimentazione in quanto i funghi possono provocare danni a carico della covata, della regina e delle operaie e una riduzione del peso delle api emerse da poco;
  • Ipertermia: un metodo utilizzato dagli anni ’70 prevede di sottoporre le api ad alte temperature, sfruttando il fatto che le api sopportano meglio il calore rispetto a varroa. il riscaldamento artificiale non danneggia le api, ma uccide l’acaro a 38°C e compromette la sua riproduzione a 36,5°C;
  • Lotta integrata, che limita l’uso di prodotti solo se necessario, effettuando il monitoraggio dei livelli di popolazione dell’acaro per controllare quando i livelli di popolazione raggiungono le soglie critiche per effettuare il trattamento.

Fonti

Foto dell'autore

Redazione Microbiologia Italia

Saranno elencati di seguito gli articoli di alcuni contributori e di articolisti che in passato hanno collaborato con Microbiologia Italia

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